~ Oltre le sbarre ~

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  1. *HEILIG*
     
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    Titolo: ~ Oltre le sbarre ~
    Autore: *HEILIG*
    Genere: Romantico, Introspettivo
    Raiting: R
    Avvisi: AU, Twincest, OOC, cenno Under-age
    Riassunto:
    Davanti all’edificio c’erano roseti in fiore, e candide margheritine primaverili si stendevano a perdita d’occhio, facendo sembrare il prato una soffice nuvola sospesa dalla realtà, e il monastero un edificio celeste sopra le nuvole.
    C’erano anche alberi da frutto, sul fianco delle mura del monastero, carichi di fiori, e di qualche timido frutto all’inizio della maturazione. Non lo stupì più, in quel momento, il nome dato a quel luogo, e si dimenticò per un attimo cosa quel luogo rappresentasse davvero.














    ~ Oltre le sbarre ~





    Le dita in cui era stretto quel piccolo e sdrucito foglio di carta erano grosse, nodose e sporche di terra. Guardandole non ci si sarebbe di certo aspettati, alzando poi lo sguardo sul viso dell’uomo, di trovare un così forte contrasto con occhi tanto chiari, e tanto commossi.
    - Non…non la vedo da così tanto che…
    Gunter non riuscì neanche a finire la frase, e tirò su col naso rumorosamente nel ricordo di una figlioletta di cui Thomas non aveva neanche bisogno di chiedere il nome, né nessun altro particolare. Negli anni trascorsi in cella insieme, Gunter aveva parlato di sua figlia ogni giorno.
    Thomas sorrise, prese il foglietto dalle mani del gigante davanti a sé e gli diede una pacca sulla spalla massiccia.
    - Lo so amico, vedrai sarà felicissima di riceverla.
    Poi gli sorrise.
    Anche Gunter gli sorrise dall’alto dei suoi quasi due metri d’altezza, in quel suo modo così bambinesco e pacioso che di nuovo contrastava terribilmente con la sua figura più che imponente.
    Gunter era un buono, e Tom l’aveva capito subito.
    - Grazie, sei un bravo ragazzo Tom.
    Anche Gunter diede una pacca sulla spalla di Tom, ma l’effetto del peso dell’amico sulla sua corporatura ebbe tutt’altro effetto.
    - Hey, nessun problema, ma non demolirmi proprio oggi che fuori ci voglio arrivare!
    Reagì Tom tossicchiando. Risero.
    Come aveva detto a Gunter il giorno in cui si era proposto di aiutarlo a scrivere a sua figlia una lettera da recapitarle al suo rilascio, per lui quell’impegno non era molto gravoso. Avrebbe dovuto comunque passare per Sugenheim, per raggiungere Würzburg; era proprio di strada.
    Il gigante lo guardò con sguardo serio, e nuovamente commosso.
    - Abbi cura di te, Thomas. E salutami tuo fratello eh…
    Gunter aveva il viso speranzoso e sincero, Tom rimase immobile. Era contento che Gunter si preoccupasse per lui, lo inteneriva, ma il solo sentire nominare lui, e la sua speranza di ritrovarlo, gli gelava il sangue nelle vene.
    - Dai, è ora. Vieni fuori molliccio.
    Thomas fece un sorriso sghembo, ben felice che la guardia avesse interrotto quel discorso di commiato, infilò la lettera di Gunter nella bisaccia, e si avviò verso il cancello arrugginito della cella.
    La guardia che lo aveva apostrofato, sorrideva sarcastica mentre i cardini cigolavano. “Molliccio” era il soprannome che la guardia aveva dato a Tom il giorno del suo arrivo alla prigione della Fortezza di Nurnberg, anni prima, e lo era sempre rimasto.
    - Non fingere, Hugo. So che ti mancherò!
    Anche alla guardia Thomas concesse un sorriso sincero, prima di salutare sia lui che Gunter con la mano, e prendere finalmente la strada verso l’uscita della Fortezza.
    Una seconda guardia lo scortò fino alle stalle, dove prese il cavallo che con tanti sacrifici era riuscito a comprare qualche settimana prima e che lo aspettava, pronto a condurlo fuori.
    Con le redini di cuoio strette nel pugno, e gli zoccoli dell’animale che cadenzavano ogni suo passo affianco a lui, attraversò i cortili e le sale alle porte della Fortezza, e finalmente, superato anche l’ultimo cancello di guardia, uscì all’esterno, alla luce del sole.
    Nel momento in cui l’altissimo portone di legno e metallo si richiuse dietro di lui, lasciandolo solo, gli sembrò in qualche modo di essere rinato, uscito all’improvviso in un mondo nuovo, più spazioso, luminoso, e pieno di vita.
    Vedeva la gente camminare, i bambini correre, sentiva il vociare dalla piazza, lo starnazzare delle oche nei cortili, l’abbaiare dei cani. Sentiva su di sé la luce, e il calore del sole.
    Ma non avanzò, non subito: prima si girò, nonostante tutto, ruotando su se stesso a guardare la facciata e le torri della Fortezza che era stata la sua prigione e la sua dimora e dalle cui mura usciva ora, da uomo libero, dopo oltre dieci anni di prigionia.
    Mentre le nuove bianche e velate attraversavano il cielo sopra la sua testa, pensò alle persone che aveva conosciuto, ai compagni di prigionia morti, a quelli che erano stati liberati prima di lui, a quelli che lasciava lì dentro. Poi distolse lo sguardo, si girò nuovamente e guardò quella strada davanti a sé che, dritta, lo avrebbe condotto fuori dalla città.
    Spostò la bisaccia dietro la schiena, montò in sella, e diede un lieve colpo con i tacchi degli stivali al cavallo, che si mise in marcia. Senza troppa difficoltà, e com’era normale che fosse, mentre lasciava la Fortezza dietro di sé, la sua mente tornò subitaneamente al giorno in cui era arrivato lì, e soprattutto al perché vi era stato rinchiuso.
    Al motivo, lo stesso, che ora comandava il cammino del suo cavallo e il suo. La sua meta, il suo obiettivo. Quella che era stata la ragione della sua condanna e sarebbe stata la ragione della sua rivincita: suo fratello.
    Alzò il viso, e sorrise appena distinguendo con gli occhi le colline davanti a sé. Lo separavano da lui e da Würzburg quei boschi, cinque giorni di cammino ininterrotto, e una speranza che non era mai morta.
    Sapeva già, in cuor suo, che l’intero cammino sarebbe stato solo costellato dei ricordi di lui, dei ricordi quel giorno, dei ricordi di loro, di speranza e di sofferenza. Di quell’amore immenso, che galoppava in lui tenace e forte, come le zampe del suo cavallo sul sentiero. Di quell’amore, che non era cessato un solo istante.

    Fu quando il sole calò all’orizzonte, che in ognuno di quei giorni il viso di Bill tornò insistente dentro ai suoi occhi. Al tramonto, come sempre, perché era stato il tramonto a tradirli e separarli e l’ora del tramonto, sarebbe sempre stata maledetta, nel cuore di Tom.
    Tornò come ogni suo giorno, dentro le sue orecchie la sua voce, dentro le sue narici il suo profumo, nelle sue mani la consistenza della sua pelle, nelle sue iridi le sue iridi.
    Nel suo cuore, il suo sorriso.
    Nelle notti passate nelle locande lungo il tragitto, tornarono gli incubi che lo avevano tormentato anni prima e che erano ripresi da qualche settimana, nella frenesia dell’attesa della liberazione, nell’attesa di rivederlo. Nella paura di non riuscire a raggiungerlo.
    Nella paura folle che quel sentimento non si fosse conservato nel cuore di Bill come nel suo, nella paura che il tempo trascorso avesse dilavato il loro legame, e separato per sempre le loro anime.
    Si era svegliato sudato ogni singola notte degli ultimi mesi, mentre la libertà si avvicinava.
    Lui, si avvicinava.


