Just a Friend?

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. dada_bastarda
     
    .

    User deleted


    up :) :)
    nuova lettrice !!!! :D
    a dir poco stupenda ..continua presto
     
    Top
    .
  2. Black_Sunshine
     
    .

    User deleted


    Grazie a Racahele e Dada!
    Spero continuerete a leggere!
     
    Top
    .
  3. .Enigmatic
     
    .

    User deleted


    Quando posti? =)
     
    Top
    .
  4. Black_Sunshine
     
    .

    User deleted


    presto...!!! tranquille!
     
    Top
    .
  5. **Pazoiid**
     
    .

    User deleted


    Siii la trama mi incuriosisce parecchio...
    Chissà che accadrà tra sti due..!? Sono proprio curiosa

    Scrivi molto bene,brava :)

    ps: posta presto ;)
     
    Top
    .
  6. Black_Sunshine
     
    .

    User deleted


    ciao **Pazoiid** sono felice che ti sei unita a noi... sto facendo betare la storia, per essere sicura che non ci siano errori!
     
    Top
    .
  7. rachel_93
     
    .

    User deleted


    up! :)
     
    Top
    .
  8. dada_bastarda
     
    .

    User deleted


    uP!!!
     
    Top
    .
  9. Black_Sunshine
     
    .

    User deleted


    Come promesso ecco il secondo capitolo!!!
    un grazie a tutte voi!!!
    siete mitiche!

    2. Capitolo



    E come ogni mattina mi ritrovavo davanti a quell’insegna.
    ‘Music Lab’.
    Il piccolo negozio di musica dove lavoravo.
    Me lo avevano consigliato Bill e Tom dall’alto dei loro TRE anni da star internazionali.
    Era un posto abbastanza famoso a Berlino.
    Solo con le referenze dei miei due gemellini ero riuscita ad avere un posto.
    Ed era inutile dire che i superiori mi trattassero con i guanti bianchi, visto chi mi aveva raccomandata.
    Certo, sapevo di esserlo, ma sapevo anche che lavoravo bene e che la musica era la mia stessa vita.
    Entrai velocemente, come ogni mattina, venendo subito investita dall’odore di limone.
    Il detersivo per pavimenti che tanto piaceva a Jared.
    Ed infatti era lì, con lo scopettone tra le mani a lucidare i pavimenti di finto marmo lucido, con la T-shirt nera con la grande stampa rossa che recitava ‘Music Lab’, i jeans tranciati che ricadevano sugli anfibi.
    Mi stava simpatico Jared, era un tipo cinico e sarcastico, che sapeva così tanto di musica da ammutolirmi.
    Ero sicurissima che gli unici con cui potesse avere una conversazione decente sulla musica fossero Tom o Gustav.
    «‘Giorno, Jey Jey!» esclamai, avvicinandomi a lui.
    «Cribbio, Izzy! Ho appena passato lo straccio! Fantastico...» borbottò, alzando lo sguardo verso di me.
    I suoi grandi occhi verdi mi lanciarono un’occhiataccia per poi salutarmi appena. «Buongiorno».
    Ridacchiai, prendendo la mia t-shirt e infilandomela.
    «Hanno appena portato un nuovo pacco. Puoi smistarlo tu?» mi domandò, mentre ripassava dove avevo messo i piedi entrando.
    Annuii senza proferire parola e mi avviai verso il bancone.
    Nell’aria si diffondeva la voce di Pink, che si stava esibendo in una vecchia canzone intitolata ‘Cuz I Can!’.
    Iniziai a tenere il tempo, canticchiando.
    Jared sbuffò appena, posando pesantemente lo scopettone sul pavimento.
    Non poteva piacergli visto i suoi gusti.
    Sex Pistols, Ramones, Clash... tutta la sfera del Punk che aveva infiammato gli anni settanta.
    Era un miracolo che gli piacessero i Green Day.
    Afferrai il pacco posato sul bancone lucido e guardai i nomi scritti su di essi.
    «Perché è scritto in finlandese qui?» domandai, alzando un sopracciglio.


