[CONCLUSA] Scheiß Liebe

Amore di Merda

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    Ciò che ti sta rendendo felice,
    rende me più triste.
    사랑해, 바보 ♥

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    CITAZIONE (•Sheeb @ 23/10/2009, 20:34)
    **
    sono nuovaaaaa!
    bellissima, cavolo scrivi benissimo!!
    riesco solo a dire posta presto!!
    non so poprio come commentare, è troppo bella!!**

    Oddio, Grazie mille **
    Sono contentissima che ti piaccia >__<
     
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  2. •Sheeb
     
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    prego**
    posta presto^^
    baci Amon!!
     
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  3. •Jumbì
     
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    Quando riuscirò a riprendermi, scriverò un commento decente...
     
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  4. «Lella-TH;
     
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    mi sto appassionando troppo o_o
    postaaaaaaaaaaaa!
     
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    Capitolo 7;
    Le Full Moon





    «Tom! Ma mi stai ascoltando?»
    «Eh?»
    «Quanti cazzo di bicchieri ti sei scolato?»
    «Non mi ricordo», sbiascicai annoiato.
    Bill spostò lo sguardo sui bicchieri appoggiati davanti a me. «Sono minimo quattro birre! E due super alcolici!» contò velocemente.
    «Ma io non sono ubriaco», ribattei con calma.
    «Quante sono queste?» mi chiese, aprendo l’intera mano davanti a me.
    «Cinque», risposi deciso, alzando gli occhi al cielo. «Sto bene».
    Bill mi lanciò un’occhiataccia. «Non ancora per molto». Mi tolse il bicchiere di birra mezzo pieno dalle mani. «Adesso basta però», mi rimproverò.
    «Si, mamma».
    Sospirò, puntando una mano su un fianco. «Come mai ti sei dato all’alcool stasera? Niente ragazze?»
    Non lo stavo guardando. Era tutta la sera che avevo gli occhi puntati su quella ragazza. Continuavo a chiedermi chi fosse e del perché della sua strana risposta di qualche ora prima. Avevo una strana sensazione nello stomaco: c’era qualcosa che sentivo essere sbagliato. Forse aveva solo ragione Bill e il mio apparato digerente rispondeva all’alcol preso a stomaco vuoto.
    Mio fratello seguì incuriosito la direzione del mio sguardo.
    «E’ lei la nuova preda?» domandò, con una nota di esitazione nella voce, a cui, in quel momento, non feci molto caso.
    Non risposi di nuovo.
    «Non assomiglia per niente alle altre. Da quando ti interessi a quel genere di ragazze?» continuò un po’ confuso.
    Capivo la sua perplessità; nella sala c’erano un sacco di belle ragazze che rispondevano perfettamente ai miei canoni: avevo l’imbarazzo della scelta. Quella sera, però, per qualche ragione che non riuscivo a focalizzare, delle altre non me ne fregava proprio nulla. Avevo in mente lei. Chiunque fosse.
    «Da quando mi ha rifiutato», risposi infine. Ero cosciente non fosse affatto l’unico motivo – non fosse un motivo e basta – ma ero quasi certo che sarebbe bastato per evitare una serie di domande scomode a cui non avrei saputo rispondere.
    Bill scoppiò a ridere. «Mi devo complimentare con lei! Era ora che qualcuno lo facesse!» esclamò divertito.
    Grugnii. «Ecco, bravo, vai a complimentarti, e magari chiedile anche come si chiama».
    «Perché? Non gliel’hai chiesto tu?»
    «L’ho fatto. ‘Non ti è necessario saperlo’: ha detto così»
    Bill alzò un sopracciglio divertito. Potevo leggere nei suoi occhi la curiosità, e anche qualcos’altro: qualcosa che non mi piaceva. C’era una luce beffarda.
    «Wow, ti deve conoscere bene questa ragazza»
    Infatti…
    «Bill, tu ricordi di averla mai vista?» gli domandai.
    «Non mi pare; perché?»
    «Sei sicuro?»
    La osservò meglio e mi rispose con il medesimo verdetto. «Mai vista prima», mi assicurò.
    Bill aveva una buona memoria e parlava sempre con le ragazze che prendevo con me. Eppure, lui non se la ricordava. Mi sbagliavo forse? Possibile che mi fossi solo immaginato di conoscerla? Oppure rientrava in quella piccola cerchia di ragazze che avevo avvicinato da solo?
    «Dai, vado a parlarle», annunciò infine.
    «Davvero?»
    «Si, certo, perché no? Tanto faccio sempre così».
    «Nome, età e nazionalità», elencai.
    «Non è Italiana?», domandò confuso.
    «Parla perfettamente Tedesco»
    «Oh, bene. Così sarà più semplice». Sorrise. «A dopo allora».
    Annuii e lui si avviò.
    «Ah, Tomi!» esclamò, tornando a voltarsi verso di me.
    «Si?»
    «Sei sicuro di voler sapere tutte quelle cose?»
    «Che cosa vuoi dire?»
    Fece spallucce. «Di solito non ti interessi di questi particolari», mi fece notare.
    Vero; anche questo doveva apparire insolito.
    «Non è che ti piace un po’ più del dovuto?» insinuò.
    Dove diavolo voleva arrivare, ora? Mi stava confondendo le idee.
    «Bill, che vai blaterando? Non la conosco neppure, e sai benissimo che sono anni che non mi piace nessuno. Veramente, intendo»
    «Ti sbagli», mi ammonì.
    «Su che cosa?»
    Alzò di nuovo le spalle, sorrise e si allontanò senza aggiungere altro, lasciandomi con un’espressione contrariata sul viso.