    Arrivò a Sugenheim due giorni dopo aver intrapreso il cammino, stanco, ma felice di poter portare a termine la promessa che aveva fatto al suo compagno di cella. Trovò agevolmente la casa di Gunter, perché questi prima di finire in prigione era stato un abile fabbro, e tutti lo conoscevano.
    Fu felice di conoscere la moglie dell’amico, e i suoi tre figli; la più piccola, Greta, era la destinataria di quella lettera che aveva lui stesso aiutato a scrivere, perché Gunter non sapeva scrivere.
    La bambina aveva poco più di cinque anni, e gli stessi occhi del padre, lunghi capelli biondissimi ad incorniciare due gote rosse e paffute. Un ritratto in miniatura abbellita di Gunter, aveva pensato subito.
    Quando aveva porto alla moglie di Gunter la lettera del suo amico, questa era arrossita e gli aveva confidato con imbarazzo di non saper leggere; così, Tom si era seduto al loro tavolo e, presa la bimba sulle ginocchia, le aveva letto le parole del padre.
    La bimba lo aveva ascoltato con aria rapita, guardandolo fisso e guardando a tratti la madre, che era scoppiata in lacrime e al termine della lettura aveva abbracciato Thomas e si era profusa in ringraziamenti infiniti per l’enorme gesto di gentilezza e amicizia che aveva avuto verso suo marito, e verso la sua famiglia.
    Era rimasto a dormire lì, quella notte, ospite insieme al suo cavallo della calda stalla della famiglia Shalzer. Il mattino dopo, di buon’ora, si era alzato per salutare la moglie di Gunter e riprendere il viaggio.
    Sulla porta, lei lo aveva fermato.
    - Dove siete diretto di preciso?
    - A Würzburg, signora.
    Aveva risposto senza approfondire.
    - Avete la famiglia, lì?
    Era consapevole che i suoi occhi si fossero rabbuiati, ma aveva sfoderato tranquillità. Non aveva nessuna voglia di disquisire della vera meta del suo cammino, e soprattutto non voleva ritardare oltre.
    - Sì, c’è mio fratello.
    Fu felice che la moglie di Gunter non insistesse con le domande e gli rispondesse solo con un sorriso benevolo. Fu la frase successiva, che nuovamente gli creò scosse ghiacciate nelle vene, e una sensazione di crampo all’altezza dello stomaco.
    - Sarà felice di rivedervi dopo tutto questo tempo.
    Lei gli sorrise, e Tom pensò in cuor suo che lo pensava anche lui, ma che la sua era soprattutto una speranza. L’unica speranza che lo tenesse in vita.
    Chiunque fosse venuto a sapere della sua intenzione di andare a Würzburg da suo fratello, non aveva reagito che nel modo più semplice possibile: assicurandogli che suo fratello sarebbe stato felice di vederlo, naturalmente.
    Ma nessuno sapeva la verità. La loro verità.
    Aveva salutato nuovamente la piccola Greta e anche Georg e Gustav, i figli maggiori di Gunter, e poi, aveva ridato al suo cavallo lo sprono giusto per cavalcare via in direzione della città che doveva raggiungere.
    Raggiunse Würzburg in poco meno di cinque giorni dalla partenza, come aveva previsto. La cittadina era arroccata sul crinale di una collina, circondata da mura non molto alte, e appariva tranquilla. Passare sotto la porta della città, comunque, gli creò emozione e apprensione.
    Quella, era la città dove si trovava Bill, quello era il tempo di fare e non di pensare. Era davvero arrivato il tempo di ritrovarlo, di rivederlo. Era arrivato il tempo di riavere indietro suo fratello. E il suo cuore.
    Avanzò in groppa al cavallo per le stradelle strette della cittadina, con l’unico pensiero di raggiungere il luogo di destinazione. Scese da cavallo, convinto a chiedere informazioni a qualche passante, che avrebbe sicuramente saputo indicargli dove trovare la Certosa che cercava.
    Si avvicinò ad una donna anziana, seduta fuori dalla bottega di un panettiere.
    - Permettete il disturbo, signora, sapreste indicarmi il monastero dei Certosini?
    La donna alzò lo sguardo su di lui. Uno sguardo lievemente indagatore, e sospettoso.
    - Siete straniero? Non avete l’accento di Würzburg.
    Tom si domandò perché mai la donna dovesse fargli domande, invece di aiutarlo; ma era naturale informarsi circa le intenzioni degli stranieri e quindi, rispose di buon grado.
    - Sì, sono straniero. Provengo da Liepzig, ad est.
    Avrebbe dovuto dire che veniva da Nurberg, forse, ma Nurberg era conosciuta per la Fortezza prigione che l’aveva ospitato e sinceramente non gli sembrava un buon biglietto da visita, quello di ex carcerato.
    - E cosa ci fate qui, di grazia?
    Fece ricorso a tutta la sua pazienza, mentre vedeva gli avventori della bottega squadrarlo da capo a piedi mentre gli passavano a fianco. Una ragazza con un bambino, in particolare, si era nel frattempo fermata poco distante, in attesa, fissandolo e ascoltando il dialogo tra lui e l’anziana donna.
    - Come chiedevo poc’anzi, signora, sto cercando il monastero dell’ordine certosino, mi hanno detto che a Würzburg c’è una Certosa dell’ordine. Non è così?
    Cominciava a diventare impaziente e a stizzirsi. Voleva solo trovare Bill, raggiungere quel posto, sapere dov’era. Aveva aspettato fin troppo.
    La donna parve pensarci un po’ su, e volse lo sguardo verso destra.
    - Sì, giovanotto, sì, c’è un monastero proprio prima dell’altra porta della città, laggiù. Dovete proseguire per questa strada e poi, vedete quella enorme quercia? Girate a destra, su per il sentiero che si inerpica verso la cima della collina. Il monastero è tra i boschi. Ma in ogni caso…
    La donna aveva accompagnato le parole con i gesti, e le indicazioni del caso; ma poi, il suo tono era cambiato ed ora lo guardava con aria quasi compassionevole.
    - … non potete andarci, sapete. E’ un luogo chiuso, non potete entrare né vedere nessuno. Perché lo cercate?
    Terminò nuovamente la frase con una domanda, e Tom non seppe che rispondere. Il tono della donna era fermo, deciso, e lui era frastornato. Dell’aver contemporaneamente scoperto come raggiungere il monastero e dell’essere impossibilitato ad entrarvi.
    Cosa significava che il monastero era chiuso?
    Andava avanti, Thomas, nella sua testa, convinto di quello che voleva e che sentiva e del tutto cieco e sordo alla donna davanti a sé, che ancora attendeva una sua risposta.
    - Grazie, signora, mi siete stata utile. Vi saluto, e vi ringrazio nuovamente.
    La sua voce apparve titubante, seppure cortese, e se ne andò senza rispondere alla domanda della donna. Se le avesse detto che c’era suo fratello, lì dentro, cosa gli avrebbe risposto quella donna? Sarà felice di rivedervi?
    Si girò su se stesso, il cavallo a fianco a sé e restò a guardare il sentiero. Avanzò lungo la stradella, raggiunse la quercia indicata dalla donna poco prima e si volse a destra. Un sentiero più stretto, ma ben praticabile, si infilava nel bosco della collina che sovrastava Würzburg. Alzò il viso, e l’impressione di intravedere poco distante qualche tetto, forse del monastero, gli fermò il cuore. Era davvero lì. Lui era lì vicino.
    Si dimenticò di tutto quello che sapeva, e che gli era stato detto, e sferzò il cavallo su per il sentiero. Niente e nessuno avrebbe potuto chiudere le porte alle sue speranze.
    Quando uscì dal bosco, nella radura antistante il monastero, il fiato gli si spezzò in gola, e gli occhi si accecarono di troppa luce.
    Il monastero si ergeva nella pace di una radura ampissima, illuminata dal sole, sovrastata da un cielo terso, di un azzurro tale da far brillare a dismisura il bianco candido delle pareti della Certosa. Davanti all’edificio c’erano roseti in fiore, e candide margheritine primaverili si stendevano a perdita d’occhio, facendo sembrare il prato una soffice nuvola sospesa dalla realtà, e il monastero un edificio celeste sopra le nuvole.
    C’erano anche alberi da frutto, sul fianco delle mura del monastero, carichi di fiori, e di qualche timido frutto all’inizio della maturazione. Non lo stupì più, in quel momento, il nome dato a quel luogo, e si dimenticò per un attimo cosa quel luogo rappresentasse davvero.

    Thomas era arrivato alla Fortezza di Nurberg nel 1385, a soli sedici anni. Vi era rimasto per dieci lunghi anni, e il suo unico scopo per tutto quel tempo era stato uno solo: scoprire dove poter ritrovare suo fratello Wilheim, una volta uscito. Prima del loro confinamento coatto, era riuscito a farsi dire da sua madre qual’era stata la punizione scelta dal padre per suo fratello, e così, aveva speso anni a fare domande, fino a scoprire che l’unico ordine monastico maschile per rampolli di buona famiglia, in quella regione, era quello Certosino.
    Aveva poi scoperto che proprio a Würzburg, non troppo lontano dalla loro città natale, c’era un monastero dell’ordine, un luogo dal nome mistico quanto evocativo: Engelgarten, “Il Giardino degli Angeli”.
    E se associare il pensiero di Bill, come lui lo aveva sempre chiamato, a quello di un entità sacra era cosa abituale, non poteva dire lo stesso del pensiero della sorte che era toccata al suo gemello. Diversa dalla sua, forse, ma ugualmente costretta e ancor più solitaria. Per questo, cercava sempre di non pensarci. Non poteva pensare a Bill privato a tal punto, della sua libertà.