    Jared fece spallucce, continuando a pulire. «Dei fornitori si sono trasferiti lì».
    «Di chi sono i CD?» chiesi ancora, cercando le forbici in quel macello che c’era dietro il bancone.
    «Dietro la cassa, Isabel» mi face notare, posando lo scopettone in uno degli sgabuzzini.
    Afferrai trionfante l’oggetto mentre lui mi si avvicinava ridendo.
    Si appoggiò al bancone e mi sorrise «Classico: Eminem, Rihanna, Justin Bieber e...».
    Affondai le mani tra i CD, iniziando a frugare tra di essi.
    Ne estrassi uno con su scritto un nome che conoscevo benissimo.
    Sorrisi, posandolo sul tavolo e ammirandolo.
    «...Tokio Hotel, ovviamente» ridacchiò Jared, guardandolo il DVD.
    «Tom mi aveva detto che usciva tra una settimana» sospirai, passandovi sopra una mano.
    Aspettavo da tempo di vedere tra le miei mani il CD di ‘Humanoid City Live’.
    Non ero potuta andare ad un loro concerto quell’anno perché forze maggiori - i miei zii – mi avevano impedito di partire con loro per l’Italia, insieme a Gordon e Andreas.
    Ovviamente i gemelli c’erano rimasti male perché avrebbero voluto che alla registrazione del loro DVD ci fossero anche le persone più importanti della loro vita.
    Voleva riguardarlo e pensare ‘Wow! Lì c’erano anche loro!’.
    Però Tom aveva insistito a collegare una telecamera al mio computer.
    “In modo che tu possa seguirlo come se fossi qui” le avevano detto i gemelli sorridendo.
    «Certo... Tom» commentò ironico Jared. «Come se tu conoscessi Tom Kaulitz von Tokio Hotel» scimmiottò l’ultima parte della frase, gonfiando il petto.
    Perfetta imitazione di Tom.
    Scoppiai a ridere, reggendomi al bancone mentre lui si esibiva nella perfetta imitazione di Tom sopra il palco, con tanto di leccata di piercing.



    «Sei un’idiota!» esclamai tra una risata e l’altra. «Smettila, me la sto facendo sotto!».
    «Che c’è, bambina? Il fascino del tuo ‘amichetto’ ti mette a disagio?» scimmiottò, appoggiandosi al bancone con aria sensuale.
    Dovetti fare appello a tutta la mia forza di volontà per non ridere dicendo: “Sai, Jared... io e Tom non siamo soltanto amici, ma andiamo anche a letto insieme”. Annuii sarcastica. «Certo, Jey Jey... Ma tu sei molto più bello di lui!».
    Lui mi fece l’occhiolino ridendo. «Non c’è confronto».
    «Non capisco perché tu non mi creda» sbottai, guardandolo truce. «Che devo fare per farti capire che conosco i gemelli da quando guardavamo ‘Dragon Ball’ insieme?».
    «Guardavi ‘Dragon Ball’, Isabel?» alzò un sopracciglio sorpreso.
    «Sta’ zitto!» esclamai. «Era carino, comunque» mi difesi.
    «Non ti credo perché è matematicamente impossibile che uno come Tom Kaulitz abbia un’amica. Cioè... se le fa tutte! E poi perché mai tu dovresti lavorare qui, quando il loro migliore amico ha contatti con l’Universal?».
    Sospirai.
    Avevano proposto anche a me quel lavoro, ma non avevo voluto interferire con la loro carriera; non volevo invadere uno spazio prettamente maschile.
    Poi, quando me l’avevano proposto, la mia amicizia con Tom non era ancora così intima e non avevo visto l’utilità di andare con loro in giro per l’Europa.
    Pensandoci in quel momento, invece, mi davo della cretina.
    «Non ho voluto io» sbuffai affranta. «E sono stata una cretina».
    La risata di Jared si diffuse immancabilmente per la stanza.
    Si dovette reggere al bancone per non rotolare a terra.
    «Non chiamo uno specialista in malattie mentali soltanto perché sei simpatica».
    «Ed io non ti eviro perché ho pietà per Brigitta! Quella povera ragazza...» esclamai piccata. «Un giorno ti presenterò Tom».