    Bill tornò un quarto d’ora dopo.
    Avevo osservato il suo comportamento durante quei minuti e, come tutte le volte, mi ero stupito del suo modo di fare aperto e sicuro, ma allo stesso tempo gentile e affabile. Anche lui era timido, ma cercava sempre di nascondere quella parte di sé, lasciando apparire sempre solo e soltanto il Bill carismatico. In realtà, mi era sembrato addirittura più sciolto del solito.
    Anche quella ragazza l’aveva salutato e accolto come se fossero amici da una vita.
    «Eccomi», esclamò Bill, quando tornò da me.
    «Cosa hai scoperto?»
    «Praticamente…» Ci pensò su. «Niente», decretò infine, sorridendo.
    «Come sarebbe a dire niente?!» ribattei incredulo.
    «Beh, sa che sono tuo fratello; probabilmente ha intuito le nostre intenzioni», spiegò, sedendosi sullo sgabello acconto a me.
    «E che hai fatto per tutto questo tempo?»
    Alzò le spalle, nuovamente. Sembrava che si fosse ridotto a quello per comunicare con me. «Questa cosa incomincia davvero a innervosirmi», borbottai parlando tra me e me. Com’è che avevano tutti quest’aria di mistero?
    Bill rise. «Benvenuto sulla Terra! Qui non tutte le donne cadono hai tuoi piedi».
    Sorrisi: non aveva capito il motivo della mia lamentela.
    «Non è possibile che nessuno sappia come si chiama in questo posto», constatai poi.
    «Infatti molta gente lo sa», ribatté tranquillo lui, mentre succhiava dalla cannuccia gran parte del mio drink. «Qui tutti sanno il suo nome, anche il barista probabilmente».
    Mi stava prendendo in giro?
    Lo guardai perplesso, incitandolo a continuare.
    «E’ la cantante del gruppo che ha vinto il famoso premio per cui stiamo festeggiando», spiegò infine.
    «Cosa?! E tu questo come lo sai?», domandai incredulo.
    «Guarda dietro di te».
    Mi voltai seguendo il consiglio di Bill, e quello che mi si presentò davanti fu un Poster gigante, raffigurate quattro ragazze diversissime tra di loro. E lei era lì, nel centro della foto; un microfono in mano.
    Appena più sotto, faceva capolino la scritta Full Moon.
    Come avevo fatto a non notarlo?
    «Vuoi che chieda a qualcun altro il suo nome?», tornò a chiedermi.
    «No, no, lascia stare. Tanto non la rivedrò più», mi affrettai a rispondere.
    Cosa diavolo mi interessava sapere il suo nome? Era evidente che dovevo averla vista in qualche cartellone pubblicitario: per questo avevo la sensazione di conoscerla. Anche nel caso in cui avessi scoperto la sua identità, comunque, non potevo essere certo di riuscire a risalire a un giorno, a un luogo o a una situazione. Io dimenticavo sempre i nomi.
    «Come vuoi», terminò Bill, finendo il mio Drink con un ultimo sorso.
    «Bill!» Qualcuno lo chiamò, allegramente.
    Ci voltammo entrambi e, davanti a noi, si presentò – si parla del diavolo… - lei.
    «Ehi, ciao!» esclamò mio fratello in risposta.
    «Ti va di venire ai divanetti? Ti devo presentare una persona», lo invitò sorridente la ragazza. Aveva tutt’altra espressione, rispetto a quando aveva parlato con me. L’agitazione era sparita completamente.
    «Lei?» Chiese mio fratello allusivo.
    «Si, lei», rispose la mora, sorridendo complice.
    Io li guardavo stralunato, senza riuscire a cogliere il senso delle loro frasi.
    «Arrivo», disse Bill alzandosi. «Vieni anche tu?» domandò, voltandosi verso di me.
    Lo guardai un po’ dubbioso. Cos’era tutta quella confidenza tra di loro?
    «Allora?» incalzò.
    «Si, vengo».