    Restò senza fiato, indeciso e intimorito dalla bellezza e dalla pace del luogo. Sapeva di dover bussare alle porte del monastero, e chiedere di suo fratello. Sapeva di dover scoprire se davvero Bill fosse oltre quelle bianche mura, se davvero quel luogo per tutto quel tempo avesse ospitato i suoi respiri, i suoi giorni, i suoi sonni, i suoi pensieri.
    Sapeva di dover scoprire cosa ne fosse stato di Bill. Del suo Bill, se ancora esisteva.
    Scese da cavallo, e mise piede su quei prati soffici e colorati. Il vento leggero gli accarezzava le vesti, i lunghi capelli castani, il legaccio di corda che glieli raccoglieva in una scomposta treccia, e gli faceva assottigliare gli occhi.
    Si avvicinò al cancello centrale delle mura oltre il quale non si intravedeva che altro prato, altri giardini, ed altre mura, qualche torretta aguzza, e quello che doveva essere il campanile della Chiesa di quel luogo sacro.
    Si fermò alle sbarre di ferro del cancello, chiuso con una lunga sbarra di legno dall’interno. Cercò una campana esterna per attirare l’attenzione di qualcuno, ma non ce n’erano, si guardò intorno, e non vi era nessuno.
    Pensò di gridare, per farsi sentire, ma non gli parve una buona idea; non in quel luogo, non in quel momento, non in quel silenzio. Si sentì perso, senza sapere come fare per entrare in quel monastero ed ottenere quello che aspettava da così tanto tempo.
    Indietreggiò.
    Fissò le mura del monastero, per un tempo molto lungo, accentrando lo sguardo verso le poche finestre che davano sul fronte dell’edificio, dalle torrette più altre, sperando di intravedere qualcuno a cui fare cenno, per farsi aprire.
    Ma non ebbe successo. Indietreggiò ancora, vinto, senza sapere cosa fare, ma deciso a non andarsene. Non poteva andarsene.
    Si sedette a terra, all’ombra di un albero, dove il suo cavallo, le redini ben salde al tronco, prese a pascolare tranquillo ignaro dell’apprensione che albergava nel cuore del suo padrone.
    Tom pensò che qualcuno sarebbe passato vicino al cancello, prima o poi, o che qualcuno sarebbe entrato, o uscito, da quel luogo. Non gli importava di dover attendere, in fondo. Non gli importava di nulla se non di rivederlo.
    Passarono i minuti, e passarono le ore. Nessun rumore, dal monastero, né anima viva nei paraggi. Quando il sole cominciò a spostarsi nel cielo, però, il suono di due soli rintocchi di campana destò Thomas dai suoi pensieri, e lo fere rizzare in piedi, pronto a cogliere qualsiasi movimento. Lasciò il cavallo dov’era, e corse fino al cancello del monastero. Si aggrappò alle sbarre di ferro e chiamò.
    - C’è nessuno? C’è nessuno con cui possa parlare?
    Fissava il vuoto, giardini, porte e mura deserte, all’apparenza. Eppure qualcuno in quel luogo c’era. Wilheim c’era. Lui lo sapeva. Lui lo sentiva.
    Un movimento attirò la sua attenzione. Una veste bianca, un viso incappucciato e braccia giunte, nel saio dei monaci. Un uomo, un monaco, lo guardava da una delle finestre dell’edificio principale, oltre il primo piccolo giardino d’entrata.
    Il primo istinto fu di sbracciarsi, chiamando a gran voce per farsi aprire il cancello ma nuovamente non lo fece; lo sguardo di quel monaco lo intimoriva, lo immobilizzava nella reverenza. Restò aggrappato alle sbarre del cancello, e fissò il monaco di rimando certo ch’egli avesse comunque compreso quale fosse la sua richiesta.
    Vide sparire la figura dell’uomo dalla finestra qualche istante dopo, con fare lento. Attese trepidante, con il respiro che si alzava e si abbassava affannosamente di vedere qualcuno varcare la soglia della porta del monastero, o che qualcuno giungesse finalmente ad aprirgli il cancello e chiedere cosa lui volesse, per poter rispondere a sua volta e chiedere, chiedere di lui. Ma non successe, non successe niente.
    Si ritrovò a sbattere le inferriate di quel cancello, forte, chiamando questa volta a voce alta, ben intenzionato a farsi sentire.
    - Bill!! Bill!
    La voce di Tom che gridava il nome che aveva sempre dato a suo fratello si espanse nell’aria, dove gli uccelli cantavano e il vento trascinava petali di fiori, e odore d’erba. La sua voce raggiunse i muri, le finestre, raggiunse le guglie, i giardini.
    Raggiunse gli spazi e raggiunge le orecchie, e in una cappella, dove i monaci officiavano i Vespri, il Priore si alzò in silenzio, lasciando i monaci alla preghiera. Lasciò la Cappella, senza che nessuno dei fratelli volgesse lo sguardo, o proferisse parola.
    Nessun rumore accompagnò l’uscita del Priore verso l’entrata del monastero; nulla, se non il rimbombo di un cuore nella cassa toracica avvolta da un saio bianco, nel corpo di un monaco inginocchiato sul duro legno, nella seconda fila di inginocchiatoi.
    Nulla, se non una mente che d’improvviso era tornata al passato. Niente, se non due occhi che si erano spalancati nel silenzio e nella protezione del cappuccio calato sul viso. Carichi di sgomento.
    Tom aveva pronunciato il nome di Bill due volte sole, poi era di nuovo rimasto ad aspettare; ed ora finalmente aveva ottenuto ascolto, la porta del monastero oltre il giardino d’ingresso si apriva davanti a lui. Ne usciva un uomo. Tom spalancò gli occhi, grato e speranzoso; era lo stesso monaco che lo aveva visto dalla finestra, e seppur dopo un po’ d’attesa, ora lo stava accogliendo.
    Il monaco avanzò verso di lui, e si fermò a qualche passo di distanza dal cancello sui cui Tom, di nuovo, era tornato ad appoggiarsi.
    Stava quasi per appellarsi al monaco, ma questi parlò prima che Tom potesse farlo. Parlò con cipiglio di comando, con austerità e fermezza, seppure con cortesia e garbo.
    - Signore, il luogo in cui vi trovate è votato al silenzio ed alla solitudine. Vi preghiamo di rispettarlo e di rispettare la pace di ogni forma di vita umana, animale e naturale, intorno a voi.
    Gli occhi del monaco fissarono quelli di Tom, e Tom di rimando fece lo stesso. Il monaco non gli aveva chiesto né chi lui fosse, né perché avesse gridato, né cosa volesse. Né chi fosse Bill.
    Tom deglutì, vergognandosi di aver alzato la voce per farsi ascoltare, incapace di comprendere fino in fondo le parole ed i modi dell’uomo davanti a sé. Ma Tom era un ragazzo rispettoso, colto, ed educato, capace di comprendere i propri limiti ed abbastanza intelligente da capire ed obbedire agli ordini, quando impartiti da un’Autorità.
    - Scusatemi.
    Disse solo lasciando il cancello, e indietreggiando appena. Non voleva che il monaco sentisse quel luogo minacciato per causa sua, non voleva sembrare scortese né un povero pazzo disperato. Nonostante sapesse di esserlo, disperato.
    Il monaco abbassò gli occhi, e fece un lieve cenno d’assenso con la testa, accettando le sue scuse. Poi, si girò e fece per tornare dentro al monastero, lasciandolo di nuovo lì. Nonostante tutti i propositi appena fatti, e le parole appena comprese, Tom non resistette; non poteva permettere a quel monaco di rientrare senza dirgli nulla, senza chiedere. Senza avere risposte, o un barlume di speranza. Sarebbe stato meglio sapere che Bill non era lì, e tentare di trovarlo altrove, che continuare a torturarsi pensando di essere a pochi metri da lui.
    - Padre…
    Lo chiamò quindi azzardando un titolo che sicuramente l’uomo ricopriva, in quanto ecclesiastico.
    E non attese che l’uomo si girasse, o gli dimostrasse attenzione.
    - …io sto cercando mio fratello, Padre. Può dirmi se vive qui? Si chiama…si chiamava Wilheim. Trümper.
    Si era ricordato all’ultimo, mentre parlava, che i nomi dei monaci spesso venivano cambiati, al passaggio da novizi a fratelli, per questo aveva usato il passato, e detto anche il cognome della famiglia. La sua voce comunque, era intenerita, calma, pacata, gentile. Nessuno avrebbe potuto ignorare il tono trepidante e vero, con cui aveva parlato, e non lo fece nemmeno il monaco che ancora gli dava la schiena.
    Il Padre Priore si girò, sbattè le palpebre una volta sola, e si avvicinò a lui, al cancello, più di quanto prima non avesse fatto.
    Lo squadrò, lo fissò, studiò i tratti del suo viso e Tom fu sicuro che il monaco stesse riconoscendo, finalmente, la loro similitudine. La loro uguaglianza.
    Fratelli, gemelli; uguali in ogni parte, lui e Bill.
    Ma il monaco non rispose a Tom quello che Tom avrebbe voluto sentire. Non rispose come avrebbe dovuto fare a un fratello disperato, che Bill non vedeva da così tanto tempo. Il monaco non rispose quello che tutti gli avevano detto, che lui stesso s’era illuso fosse la verità: che suo fratello sarebbe stato felice di rivederlo, che si sarebbero rivisti. Che Bill era lì.
    - Signore, i donati ed i monaci del chiostro votano la loro vita a Dio, lasciano i legami terrestri, e la vita passata. Il loro posto è qui, disgiunti dalle umane traversìe, e giunti a Dio.