    «Ed io Angelina Jolie!».

    ﴾…﴿



    Ehi, Izzy! Questo pomeriggio quel caprone di Tom mi ha ‘permesso’ di vederti. Idiota... Ti veniamo a prendere al lavoro e dopo andiamo al Pub. Offre l’Universal!
    Un bacio,
    Bill.


    Sorrisi leggendo il messaggio.
    Istintivamente lo sguardo mi cadde sull’orologio appeso di fronte al bancone.
    18:30.
    Sorrisi.
    Jared si era arrampicato su una scala per trovare un vinile vecchio come il cucco di David Bowie, ordinato da un tizio di Stoccarda.
    Certo che se uno doveva venire da Stoccarda per comprare un vinile... Piuttosto avrebbe potuto farsi un giro su eBay!
    Mi appoggiai con le braccia congiunte al bancone. «Tra una mezz’oretta ti presenterò i famosi gemelli Kaulitz, così la finirai di dirmi che sono una pazza con le allucinazioni».
    Jared rise, girandosi verso di me. «Non ho detto che hai le allucinazione, ma che ti inventi un sacco di cazzate».
    «Beh, questa non mi pare un’allucinazione». Girai il cellulare dove splendeva ancora il messaggino di Bill.
    Il mio collega alzò un sopracciglio.
    Con un balzo scese dalla scala e si avvicinò a me.
    Prese il cellulare e, scettico, lesse velocemente quello che vi era scritto subito.
    Fece un verso di dissenso e me lo ripassò. «Come faccio ad essere sicuro che quel messaggio te l’abbia mandato proprio quello lì...» indicò la gigantografia dei Tokio Hotel, proprio di fronte al nostro negozio. «...e non un’altra esagitata? Voi fan dei Tokio Hotel siete strane».
    «Noi fan dei...? Jared, che fai? Insulti?». Incrociai le braccia sbuffando. «E in cosa saremmo strane?».
    «In cosa siete normali» mi corresse. «Scrivete delle bambinate in cui costringete un povero Cristo in situazioni al limite dell’assurdo; urlate come invasate prima, durante e dopo i loro concerti; vi appostate davanti ai cancelli dei palazzetti SETTIMANE prima dei concerti soltanto per essere travolte e spinte in prima fila; fate a botte tra di voi; vi accampate davanti alle entrate dei loro alberghi per poi scoprire che escono dal retro; urlate come ossesse ‘Bill, ti amo!’, ‘Tom, scopami attraverso il monsone!’ e la metà di voi non sa nemmeno come si chiamano quei due sfigati al basso e alla batteria. A proposito... come si chiamano?».
    «Gustav e Georg» commentai inespressiva.
    «Ah, già. Va beh... E poi dite anche che Bill è così sexy e virile. Ma l’avete visto?! Cioè... io, fino a tre mesi fa, pensavo fosse una donna e, cazzo!, mi aveva fatto eccitare quella donna!» urlò in preda ad una crisi isterica. «I suoi capelli, le sue mani, il suo...».