    Scoprii che la “lei” di cui parlavano, era una ragazza di nome Frei, la chitarrista delle Full Moon.
    Davvero molto bella: alta, di carnagione chiara; aveva i capelli che le giungevano fin sotto il sedere, di un bellissimo castano chiaro con riflessi ramati; gli occhi erano nocciola, identici ai miei e a quelli di Bill, e le sue gote erano colorate da un delizioso rosa. Vestiva in modo elegante, ma, allo stesso tempo, si potevano riscontare molte influenze Skater. Un bel tipo, davvero. Mi ritrovai ad andarci subito d’accordo.
    Anche Frei sapeva il Tedesco - anzi, tutte e quattro le componenti del loro gruppo lo conoscevano, e fu proprio lì che scoprii che lo parlavano grazie agli studi, non sicuramente per origini Tedesche.
    La bassista delle Full Moon non poteva nemmeno lontanamente essere nostra Fan, lo notai subito. Si chiamava Angelika. Durante la serata mi guardò forse solo una volta, con uno sguardo così ostile che credetti potesse compiere un omicidio da un momento all’altro. Quella volta mi bastò e avanzò.
    Per ultima, c’era Val - Valerie, per intero -, la batterista. Il suo stile era più sobrio di quello delle sue compagne: semplice e sportivo. Non portava accessori particolari, e il suo trucco non era affatto appariscente.
    Il suo nome, ancora non l’avevo scoperto.
    Sembrava si fossero messi tutti d’accordo per non farmelo scoprire. Quando avevano bisogno di chiamarla, usavano appellativi alternativi, o monosillabi come “Ehi!” e “Oh”.
    In effetti, non potevo essere sicuro che non si fossero davvero messe d’accordo.
    Avevo detto a Bill di non voler più conoscere l’identità di quella ragazza, ma la curiosità era troppo forte. Perché impegnarsi tanto per nascondere un nome? Ben presto decisi che lo avrei scoperto a modo mio.
    Il momento opportuno si presentò poco dopo. Angelika e Val si erano lanciate in pista, attirate dalla canzone del momento, e Bill aveva invitato Frei a fare una passeggiata fuori. Sapevo che a mio fratello piaceva quella ragazza, l’avevo notato; era strano vederlo alle prese con una situazione simile: secoli che non lo vedevo con una ragazza.
    Ad ogni modo, mi limitai a lanciargli un’occhiata intenditrice prima che si allontanasse.
    Mi ritrovai da solo con lei, come desideravo. Eravamo uno si fronte all’altro.
    «Vedo che la maglia si è asciugata perfettamente», cominciò. Sentivo una nota di disagio nella sua voce.
    «Già, è un po’ stropicciata, ma niente di che» risposi guardandola intensamente, mentre bevevo altra birra per sembrare più sciolto. «Quindi…» Continuai. «Sei la leader delle Full Moon».
    «La leader non direi. Solo la cantante», ci tenne a correggermi.
    «Anche Bill diceva così cinque anni fa». Faceva strano pensare che erano già passati così tanti anni.
    «Sarà, ma per ora, preferisco che non mi si dia della leader».
    «Come vuoi», conclusi, sorseggiando di nuovo dal bicchiere. «Per quale motivo non vuoi dirmi il tuo nome?» le chiesi qualche secondo più tardi.
    «Per quale motivo ti interessa così tanto?» ribatté prontamente lei.
    «Se avessi in mente di fare qualcosa di più che parlare, con te?»
    «Quello che hai in mente tu, non è affar mio, e, in ogni caso, non mi lascerò certo usare da te».
    Poggiai la birra sul tavolino di fronte a noi e mi avvicinai a lei, sedendomi al suo fianco.
    «Ne sei certa?» le sussurrai a quel punto vicino all’orecchio.
    Lei si voltò verso di me e mi guardò assassina negli occhi.
    «Al cento per cento».
    Continuammo a fissarci per dei secondi interminabili. Nessuno dei due aveva intenzione di cedere, ma vidi la sua sicurezza tentennare in quell’arco di tempo, fino a spezzarsi.
    «D-devo andare in bagno», inventò alzandosi.
    «Quanta fretta!» La fermai prendendole il braccio e la strattonai facendola cadere su di me. «Dimmi il tuo nome» soffiai.
    Fu in quel momento che notai il suo collo bianco completamente scoperto proprio davanti ai miei occhi. Non dovetti ragionarci molto: le mie labbra di posarono sulla sua epidermide senza aspettare un ordine.
    La sentii sussultare al contatto freddo del mio piercing.
    «Potresti venirlo a sapere da chiunque qui, perché ti ostini a chiederlo a me?» domandò frustrata.
    «Si, potrei… Ma sarebbe troppo facile».
    Le presi tra le labbra il lobo dell’orecchio, mordicchiandolo. Se fosse stato un momento normale mi sarei dato del deficiente, ma ero abbastanza alticcio da essere giustificabile.
    Lei si scostò liberandosi dalla mia presa, e si alzò.
    «Allora scordati di venirlo a sapere», decretò acida.
    Mi alzai a mia volta e le cinsi i fianchi avvicinandola a me.
    «Lasciami», ordinò.
    «Il nome».
    «No».
    Risi. «Questi tuoi rifiuti mi fanno solo eccitare di più», dissi leccandomi le labbra.
    «A che gioco stai giocando, Tom?»
    Affondai la testa sul suo collo così eccitante prendendo di nuovo a baciarlo. «Dimmelo tu».
    «Lasciami!» Ripeté: questa volta suonò più come una supplica.
    Mi stacciai dal suo collo dopo averle lasciato un succhiotto e le alzai il mento con il pollice, in modo che i suoi occhi fossero in pieno contatto con i miei.
    Vidi la confusione nei suoi, che cercavano di sfuggirmi: non reggeva il mio sguardo. Dopo qualche secondo, cominciarono ad inumidirsi, diventando estremamente lucidi.
    «Tomi… Cosa diavolo vuoi da me?»
    Aveva perso il controllo, la sentivo agitarsi tra le mie braccia e… Mi aveva chiamato “Tomi”. Era strano sentirsi chiamare così da qualcuno all’infuori di Bill. Era… Piacevole?
    «Voglio un nome».
    La vidi schiudere le labbra per rispondere. Sapevo che quella volta avrei ottenuto quello che volevo…
    «TOOOOM!»
    Lanciai un’occhiataccia a mio fratello che stava tornando.
    Maledizione! Proprio adesso?!
    La ragazza, ancora tra le mie braccia, approfittò della mia distrazione e mi pestò un piede.
    «Ahi!»
    Lasciai la presa, e lei scappò. «Cazzo!» Imprecai.
    Bill mi raggiunse. «Dove correva?» Chiese innocente.
    «Idiota!»
    «Che ho fatto?»