    Non aveva mai capito chi li avesse traditi, o se fosse stata solo sfortuna. Ricordava solo che suo padre aveva strappato Bill dalle sue braccia con una violenza tale da procurare a suo fratello graffi evidenti. Bill era stato sbalzato verso la fredda parete di roccia, si era messo le mani davanti al viso, e Tom aveva visto poco altro, prima che suo padre lo attaccasse, e gli inveisse contro con insulti, spinte e pugni, per fermare la sua sicura reazione.
    - Tooom!!! Tom!!!
    Aveva gridato tanto Bill, mentre la mano del padre si stringeva intorno al suo polso fino a rendere la sua mano livida, e Bill tirava contro, per tendersi verso di lui, che era stremato a terra, inerme ed esangue.
    L’ultima immagine vivida di Bill, Tom l’aveva della sua sagoma in controluce, mentre gridava il suo nome tra le lacrime, mentre veniva trascinato via da quella grotta, al calare del sole, in quegli occhi pieni di lacrime, gonfi di pianto, mentre Bill puntellando i piedi a terra continuava a fare resistenza, fuori dalla grotta, e supplicava suo padre di lasciarlo, e poi chiamava il suo nome e ogni volta che il suo nome usciva dalla bocca disperata di Bill, Tom si sentiva morire dentro.
    E quando la voce di Bill era svanita insieme al rumore degli zoccoli in fuga del cavallo di suo padre, Tom si era adagiato ancora sulla terra umida e gelata. Vinto nell’anima, molto più che nel corpo dilaniato. E aveva pianto, Tom, più di quanto pensasse che un uomo potesse mai fare, in quel tramonto di settembre. Aveva chiuso gli occhi, e aveva pregato, urlando, non sapeva quale Dio, o quale fede.
    L’unica immagine vivida di voto, legame e giunzione, Tom l’aveva delle loro bocche unite, delle loro mani intrecciate, dei loro sorrisi felici. Era quella, l’unica vocazione che loro avessero mai avuto. L’unica: l’uno per l’altro.


    Tom non trovò le parole; non trovò le parole per fronteggiare quel diniego, per fronteggiare la caduta delle sue speranze con siffatta freddezza, e contemporanea lucida convinzione. Ma cosa farneticava quell’uomo? Cosa stava dicendo? Non aveva risposto. Non gli aveva risposto.
    - Padre…
    Provò a dire qualcosa, a trattenere il monaco che con passo più svelto di quello con cui si era avvicinato se ne stava andando, varcando nuovamente la soglia del monastero ed abbandonandolo lì da solo. Solo. Provò a dire qualcosa anche se il fiato gli era morto in gola, annegato nella tristezza e nello sgomento.
    Fu solo in grado di comprendere che quelle parole significavano senza dubbio che sì, Bill si trovava lì. Era uno di loro, viveva lì dentro, era un monaco un converso, un donato o comunque si chiamasse quello che era diventato suo fratello. Era loro, adesso, e non volevano ridarglielo; peggio, non c’era modo di avvicinarlo, parlargli, raggiungerlo. Guardarlo negli occhi.
    Prima che Tom potesse formulare domande sensate o reazioni logiche, il monaco era già sparito. Improvvisamente il sole che stava scendendo nuovamente lo aveva lasciato in un tramonto freddo, perché il freddo era dentro la sua anima.
    Lasciò quel luogo che prima gli era parso tanto bello e sereno, paradisiaco ed etereo, sentendo l’odio covare dentro di sé, crescere la frustrazione, e la rabbia.
    Già in sella al cavallo guardò per la seconda volta nella sua vita il sole portarsi via Bill in controluce, anche se ora aveva la forma dei tetti del monastero, e degli alberi del bosco, ma lui era lì, e lui di nuovo non poteva raggiungerlo.
    Poi, scudisciò il suo cavallo, con troppa forza, e questi partì alla volta del ritorno nel centro di Würzburg; ci mancò poco che il cavallo travolgesse una giovane donna, a metà del sentiero.
    Tom tirò forte le redini e il cavallo si imbizzarrì quasi al punto da disarcionarlo. C’era anche un bambino con lei, e Tom smontò di fretta da cavallo e corse verso di loro, risalendo il sentiero, per assicurarsi che il piccolo stesse bene.
    - Perdonatemi signora, non vi avevo visto, scendevo di fretta dalla radura del monastero. Vostro figlio sta bene??
    Il suo tono era preoccupato e accorato.
    - Sì, Signore, mio figlio non si è fatto male, ma dovete stare più attento e procedere con più calma, non sono luoghi di caccia o di rincorse, questi.
    La donna aveva accennato al monastero, e Tom si girò verso la radura.
    - Già…
    Espirò pensieroso.
    Gli occhi della donna si fissarono su di lui.
    - Avete raggiunto l’Engelgarten? Ho sentito davanti alla bottega del pane che stavate cercando il monastero.
    Tom strinse le labbra.
    - Sì, grazie, ma non ho ottenuto nulla.
    Si rese conto di aver parlato troppo; la donna sicuramente non era interessata ai suoi sfoghi e alle sue frustrazioni.
    - Cosa vi conduce qui, Signore?
    Di nuovo quella domanda. Di nuovo l’illusione.
    - Mio fratello è monaco in quel convento, o almeno, io sono certo che sia così. Non lo vedo da molto tempo.
    - E’ giovane, vostro fratello?
    - Siamo fratelli gemelli, ha ventisei anni, come me, è arrivato qui credo nove o dieci anni fa.
    La donna parve pensierosa, e si volse verso i boschi, assorta.
    - Sì, c’è…credo che ci sia un monaco di chiostro di quella età, effettivamente. Un giovane dalla pelle particolare, è possibile? Una pelle chiara, bianca, bianca come la veste che indossa…e occhi molto scuri…
    Tom inspirò forte dalle narici, e respirò profondamente. Bill.
    Quella donna parlava di Bill? Lo conosceva?
    L’aveva visto? Gli aveva parlato?
    - Come fate a conoscerlo, io non sono riuscito nemmeno a parlargli, o a vederlo, ho chiesto di lui ma un padre mi ha cacciato via. Mi ha detto che vivono in solitudine. Come fate a conoscerlo?
    Era agitato, Tom; cercava di trattenere il suo impeto, ma era difficile. Troppo difficile.
    La donna, comunque, gli rispose cortese, interessata nel poterlo aiutare. Vedeva il fratello ansioso e accorto, la donna. Non percepiva altro, per sua fortuna.
    - Sì, avete ragione, quello che dite è giusto e sicuramente avete parlato con il Priore, l’unico che trattenga contatti con l’esterno: i monaci di chiostro dell’Engelgarten vivono in reclusione e solitudine, per tutto l’anno, anche se svolgono lavori nel monastero, e curano i giardini, e gli orti; non è permesso agli estranei di accedere alle loro dimore, in ogni caso. Solo…una volta alla settimana, in genere il giorno dopo la domenica, spesse volte escono nei boschi, a due a due, a cercare bacche, frutti, funghi, e ritemprare lo spirito. E’ un’usanza dell’ordine. Io abito oltre il sentiero, in una piccola casa nel bosco che ha costruito mio marito, che Dio l’abbia in gloria, e li vedo, a volte, con i loro sai bianchi, camminare…
    Qualcosa, spinse Tom ad osare troppo, a tentare contro ogni sua previsione l’aiuto di quella donna, l’unica che gli aveva dato un elemento di speranza, e gli aveva teso la mano.
    - Signora, quanti giorni sono trascorsi dalla domenica?
    - Io, credo già qualche giorno…ma dove andate?
    Tom corse incontro al suo cavallo e ne prese in mano le redini, ma non per montarvi sopra. La donna teneva per mano il figlio, sul sentiero, e lo guardava con aria assorta, in attesa. Tom le si avvicinò di nuovo, deciso a tentare il tutto per tutto.
    - Signora, mi impegno ad aiutarvi nelle faccende domestiche e gravose, quali il tagliare legna, e sistemare ciò che nella vostra casa ci sia da riparare. Ma vi chiedo umilmente ospitalità in casa vostra, e l’aiuto nel poter rivedere mio fratello, se uscirà insieme agli altri monaci nei boschi, nei prossimi giorni. Mi basta un solo incontro, per rivederlo e accertarmi che sia bene e sia sereno, e poi toglierò il disturbo e non mi vedrete mai più. Ve lo prometto.
    Gli occhi di Tom brillavano di passione, o di quella che poteva essere scambiato per fraterno, enorme, affetto, ma brillavano, della luce della speranza e della forza. Tremavano di un sogno lungo una vita che nessuno avrebbe avuto il coraggio di infrangere.
    La giovane donna gli sorrise benevola:
    - Accetto di buon grado, signore, e vi ringrazio, anzi, dei servigi che mi offrite. Se vi è d’aggrado, posso ospitarvi nella mia casetta per la legna, avrete la vostra tranquillità poiché mio figlio è piuttosto discolo, e sarete assai vicino al monastero, e al cammino che intraprendono i monaci quando escono nei boschi. Spero che possiate parlare a vostro fratello, poiché trovo che il legame della famiglia sia da preservare sempre, qualsiasi cosa accada. Mio figlio ha perso suo padre, e vorrei che avesse nella sua vita qualcuno oltre me che lo amasse così tanto. Incondizionatamente.
    Tom sorrise, e avrebbe voluto baciarla, per quello che gli stava offrendo.
    Si incamminarono lungo il sentiero, e pur lasciando dietro di sé l’Engelgarten, Tom si scoprì a guardare l’edificio in modo diverso, ora. Bill non era più così distante, come era parso fino a pochi minuti prima. Quei boschi dove l’avrebbe rivisto sembravano magici e bellissimi, dorati dalla sera e penetrati dagli ultimi raggi di sole. Sentiva il cuore leggero, speranzoso. Grato.
    Trascorsero tre giorni, ed ogni pomeriggio Tom scendeva lungo il sentiero, a guardare dal bosco il cancello posteriore del monastero, come gli aveva suggerito Clara.
    Per il resto di quei giorni, e di quelle notti, aveva imparato la cadenza del suono delle campane del monastero, che scandivano i suoi giorni, i suoi tempi, le sue notti, le sue preghiere.
    Si era chiesto se lui lo avesse sentito chiamare il suo nome, se l’avesse riconosciuto, se pensasse a lui, se lo volesse vedere. Aveva continuato a sognarlo di notte, e di giorno, come faceva sempre, da sempre. Aveva continuato a credere, e sperare.
    Il quarto giorno di attesa, il rumore del cigolio di cardini di ferro diversi dal solito, più spessi e grossi, gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene, e inondato gli occhi di pianto.
    Come Clara aveva detto, i monaci uscirono in fila, a due a due, i sai bianchi, lunghi fino alle caviglie, le calzature robuste, le bisacce per la raccolta sulle spalle.
    Ci mise meno di pochi istanti, a vederlo.
    Era inconfondibile.