    «Pene?» inclinai la testa divertita.
    «Vaffanculo!» sbraitò. «E poi vi fate chiamare ‘Bibi’, ‘Tomi’ e via dicendo. Quel Bill sul tuo cellulare potrebbe non essere quello vero».
    «Hai finito?». Alzai un sopracciglio annoiata.
    Lui annuì, respirando affannosamente.
    «Primo: Jared, voglio ricordarti che ai concerti punk, senza offesa, pisciano addosso al pubblico». Scossi la testa. «Secondo: non sono delle invasate, ma soltanto molto devote al loro gruppo preferito, e dimostrano in ogni modo il loro affetto - cosa che tu, da una mandria di ragazzine, non vedrai mai -». Mi mandò di nuovo al quel paese. «Terzo: Bill potrà sembrare una donna, come dici tu, ma è innegabile che sia bello come il sole. Cioè... guardalo!». Gli indicai di nuovo il cartellone. «Una ragazza può pensare quello che gli pare del ragazzo che le piace, punto. O è un reato?».
    Feci scivolare lo sguardo verso la porta vetrata.
    Una grande Cadillac stava parcheggiando vicino all’entrata.
    Sorrisi beffarda.
    «Certo che è un reato! Significa non avere la vista!» esclamò il ragazzo. «Cioè... ma l’hai visto?!».
    «Chi?» domandai, vedendoli entrare silenziosamente.
    «Bill Kaulitz, chi sennò?!» sbuffò.
    «Chi mi chiama?» trillò una voce che fece sobbalzare Jared.
    I due gemelli erano sulla porta.
    Tom aveva le mani immerse nelle grandi tasche della felpa di un color grigio scuro, che indossava sopra la mega t-shirt bianca con i risvolti neri.
    Gli ultimi bottoni erano chiusi e lasciavano la parte superiore aperta.
    I lunghi jeans chiari e rovinai su una gamba, slavati, e decisamente calati e grandi che cadevano sulle Reebok marroni basse.
    Al collo aveva una chefia colorata che sembrava proteggerlo da quel leggero freddo che la sera aveva regalato a Berlino.
    Le braccia erano incrociate contro il petto allenato e il suo viso da bambino, privo di qualsiasi imperfezione, aveva stampato un punto interrogativo sul volto.
    Bill, al suo fianco, sembrava uscito da un altro pianeta.
    Una giacca di finto serpente nera lucida copriva il suo addome magro, lasciando in bella vista una parte del petto senza peli.
    Coprivano un paio di jeans aderentissimi a sigaretta, scuri, che evidenziavano le gambe magre e lunghe e che cadevano su degli stivaletti neri bassi.
    Teneva le maniche tirate su per il gomito e sul braccio sinistro potevo ammirare il suo bellissimo tatuaggio.
    Sul braccio destro aveva dei bracciali borchiati.
    Il suo sguardo era ingenuità pura, nascosta dietro agli occhi contornati di nero.
    Gli occhi di Jared slittarono prima sui due, poi sulla gigantografia, poi di nuovo sui due e, alla fine, si posarono su di me, traumatizzati.
    «Bill! Tom!» esclamai sorridendo e guardando sorniona il mio collega.
    «Izzy, scusaci l’anticipo!» soggiunse Bill allegramente.
    Sorrisi, inclinando la testa. «Su, Bibi, non importa. Tanto fra poco finisco il turno».
    «Tu... tu conosci davvero...» balbettò Jared, puntando gli occhi sui gemelli.
    «Il tuo amico sembra un tantino traumatizzato» esordì Tom, avvicinandosi al bancone.
    Scoppiai a ridere. «Diciamo che è un po’ sorpreso».
    Bill gli si avvicinò saltellando e allungò una mano. «Io sono Bill, piacere di conoscerti!».
    Jared guardò la sua mano, poi lui, poi di nuovo la sua mano. «So chi sei».