    Il primo giorno in cui si erano toccati non come fratelli, Bill e Tom avevano tredici anni. Erano in una grotta, vicino al fiume in cui erano soliti fare il bagno fino a settembre inoltrato perchè una falda sotterranea, ne scaldava a lungo le acque.
    Non si erano chiesti, quel giorno, se ciò che stavano facendo fosse normale, consono, dettato da chissà quali sentimenti, o dagli istinti primitivi di due ragazzini; ma s’erano ritrovati abbracciati a baciare uno le labbra dell’altro, e toccare uno il membro eretto dell’altro.
    Ad alitarsi addosso, a sudarsi addosso. Si erano uniti a modo loro, quel giorno, rotolando sui proprio vestiti, abbracciati stretti, sentendosi una cosa sola, e un cuore solo.
    Il suo corpo che spingeva e cadenzava l’abbraccio su quello di Bill aveva avuto così tanto effetto su suo fratello che a un certo punto Bill aveva urlato, in un bacio umido, e aveva esploso il rilascio del suo sesso tra di loro, tra le loro pance. E Tom l’aveva guardato, e Bill aveva delle gote così rosse, e calde, e occhi così lucidi, che quella voglia di entrargli dentro gli era scoppiata e gli aveva chiesto aiuto, e Bill l’aveva aiutato.
    E anche lui, era venuto forte, con un gemito roco, tra le loro pance, i loro respiri. E i loro baci.
    Poi, erano rimasti a guardarsi. Toccarsi, impararsi a memoria. Tom di Bill conosceva ogni neo, ogni piega della pelle, ogni cicatrice creata dalle sbucciature, ogni piccola bruciatura causata dal fuoco del camino. Perché si erano ritrovati in quella grotta, per tre anni, ogni sera, ogni giorno, ogni pomeriggio in cui fosse possibile.
    Erano diventati grandi, lì dentro. Si erano amati, lì dentro. Si erano dichiarati amore, lì dentro. Fino a quel maledetto tramonto.


    Non se lo aspettava, Tom, di vederselo davanti così, a volto scoperto.
    Aveva i capelli corti, cortissimi, più scuri di come li ricordasse. E quella pelle d’alabastro che rifulgeva nel sole.
    Strinse gli occhi, Tom, strinse gli occhi e trattenne un sicuro pianto, affacciatosi alle sue ciglia, e cercò di dominare i respiri, e il cuore, e la sua anima che stava naufragando di gioia.
    Bill era lì. Suo fratello era davvero lì. Così vicino, così vero. Così incredibilmente bello. Sentiva tutto l’amore represso, i tormenti di quegli anni gridare da dentro di se, aveva una voglia pazza di urlare, corrergli incontro, prenderlo in braccio, sollevarlo, stringerlo, abbracciarlo. Baciarlo. Baciarlo fino a succhiargli l’anima e il cuore, che gli appartenevano, da sempre. Non riusciva a contenere i pensieri, e la felicità, che lui, fosse davvero lì.
    Era ancora più alto, ancora più bello. I tratti del viso erano più marcati ma dolci come erano sempre stati. Seguì il piccolo corteo con gli occhi, vide le coppie di monaci dividersi lungo vari tratti del bosco, in direzioni diverse. Bill, insieme ad un altro fratello, aveva deviato verso sinistra, verso la zona degli abeti e Tom trattenne il fiato; era proprio quello che sperava.
    Tornò di fretta alla casetta, e vi entrò con un trasporto tale che Clara non ebbe neanche bisogno di chiedergli cosa fosse accaduto. Sapeva che Thomas aspettava quel giorno come una apprensione particolare. Aveva capito che il trasporto di Thomas per il fratello era insolito, ma del resto aveva sentito cose davvero strane, in passato, sui fratelli gemelli, si diceva fossero uomini maledetti, o benedetti, il mondo era incerto se si trattasse di segni divini, o demoniaci; e allora aveva preferito tenersi alla larga dai guai, evitando di indagare più del dovuto.
    Però, aveva promesso a Thomas di aiutarlo, perché lui l‘aveva davvero aiutata molto, in casa e con suo figlio, ed era arrivato il momento di ripagarlo. Clara si tolse il grembiule di cucina, si asciugò le mani, e seguì Tom nel bosco.
    Dopo un centinaio di metri, lui le indicò la coppia di monaci, e Clara avanzò, con suo figlio in braccio, diretta verso i due, e lasciando Tom in disparte.
    Lei, che conoscenza le abitudini dei monaci e la buona creanza del saluto alla gente, se ne incontravano durante il cammino, aveva calcolato perfettamente i tempi, e i modi, e Tom vide il monaco che faceva coppia con Bill allontanarsi un po’ da suo fratello, nell’intento di assecondare il figlio di Clara, probabilmente in un gioco, richiesto ad arte.
    Tom poteva vedere Bill di profilo; questi era rimasto immobile, guardando con un sorriso lieve il bambino, e Clara, e l’altro monaco che si stava allontanando.
    Tom si mosse, deciso ad arrivargli vicino, e parlargli. Quando si trovò a pochissimi passi da lui, però, qualcosa lo fermò.
    Il corpo di Bill; che fasciato nel saio bianco si chinava lento verso un fiore. La mano di Bill, che sottile e aggraziata come la ricordava, accarezzava il petalo di una malva violacea. Il viso di Bill; che si avvicinava al fiore e si innalzava poco, aspirandone il profumo. Le ciglia socchiuse, lunghe.
    Il sorriso di Bill, che si aprì per quella semplice meraviglia della natura, fu quello che lo fece infine muovere, verso di lui. Era inconfondibile, e irresistibile.
    Attese che Bill si fosse rimesso in piedi, e uscì dalla radura.
    - Bill…
    Il fratello si girò, e lo fissò come se lui fosse stato un fantasma; un’apparizione, uno spirito, o un folletto magico.
    - Cosa…? I miei occhi mi tradiscono…
    Non ci credeva, lui, e Tom vide Bill passarsi una mano sopra gli occhi, come per allontanare l’eccessiva stanchezza, e poi riposarli su di lui.
    Ma quando Bill riaprì gli occhi, quelli di Tom gli erano incredibilmente vicini.
    E soprattutto, vicino gli era il suo corpo tra le cui braccia suo fratello lo stava stringendo.
    - Sono io, Bill, sono io…Sono qui.
    Gli occhi di Tom saettavano, dorati e caldi, dentro quelli di Bill, più scuri, più densi. Dolci, lunghi, grandi, belli, più belli di come glieli avevano restituiti i suoi sogni. I suoi incubi.
    Ma gli occhi di Bill erano sgranati, anche. Stupefatti, sorpresi, spaventati in qualche modo, incerti. Infiammati. Tristi. Felici? Non sapeva dirlo. Erano tutto e niente; erano nei suoi, e Tom non riusciva più a dare alcuna definizione ad alcunché.
    Sentì il respiro affannato di Bill sul viso. Così vicino.
    E gli guardò le labbra, e ritrovò quella morbidezza e quella perfezione rosea che conosceva così bene, quell’odore di vaniglia, di puro, di bello. Di bianco.
    Sentì il tocco dei polpastrelli di Bill sulla sua guancia calda. Bill aveva le mani gelate, e gli occhi enormi:
    - Tom…?
    Lo stava a guardare, Bill, stretto nel suo abbraccio lo stava a guardare con occhi che si velarono di lacrime grosse, e stentate. Bill chiuse gli occhi, li strinse, e una grossa lacrima solcò il suo viso, la fronte corrugata, e stanca.
    - Amore mio.
    Tom non aveva resistito oltre, gli aveva preso il viso tra le mani e lo aveva chiamato come faceva prima, come una volta, come quando potevano, anni prima, come lo chiamava sempre Bill, Amore, quando sorrideva stretto nel suo abbraccio caldo, mentre univano i loro corpi nell’unione carnale della penombra della loro grotta. Mentre si vivevano come solo loro, sapevano fare.
    Gli occhi dorati di Tom sbatterono contro un velo durissimo, che apparve negli occhi di Bill.
    Spalancati. Spalancati.
    - No.
    Il fratello si divincolò dalla sua presa, e si mosse di lato, come cercando di scappare, ma Tom, senza sapere come, lo afferrò stretto, dopo pochissimi passi, per un polso, e gli bloccò il cammino.
    - Bill…
    - Thomas vattene.
    - Ma cosa stai dicendo?
    Improvvisamente andava tutto storto. Improvvisamente si sentiva strano, e male. Cosa stava succedendo?. Bill prese a camminare, davanti a lui, camminando veloce e Tom potè vedere suo fratello tenersi la testa tra le mani, e scuoterla come per scacciare via qualcosa che non voleva vedere.
    Lo inseguì, finchè Bill conscio di averlo alle calcagna non si fermò di nuovo, appoggiandosi al tronco di un albero, e non si voltò verso di lui.
    - Thomas ti prego vattene. Adesso.
    Non ci poteva credere. Che cosa stava dicendo?
    - Bill ma…
    - Ti prego, vai via di qui. Non farmi questo…
    E non fu un tono duro quello che gli accoltellò il cuore. Ma un tono disperato, dilaniato. Sofferente. Un tono di preghiera che gli fece franare il cuore in fondo al corpo.
    Gli occhi di Bill erano talmente tristi, talmente provati, talmente sofferenti, talmente scuri.
    Lo guardava come se Tom avesse potuto dargli fuoco, o fargli del male, torturarlo o ucciderlo, di lì a poco, come se Tom fosse qualcosa di pericolo, e di cattivo. Di sbagliato, e indesiderato.
    Per qualche minuto Tom non si mosse, imprigionato da quello sguardo e paralizzato da una situazione che ancora non comprendeva.
    - Sono venuto qui per te, Bill. Per ritrovarti.
    Bill strinse gli occhi, ed emise un suono acuto, dal profondo della gola. Un gemito di dolore, di quella costrizione che gli stava schiacciando il petto, e il cervello.
    Tom si mosse.
    Ancora. Ancora più vicino, ancora addosso, e sentì i palmi di Bill respingerlo, e sentì i pugni di Bill pressarlo senza convinzione.
    Ma lo raggiunse di nuovo, lo vinse di nuovo, e lo abbracciò di nuovo.
    E si trovò il viso splendido di suo fratello a un millimetro di distanza, quando Bill spalancò gli occhi nei suoi.
    Una luce senza definizione, in fondo alle iridi:
    - Adesso sono di Dio, Tom. Io sono di Dio.

    E sentì la sua forza svanire, con la stessa disperazione con cui sentì il corpo di Bill abbandonarsi senza forza nelle sue braccia, smettendo di fare resistenza, sicuro che lui l’avrebbe lasciato andare, continuando a fissarlo, ad ucciderlo con quegli occhi brillanti e profondi, pieni di una convinzione e di una fede che lo avevano trapassato come se Bill avesse appena inflitto un colpo di pugnale dritto nel suo cuore, e nei cuoi polmoni.
    E fu così. Tom sentì le sue forze venire meno, e come se da quella pugnalata stesse sgorgando copioso sangue si strinse una mano sul petto, e lasciò andare Bill. Fece un passo indietro, e non si capacitò di sentire Bill farsi da parte, lasciando le sue braccia definitivamente.
    Ma trovò la forza di guardarlo in faccia, facendo un passo, avvicinandosi ancora a lui, pretendendo che Bill lo guardasse negli occhi, prendendo il mento del fratello tra le dita, e costringendolo a dargli ancora attenzione.
    - Non mi ami più, Bill? Non mi ami più, veramente?
    Inchiodò gli occhi in quelli di Bill, e l’altro non resse il suo sguardo, indietreggiò con il capo, e chiuse gli occhi.
    - Guardami! Ti sei convertito?
    Ma il viso di Bill si spostò di lato, divincolandosi dalla sua presa, di nuovo.
    - Non riesci a dirmelo. Mi ami ancora.
    - No. Smettila.
    - Sì invece.
    - No. Dimenticami Tom, eravamo piccoli, ancora innocenti quando è cominciato tutto e solo per questo possiamo giustificarci. Ma era tutto un errore, tutto.
    - Non è vero.
    - Sì, invece.
    - No. Sono queste le bugie che ti hanno detto? Che ti racconti quando invece vorresti ancora sentirmi dentro di te?
    Bill lo guardò, truce, con le fiamme in fondo agli occhi, e i pugni stretti.
    - Taci.
    - Io sono dentro di te.
    Si avvicinò, perché sapeva che i loro corpi erano calamite, erano inscindibili.
    Si pressò al corpo di Bill, contro l’albero, senza forzare troppo, senza abbracciarlo, senza toccarlo che con i respiri, il busto, le gambe attaccate al quel saio bianco che li divideva, scudo di quella fede che Bill stava ergendo a vessillo contro di lui.
    Tom assottiglio gli occhi.
    - Io non me ne andrò mai da te.
    - Invece sì.
    - Invece no.
    E adesso i loro occhi si fronteggiavano saettando gli uni negli altri. E non gli importava, in quel momento, cosa gli occhi di Bill gli volessero dire o meno. Lui si sentiva parte di loro, di nuovo. Loro esistevano ancora. Che Bill fingesse o meno, non era cambiato niente. In quello scontro c’era la stessa passione con cui Bill anni prima lo stringeva in sé quando si accoppiavano, quando facevano sesso e facevano l’amore.
    Bill aveva la passione, dentro, e anche se adesso la dimostrava a Dio, e contro di lui, Tom sapeva dove stava la verità. E gli avrebbe fatto ricordare tutto. Perché loro erano una cosa sola.
    - Ti sogno tutte le notti. Sogno il tuo corpo e il tuo respiro. Sogno le tue mani, e la tua bocca.
    Bill strinse gli occhi, ma lui sentiva il suo cuore galoppare, sentiva il petto di Bill alzarsi e abbassarsi affannato.
    - E’ peccato mortale, Thomas.
    - E’ amore, Wilheim.
    Bill non rispose. Lo guardò negli occhi. E Tom ci riuscì, riuscì a baciarlo.
    Ad unire le loro labbra, a trapassare le sbarre che gli attanagliavano la mente. A scavalcare Dio, gli anni, gli errori, i rimorsi, le paure. A riavere indietro quello che gli era stato tolto dieci anni prima. E quel bacio valse tutti gli anni di sofferenza.
    Sentì il morbido delle labbra di Bill, il suo respiro nel naso, il suo corpo tremare e poi, le mani di Bill cercare le sue, e stringerle.
    E quando sentirono entrambi il vociare del figlio di Clara avvicinarsi nel bosco, e si staccarono, avevano gli occhi lucidi, persi. Ubriachi. Imprigionati.
    Improvvisamente i loro respiri erano troppo grossi, loro erano troppo vicini, c’era troppa luce.
    Bill si spostò di lato, pulendosi le labbra con il dorso della mano e un’espressone dolorante in viso.
    - Che cosa ho fatto…
    E poi lo guardò con gli occhi spalancati, increduli e spaventati.
    E corse via, lontano da lui, lontano dalla gente che stava arrivando.
    - Thomas!
    Fu la voce del figlio di Clara a risvegliarlo dal torpore di quel momento, e ringraziò il cielo che il piccolo gli corresse tra le braccia, e lui potesse nascondersi dietro le sue piccole grida di gioia. Clara li raggiunse, seguita dal monaco che aveva distratto.
    L’uomo lo salutò, e di nuovo Tom potè giurare che si stesse chiedendo dove l’aveva già visto, forse senza capire subito che era solo uguale a Bill, ad un monaco del suo stesso monastero.
    - Cara sorella, vi devo salutare mi sono trattenuto oltre il tempo dovuto, a causa del vostro adorabile Matthias. Devo ritrovare il fratello con cui stavo praticando lo spaziamento.
    - Credo sia andato a raccogliere bacche in quella direzione.
    Intervenne Tom indicando al monaco la direzione che Bill aveva preso; sarebbe stato compito di Bill, ricomporsi per tempo, esattamente come aveva dovuto fare lui. Non bastava scappare a passo veloce da lì.
    Il certosino lo ringraziò, pur continuando a guardarlo con aria assorta, e stupita. Salutò Clara, e suo figlio, e prese la direzione del bosco.
    Thomas, sentì gli occhi di Clara su di sé.
    - Sembrate provato, state bene? Siete riuscito a parlare a vostro fratello?
    Tom serrò le mascelle, e inspirò forte dal naso. C’era riuscito, l’aveva trovato, ritrovato, avuto indietro per un istante ma poi quel momento era volato via, in un batter d’ali, e lui aveva ancora il sapore di Bill sulle labbra. La sua voce nelle orecchie.
    I suoi occhi dentro.
    - Sì, sì ci sono riuscito. E’ molto felice della sua vita nel monastero.
    Sorrise a Clara, un sorriso largo e convinto, ben studiato per uccidere la tristezza che era dentro al suo cuore, e il tormento, che non gli dava pace, perché ora sapeva tante cose, sapeva tutto. Che Bill era lì, che Bill se lo ricordava, che Bill lo rifiutava a parole ma era ancora suo. Loro erano ancora loro.
    E, istintivamente quando lei gli sorrise di rimando, le avvolse le spalle con il suo braccio. E Clara non si divincolò da lui.
    Matthias, giocava con i rami del sentiero, seduto sulle spalle di Tom.