    Tom ridacchiò al mio fianco.
    «Non mi credeva quando dicevo che vi conosco» esclamai sorridendo.
    Tom scosse la testa ridendo.
    «Beh, sì, certo» farfugliò Bill. «Lo so che mi conosce mezza Europa, ma non è gentile dire ‘So che sai chi sono’». Si grattò la testa, ridendo imbarazzato. «Tu chi sei?».
    «J-Jared» balbettò, stringendo la mano super curata del mio migliore amico.
    Tom si sporse verso di me e mi stampò un piccolo bacio sulle labbra.
    Casto, a stampo. Strano da parte sua...
    «Questo è soltanto l’anticipo di quello che ho progettato per te questa notte» sorrise Tom. «E poi c’è il tuo amichetto qui. Non posso farmi vedere mentre amoreggio con te».
    Sbuffai. «Sembra che stiamo insieme».
    «Beh, è strano che due amici scopino come facciamo noi, quindi... Beh, sì, dovrebbe rimanere segreto. Anche perché io sono...».
    «Tom Kaulitz von Tokio Hotel». Incrociai le braccia. «La so la solfa, Tom».
    La sua risata risuonò per il negozio, mischiandosi a quella di Bill, che stava ridacchiando con Jared.
    Gli occhi ancora increduli del mio amico slittavano sul corpo di Bill.
    Sorrisi appena.
    «Perché in anticipo? Di solito fate a botte con l’orologio» sghignazzai.
    «Oh, sì, giusto!» esclamò Bill, girandosi verso di me. «Avevo...».
    «Abbiamo!» lo corresse Tom.
    Come sempre, Bill lo ignorò, continuando a parlare. «Avevo pensato che ti dovessi cambiare, così ti ho portato dei vestiti. Spero ti piacciano» sorrise.
    Era innegabile che Bill avesse un sorriso da rimanerci secchi.
    Quando sorrideva risplendeva di luce propria.
    «Li ho scelti io!» si pavoneggiò Bill, guardando male Tom mentre questo sbuffava. «Lui voleva prenderti una mini formato pezzo di stoffa, un top a fascia di ovvio gusto e degli stivali di pelle fetish!».
    «Erano sexy!» si difese Tom, alzando le mani.
    «No, erano da battona!» lo corresse bruscamente Bill, accompagnando il tutto con un’occhiata assassina. «E Isabel non è una battona!».
    Scossi la testa.
    Adoravo i miei gemellini. Erano la mia fonte di gioia.
    Persino quando mi chiamavano durante il tour e sentivo David dare di matto per una foto ‘spinta’ di Tom con una groupie e la sua voce calma dirgli ‘David, calmati o ti scoppierà quella vena che pulsa sulla tua fronte. È soltanto una stramaledettissima foto! E poi, dannazione!, guarda che culo che ho! Cioè... sono veramente perfetto!’.
    Adoravo il loro carattere, la loro allegria, la loro ironia, la loro sfacciataggine, la loro forza.
    I gemelli erano veramente una fonte inesauribile di allegria.
    Tutte le cazzate che avevano contraddistinto la mia adolescenza le avevo fatte con loro.
    Ero stata nella macchina di Gordon, quando Tom aveva preso l’albero e aveva dato la colpa a Simone; c’ero stata quando Bill e quella mandria di pazzi dei suoi amici aveva deciso di mangiare a sbafo e poi scavalcare la finestra del bagno per pagare.


    Ero stata al Fan Party dove i gemelli si erano talmente ubriacati che Tom aveva scambiato Bill per una donna e lo aveva baciato.
    Ricordo anche quando, a scuola, Tom prese lo skate e slittò per la classe, colpendo in testa un professore.
    Oppure quando resero la vita impossibile al mio ex, facendogli credere che una ragazza avesse intenzione di ucciderlo.
    «Su, ragazzi, fatemi vedere questa roba» bloccai sul nascere una loro possibile discussione.
    Per i gemelli Kaulitz ogni occasione era buona per bisticciare e fare a gara di battute sarcastiche.
    Jared si avvicinò a me sorridendo. «Forti!».
    Gli sorrisi e Tom mi lanciò un sacchetto nero.
    «Premetto che siamo andati ad occhio con le taglie» iniziò il chitarrista, grattandosi la testa. «Non ricordavamo se portavi la 40 o la 42».
    «40» risposi, incrociando le braccia.


    I loro visi si illuminarono di un sorriso splendente.
    Avevano azzeccato.
    «Bill diceva la 42, ma io la 40!» risuonò trionfante Tom. «Abbiamo bisticciato anche lì».
    «La commessa ci ha detto che stavamo facendo venire un infarto alle ragazze nel negozio perché ci eravamo fatti scoprire».
    Scoppiai a ridere come una pazza, infilando le mani nella sacca.
    Ne estrassi un paio di aderentissimi leggings lucidi, un top a canotta nero con dei brillantini e un teschio grigio che spiccava appena.
    In fondo vi era una collana abbastanza lunga con un ciondolo a stella.
    Li guardai sorridendo. «Sono bellissimi, non dovevate!».
    «Ci sono anche le scarpe» trillò Bill sorridendo. «Porti il 38?».
    Annuii mentre, da una delle buste che poco prima Bill aveva buttato contro il bancone, estraeva una scatola rossa con la scritta ‘Prada’.
    Sgranai gli occhi.
    Prada?
    Ma erano per caso impazziti?
    La spinse sorridendo verso di me e mi incitò con lo sguardo ad aprirla.
    Scossi la testa, posando le mani sulla scatola, e l’aprii.
    Mi trovai davanti ad un paio di francesine aperte e spuntate con una chiusura lampo sul davanti borchiata.
    Nera come il resto del completo con un tacco 10.
    Erano davvero bellissimi.
    Le guardai senza fiato.
    «Sono...». Scossi la testa, incredula. «...bellissime».
    I gemelli mi sorrisero, sporgendosi verso di me. «Questo è per sopportarci ogni giorno».
    «Ma vaffanculo! Non lo faccio per le francesine di Prada!» sbottai incredula.
    Quei due mi facevano sempre sorprese del genere.
    Come la Citröen Survolt – ergo la macchina dei miei sogni - che i gemelli mi avevano regalato per i diciotto anni.
    Mi sorrisero gentilmente, come soltanto loro sapevano fare.
    «Che aspetti?» trillò Bill. «Ti cambi, o hai intenzione di farci marcire qua dentro?».
    «O peggio» soggiunse Jared. «Vuoi che entri una di quelle esagitate e li lasci in mutande?».
    Tom sgranò gli occhi, rizzandosi in piedi; si girò guardandosi intorno, poi sospirò sollevato.
    Jared rise di quella reazione.
    Sorrisi e mi infilai in uno degli sgabuzzini, vestendomi.



    ﴾…﴿



    Il solito pub dove andavo con i gemelli era chiamato ‘Punk Irish Pub’.
    Era un ritrovo per gente alternativa, per band squattrinate e in cerca di successo.
    Un posto all’apparenza tetro, ma in cui avevo passato momenti bellissimi.
    Poi essere accolti da una cover band che fa ballare con ‘Hitchin’ A Ride” dei Green Day era sempre fantastico.
    Alcuni ragazzi erano al centro della pista, proprio vicino al palco, e ballavano freneticamente.


    Sorrisi mentre, a braccetto con i due, mi avvicinavo al tavolo più rumoroso della sala.
    Un tintinnio continuo di bicchieri che cozzavano tra di loro sfumava sotto la voce del cantante.
    «Contate con me! Un, due, tre...». Allungava il microfono e la folla esplodeva in un ‘Un, due, tre’ collettivo.
    Sorrisi impercettibilmente, mentre alcune ragazze mi lanciavano occhiate invidiose.
    Ero pur sempre con i gemelli Kaulitz.
    «Ehi, gemellini! Chi si rivede!» esclamò senza alcun tatto e decisamente brillo Frank.
    Scossi la testa, sedendomi su una delle panche.
    Alice, la mia migliore amica, mi accolse con un sorriso e due baci sulle guance. «Pensavamo foste morti!».
    «Già» incalzò Andreas. «A cosa dobbiamo il ritardo?».
    «Siamo delle Star, Andy» rise Bill. «Farci aspettare è il nostro mestiere».


    Una risata collettiva abbracciò il tavolo.
    «Certo, Kaulitz» ridacchiò Matt. «Ci siete mancati, comunque».
    «Che sentimentalismo, eh?». Tom alzò un sopracciglio. «A proposito... La mia birra?».