    Non finse affetto per lei, perché l’affetto per Clara crebbe spontaneo dentro di lui, grazie alla convivenza quotidiana, al rispetto reciproco, all’affetto e alla gioia di stare con il piccolo Matthias.
    Clara divenne per lui una buona moglie, e Thomas fu felice quando lei gli annunciò di aspettare un figlio da lui. Non c’era menzogna nella sua gioia, dopo quattro mesi in cui Bill non era uscito mai insieme ai confratelli per lo spaziamento settimanale, dopo quattro mesi in cui Tom aveva fissato immobile, e solo, mura bianche e sbarre di ferro.
    Dopo quattro eterni mesi, in cui Tom alle quattro del mattino sgattaiolava via nel bosco, per cercare legna, e si piegava sulle ginocchia, di fianco alle mura che davano sul pescheto, a sentire i canti del Mattutino perché in quei canti lui riusciva a distinguere la sua voce. La voce di Bill.
    Si era dannato, Tom, a cercare una soluzione, ad un modo per avvicinarlo. Ma non l’aveva trovato. Aveva avvicinato un monaco, un mese dopo il loro incontro nei boschi, quasi nello stesso luogo, chiedendo notizie di Wilheim, ma questi gli aveva risposto che:
    - Le anime dei fratelli sono nelle sicure mani di Dio.
    E Tom aveva rinunciato a combattere contro scudi invisibili.
    Aveva pianto la notte del loro incontro, mesi prima, e aveva pianto di nuovo, quella notte.
    Clara non aveva fatto domande, non era entrata nella sua stanza; c’era entrato lui, due ore dopo, e aveva sfogato il suo corpo in quello di lei, per sentirsi amato. Abbracciato. Voluto. Consolato.
    E lei lo aveva accolto.
    Clara, era ciò che riempiva i suoi giorni e che gli permetteva di passare le notti, e anche se quando si univa a lei non aveva mai sentito una sola volta, per lei, neanche un decimo del trasporto che aveva mai avuto quando lui si univa a Bill, le voleva bene. Era l’unica persona con cui Tom potesse decidere di trascorrere del tempo, diversamente che con Bill.
    Era l’unico modo per stare anche vicino a lui, era questa la verità; guardare lo stesso cielo, sentire lo stesso vento, sentire gli stessi fringuelli cinguettare verso lo stesso sole.
    Clara, gli aveva chiesto se fosse riuscito a rivedere il fratello, e Tom aveva detto di no, senza curarsi troppo di nascondere la sua frustrazione.
    Bill era rinchiuso dentro sbarre inattaccabili: quelle della mente, della fede, della convinzione e della costrizione autoinflitta.

    Accadde in una mattinata di settembre, che Thomas vide qualcosa che non si aspettava.
    Passò con il suo cavallo vicino ad Engelgarten, per andare a cercare farina al villaggio vicino, e vide un saio bianco oltre il cancello. Insolito a quell’ora in cui i monaci erano in preghiera.
    Scese da cavallo, guidato più dall’istinto che da una reale speranza, e il suo cuore di nuovo fronteggiò i salti temporali che solo quella sagoma, e quelle mani, poteva infliggergli. Lui conosceva tutto di Bill, qualsiasi minuscolo dettaglio, glielo avrebbe fatto distinguere a distanza infinite. E lui era lì.
    Si avvicinò al cancello, lasciando il cavallo dentro al bosco, legato, e cercando di non fare il minimo rumore.
    Bill, era in giardino, nella luce bluastra e metallica dell’alba. Era inginocchiato a terra, con il viso riverso sull’erba. Un rosario tra le dita lunghissime, il cappuccio a nascondergli il capo.
    Tom non si accorse di essersi aggrappato al cancello d’istinto, per avvicinarsi il più possibile attirato come una calamita verso di lui, sempre verso di lui.
    Il cancello scricchiolò, e Bill tirò su la testa di scatto, spaventato.
    - Chi c’è?
    E ci mise qualche istante a riconoscere in quella fioca luce, la sagoma davanti a sé.
    Ma quella sagoma aveva la sua stessa altezza, aveva lunghi capelli castani legati, lo guardava, aveva il profumo intenso e il respiro di Tom.
    E Bill lo riconobbe, senza che Tom dovesse dire nulla, e Tom non si sentì in colpa, di averlo spaventato, perché pensò che Bill se ne sarebbe semplicemente andato di lì a poco, fuggendo da lui. Di nuovo. Ma non accadde.
    Bill si sollevò da terra, con il volto ancora incappucciato e si avvicinò al cancello. Fissandolo nuovamente, come se lui fosse un fantasma.
    La pelle di Bill era bianca e luminosa come la luna, nella luce dell’alba che si alzava piano nella radura. I suoi occhi erano assottigliati, stanchi, eppure brillanti, e stupiti. Grandi nei suoi.
    Tom non credette ai suoi occhi, quando Bill appoggiò una mano sulla sua, oltre le sbarre.
    La pelle di Bill era nuovamente ghiacciata, contro la sua calda.
    Gli occhi scuri di Bill si fecero densi, ricoperti da un manto amorevole.
    - Sei ancora qui…
    La sua voce era sottile. Lieve. Incantevole. E Tom non riuscì a fingere freddezza, non riuscì a fingere nulla, non riuscì a reagire che con la verità, con il cuore in mano.
    - Sempre…
    I loro occhi brillarono più del sole che stava sorgendo, gli uni negli altri, e Bill non disse altro, e Tom neanche. Avvicinarono i loro visi e si guardarono negli occhi, per un tempo interminabile; le mani unite, le pelli a contatto, i cuori all’unisono, e le anime legate.
    Oltre le sbarre.
    Il lunedì successivo, Tom aspettò trepidante di vedere il corteo dei certosini abbandonare il monastero, a metà pomeriggio.
    Ma Bill non era tra loro, e il suo cuore fu invaso dallo sconcerto, dalla rabbia, dal dolore, e dalla frustrazione. Si era illuso, di nuovo. Si era illuso di poter sognare ancora la sua pelle, il suo profumo, si era illuso di poterlo stringere tra le braccia.
    Si era illuso, per lui, anche di poter sconfiggere il senso di colpa verso la sua famiglia, la sua nuova famiglia, perché Bill, era la sua sola famiglia.
    Corse nel bosco, a perdifiato, gettò pugni contro duri tronchi, e si ferì le mani.
    Urlò, sull’orlo del precipizio ai lati della collina. Urlò e cadde in ginocchio. E pianse lacrime amare.
    Ma un tocco sfiorò il suo capo, mentre lui ancora piangeva, il viso tra le mani.
    Alzò di scatto il viso, sicuro di trovare quello di Clara davanti a sé. Pronto a spiegare, pronto a negare. Ma si sbagliava, non c’era Clara davanti a lui. C’era un saio bianco, che il suo sguardo risaliva fino a trovare gli occhi più belli che i suoi avessero mai visto.
    C’era Bill, di fronte a lui, la mano ancora tra i suoi capelli, e un sorriso aperto. Si alzò in piedi, sotto lo sguardo tranquillo del fratello, e puntò gli occhi nei suoi, incredulo.
    Sgomento.
    - Ho tardato ad uscire, perché volevo allontanarmi dai confratelli. Anche se non dovrei farlo. Non dovrei fare niente di quello che farò…Tom.
    Gli occhi di Bill erano diversi, la voce di Bill era diversa, lo sguardo di Bill era diverso. Le mani di Bill erano diverse, mentre stringevano le sue.
    La labbra di Bill erano le stesse, mentre affogavano le sue.
    E sentì ancora sale, nella bocca, quando le loro lacrime si infransero nei loro baci. E non si accorse, Tom, che una maledizione si stava spezzando, mentre il sole scendeva.
    Perché i loro corpi cadevano a terra, i loro indumenti strisciavano lungo le loro pelli, e li lasciavano nudi. Perché dopo quasi undici, lunghi anni, il sole vedeva una nuova figura in controluce, prima di morire. Una figura unica, nitida, baci e carezze; un corpo unito, indiviso.
    Un cuore solo.
    E Bill pianse le braccia di Tom mentre insieme appiccavano fuoco alle loro anime, e le condannavano all’inferno, e i loro corpi bruciavano, uno per l’altro, e uno nell’altro, con lo stesso colore rosso intenso, caldo e vivo, con cui il sole poco dopo scendeva, oltre la collina.
    Regalando loro, il più eterno dei tramonti.








    FINE



















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    Edited by *HEILIG* - 1/3/2011, 09:47
     
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  2. morgana17_69
     
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    *.* ASSASSINA!!.....oddeo simo dovrei essere diplomatica ma non lo sarò: mi è piaciuta tantissimooooooooooooooo...mi sono uscite anche le lacrime perchè ho sofferto con Tom al di là di quelle sbarre, nella mente e nel cuore: non avresti potuto descrivere una prigione più reale, mortale e triste di questa!....una prigione non solo materiale fatta di mura e sbarre ma quella ancor più crudele della sofferenza interiore, della costrizione psicologica: un vero tormento!
    CITAZIONE
    Signore, i donati ed i monaci del chiostro votano la loro vita a Dio, lasciano i legami terrestri, e la vita passata. Il loro posto è qui, disgiunti dalle umane traversìe, e giunti a Dio.

    ecco la prigione più indissolubile di tutte... :(

    CITAZIONE
    - Adesso sono di Dio, Tom. Io sono di Dio.

    la mazzata più grande....il colpo lacerante che spacca il cuore in due*almeno il mio*

    CITAZIONE
    Bill era rinchiuso dentro sbarre inattaccabili: quelle della mente, della fede, della convinzione e della costrizione autoinflitta.