    ﴾…﴿



    «Rimani a dormire da me?». Tom si abbassò verso di me.
    La gente intorno a noi era completamente partita.
    Bill ormai non riusciva più ad articolare due parole in croce senza sentirsi male, o ridere per qualcosa di inesistente.
    Sorrisi maliziosa. «Che dici?».
    Mi sfiorò le labbra con le proprie quasi timidamente.
    Sorrisi sulle sue labbra, afferrando il colletto della sua t-shirt, e lo spinsi verso di me.
    Imprigionai le sue labbra in un lungo bacio passionale.
    In fondo amavo baciare Tom: era così dannatamente bravo, così eccitante.
    Lasciai che la sua lingua mi esplorasse e giocasse con la mia.
    Sorrise mentre mordevo il suo piercing al labbro.
    «Lo prendo come un sì» ridacchiò lui, e mentre parlava mi sfiorava le labbra.
    «Mah... non sono gay, ma questa sera ho una gran voglia di scopare Matt e tu mi sembri così...».
    Tom voltò il capo verso suo fratello.
    L’amico lo reggeva, cercando di scrollarselo di dosso.
    Scosse la testa, avvicinandosi a lui. «Bill, andiamo a nanna».
    «Eh? Ma io non ho sonno!» biascicò lui con voce impastata. «Voglio scopare!».
    «Sì, Bill... certo... Ma ora andiamo, okay?». Tom lo prese per una manica.
    Bill esagerava sempre e lo faceva sin da quando era un ragazzino.
    Non beveva spesso, ma quando lo faceva perdeva veramente il controllo e aveva due tipi di sbornia: quella triste e quella disinibita.
    O l’una o l’altra creava un sacco di problemi al gemello, che invece si ubriacava difficilmente perché reggeva molto di più l’alcool.
    Ricordo perfettamente le scenate di Bill da ubriaco.
    Quella al primo Comet in cui lui e Tom si erano presentati all’intervista completamente ubriachi.
    O a quella festa dove Saki aveva dovuto trascinarlo via perché era saltato addosso ad una P.R.
    O ancora quando in Svizzera aveva pianto per tutta la notte sulla spalla di una ragazza perché non voleva che lei pensasse di essere una puttana.
    Per non parlare di Amburgo, quando i due gemelli, completamente partiti, erano quasi finiti a letto insieme, non fosse stato per David che li aveva chiusi in camera.
    Tom caricò il gemello in macchina e poi mi spinse verso l’autovettura.
    Mandai un messaggio a mia zia, avvisandola che andavo a dormire da Alice - sospettava qualcosa, ricordate? -, mentre Tom saliva sbattendo la portiera.
    «Portiamo il bimbo a letto e poi giochiamo, okay?» mi sorrise, ingranando la marcia.
    «Mi piace tanto giocare con te».
     
    Top
    .
  10. dada_bastarda
     
    .

    User deleted


    aaaaaaaaaaaaah
    capito stupendo ,non smettevo di ridere ahah Bill xD

    [«Portiamo il bimbo a letto e poi giochiamo, okay?» mi sorrise, ingranando la marcia.
    «Mi piace tanto giocare con te».]

    anchio voglio giocare con lui xD

    [«Mah... non sono gay, ma questa sera ho una gran voglia di scopare Matt e tu mi sembri così...».]

    ahahah non ho parole
    continua presto !!!!:)
     
    Top
    .
  11. Black_Sunshine
     
    .

    User deleted


    grazieee!!!!
     
    Top
    .
  12. *Nessa*
     
    .

    User deleted


    Bella bella continua**
     
    Top
    .
  13. brix -
     
    .

    User deleted


    capitolo stupendo!
    hahah stavo rotolando a terra dalle risate leggendo di Bill ubriaco xD
     
    Top
    .
  14. Black_Sunshine
     
    .

    User deleted


    Grazie!
     
    Top
    .
  15. **Pazoiid**
     
    .

    User deleted


    Capitolo meraviglioso,brava ;)

    Bill ubriaco è davvero forte u.u

    continua presto
     
    Top
    .
91 replies since 15/8/2010, 09:30   1960 views
  Share  
.