    ... qui proprio la disperazione assoluta...*immagino sempre di essere nei panni di Tom...perchè così, almeno IO, ho vissuto questa storia*

    CITAZIONE
    le mani unite, le pelli a contatto, i cuori all’unisono, e le anime legate.
    Oltre le sbarre.

    ...ma per fortuna a volte si riesce anche a uscire dalle prigioni che noi stessi ci creiamo (quelle metali e dello spirito) ...oltre da quelle fatte di vero ferro e mattoni!

    CITAZIONE
    mentre insieme appiccavano fuoco alle loro anime, e le condannavano all’inferno, e i loro corpi bruciavano, uno per l’altro, e uno nell’altro, con lo stesso colore rosso intenso, caldo e vivo, con cui il sole poco dopo scendeva, oltre la collina.

    Regalando loro, il più eterno dei tramonti.

    ecco, magari c'è chi non sarà d'accordo, ma personalmente son felicissima che tutti e due abbiano riconquistato la loro libertà.....visti i tempi e le usanze del tempo(ma forse anche ora) "bruciando" le loro anime e i loro corpi! l'idea di questo "tramonto eterno" mi piace un sacco perchè con un'immagine così triste, definisci la fine reale, per sempre, di qualcosa di triste e doloroso, d'interiore...ma quello che rimane, quello che per sottrazione resta, in questo caso, è il loro amore che non finirà mai! la prigione si sgretola, non esiste più....rimane solo il sentimento e la libertà! grande simooooooooooooooooo !!!!!*applaude*
     
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  3. ohshit!
     
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    Io non so categoricamente esprimermi.
    Che ti devo dire? Brava?
    Allora in quel caso ti insulterei.
    Queste parole mi hanno scombussolata non poco, e credo che tornerò più tardi a fare un commento decente.
    Sì, credo sia meglio così, anche se ogni parola screditerà al massimo questa meraviglia.
    Scusa, Simo.
     
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  4. *HEILIG*
     
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    CITAZIONE (morgana17_69 @ 28/2/2011, 12:01) 
    *.* ASSASSINA!!...

    muahahahahahhah X°D amòòòò

    CITAZIONE
    ..oddeo simo dovrei essere diplomatica ma non lo sarò: mi è piaciuta tantissimooooooooooooooo...mi sono uscite anche le lacrime perchè ho sofferto con Tom al di là di quelle sbarre, nella mente e nel cuore: non avresti potuto descrivere una prigione più reale, mortale e triste di questa!....una prigione non solo materiale fatta di mura e sbarre ma quella ancor più crudele della sofferenza interiore, della costrizione psicologica: un vero tormento!

    oh sì, era proprio questo il mio intento: far percepire che le sbarre della prigione sono tanto quelle da cui esce tom materialmente, non per una vera colpa, quanto quelle non tanto del monastero ma delle convinzioni di fede, che Bill crede lo possano tenere lontato da Tom.

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    - Adesso sono di Dio, Tom. Io sono di Dio.

    la mazzata più grande....il colpo lacerante che spacca il cuore in due*almeno il mio*

    Già, ci tengo molto a quella uscita, rende molto; Bill si scopre a Tom ammettendo di essere di Dio ma soprattutto di essere stato suo, negando l'evidenza e dicendo la più classica delle frasi della conversione: l'appartenenza a Dio. Ma Dio non è carne e sangue, Dio non lo può abbracciare, lui non ama Dio, semmai vi ha trovato un mondo protetto, proprio e solo perchè trincerato dietro sbarre e limiti rigidi, soprattutto mentali.
    Bill glielo dice come se ora amasse un altro uomo, e non Tom, ma non è così e credo che sia per questo, che Tom riesce subito a reagire. Perchè è vero che Dio non è confrontabile a un ragazzo, ma Dio non è la stessa cosa, che amare un ragazzo...

    CITAZIONE
    immagino sempre di essere nei panni di Tom...perchè così, almeno IO, ho vissuto questa storia*

    *O*

    CITAZIONE
    ...ma per fortuna a volte si riesce anche a uscire dalle prigioni che noi stessi ci creiamo (quelle metali e dello spirito) ...oltre da quelle fatte di vero ferro e mattoni!

    eh sì, questo è il concetto *O*

    CITAZIONE
    ecco, magari c'è chi non sarà d'accordo, ma personalmente son felicissima che tutti e due abbiano riconquistato la loro libertà.....visti i tempi e le usanze del tempo(ma forse anche ora) "bruciando" le loro anime e i loro corpi! l'idea di questo "tramonto eterno" mi piace un sacco perchè con un'immagine così triste, definisci la fine reale, per sempre, di qualcosa di triste e doloroso, d'interiore...ma quello che rimane, quello che per sottrazione resta, in questo caso, è il loro amore che non finirà mai! la prigione si sgretola, non esiste più....rimane solo il sentimento e la libertà! grande simooooooooooooooooo !!!!!*applaude*

    *abbraccia*

    ti voglio bene sil, tu mi stimi troppo e lo sai, ma grazie di essere sempre così presente e così entusiasta, di me <3

    va da sè che tu non puoi proprio votarla questa XD
     
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  5. morgana17_69
     
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    come non posso votarlaaaaaa??????? :o:

    ma a proposito ora come lo leggo TOD???
     
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  6. *HEILIG*
     
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    eh tesò tu mi adori, se ti metto in giuria non va bene XD

    guarda che TOD sta sempre lì ed è leggible e commentabile veh XD
     
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  7. barby's
     
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    Stupenda l'ambientazione e la cura dei dettagli, come sempre riesci a creare un piccolo mondo per farci arrivare un'emozione o una riflessione... quelle sbarre non sono solo fisiche, ma mentali e superarle significa scegliere tra ciò che è considerato lecito e ciò che non lo è... scegliere tra bene e male... scegliere tra redenzione e peccato... scegliere un peccato che peccato forse non sarà mai perchè equivale all'amore ed ovviamente l'amore è sempre la scelta piu' giusta comunque...stupenda
     
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  8. morgana17_69
     
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    CITAZIONE
    eh tesò tu mi adori, se ti metto in giuria non va bene XD

    ...... :wub:

    CITAZIONE
    guarda che TOD sta sempre lì ed è leggible e commentabile veh XD

    ...madddoveeeee???io ieri ho controllato subito se fosse ancora lì e mica l'ho vistoooooo!!!!sicura simo???*non si è spostato tutto sul sito????*
     
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  9. *HEILIG*
     
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    CITAZIONE (morgana17_69 @ 2/3/2011, 15:34) 
    ...... :wub:

    ...... :wub:

    CITAZIONE
    CITAZIONE
    guarda che TOD sta sempre lì ed è leggible e commentabile veh XD

    ...madddoveeeee???io ieri ho controllato subito se fosse ancora lì e mica l'ho vistoooooo!!!!sicura simo???*non si è spostato tutto sul sito????*

    *prende la testolina di Sil e la attacca alla corrente*

    Ecchila qua, sceminaaaaaa
     
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  10. morgana17_69
     
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    :blink: oooohhh ma come hai fattoooooo??!?!?!io so stata tipo 3 ore a cercareee e non la trovavo piùùùùù*abbrazza*
     
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  11. *HEILIG*
     
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    CITAZIONE (ohshit! @ 28/2/2011, 15:49) 
    Io non so categoricamente esprimermi.
    Che ti devo dire? Brava?
    Allora in quel caso ti insulterei.

    Ma Adì tu puoi dirmi quello che vuoi tesoro e poi scusa, brava mica è un insulto ;)
    No, cioè,...insomma...grazie della stima <3

    CITAZIONE
    Queste parole mi hanno scombussolata non poco, e credo che tornerò più tardi a fare un commento decente.

    "scombussolata": bella, mi piace questa cosa. Torna a spiegarmela, che ci tengo davvero...

    CITAZIONE
    Sì, credo sia meglio così, anche se ogni parola screditerà al massimo questa meraviglia.

    Ma smettila cosa vuoi screditare tu!! Parla, dimmi, esprimi quello che vuoi: mi interessano anche i silenzi!

    CITAZIONE
    Scusa, Simo.

    Eh? cosa? Non ti sento.
     
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  12. *HEILIG*
     
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    Chiudo la discussione, perchè si è deciso di spostare anche questo sul sito.

    Quando la posti dovresti metterla nella categoria "Contest di scrittura" che poi verrà chiusa quando ci saranno tutte.

    Se le lettrici volessero essere così carine da ripostarti pari pari i commenti tu con l'ozione rispondi potresti ripostare anche le risposte e mantenere quasi tutto come lo hai qui.

    ^-^


    SPOILER (click to view)
    scrivo a me stessa, LOL
     
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11 replies since 28/2/2011, 04:15   129 views
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