    Capitolo 8;
    Un nuovo nome





    «Dai, dimmi il tuo nome, cosa ti costa?» la pregai, accarezzandole la schiena nuda.
    «Forse te lo dico più tardi; ora voglio fare altro», mi rispose maliziosamente.
    «Per esempio, cosa?» le sussurrai nell’orecchio mentre le mie dita si spostavano sulla sua coscia.
    «Non saprei… Dimmelo tu». Guardai i suoi occhi cioccolato affogandoci dentro, e presi inevitabilmente a baciarla con foga, mentre lei mi massaggiava facendomi impazzire.
    «Ah… », gemetti. «Dim… Dimmi chi sei…»

    «TOM!» Una voce mi riportò alla realtà. «Tom, svegliati!»
    «Bill…?» mi lamentai con un grugno, riconoscendo la voce ‘trapana timpani’ di mio fratello. Dannato interruttore di sogni costruttivi!
    «Era ora! E’ una vita che cerco di svegliarti!»
    «Ah, Bill! Sei uno strazio». Mi portai il cuscino sulla faccia e tentai di rimettermi a dormire. Sentii mio fratello sbuffare e poi sorridere. «Per caso, ho interrotto qualcosa di… Eccitante?» chiese, inarcando un sopracciglio, divertito.
    «Niente di particolare», borbottai.
    «Il tuo amichetto, qui, non sembra d’accordo», ridacchiò.
    Solo in quel momento mi accorsi di averlo in tiro.
    «Come diamine sei entrato?» ribattei irritato guardando la sveglia sul comodino: le dieci.
    «Ti ricordo che abbiamo le camere comunicanti, e, con tutti i versi che facevi, non riuscivo a dormire».
    Gli lanciai addosso il cuscino, che lui abilmente bloccò davanti al viso. «Ah… Dimmi chi sei…» mi scimmiottò.
    «Io sono più sexy mentre lo dico».
    Bill alzò gli occhi al cielo, poi scoppiammo entrambi a ridere.
    «Idiota».
    «Disse il nanerottolo».
    Mi alzai, e gli tirai uno schiaffetto sulla testa, dirigendomi verso il bagno.
    «Tanto lo so che stavi sognando lei», esordì maliziosamente dopo avermi seguito con lo sguardo.
    «Lo dici come se dovessi vergognarmene». Mi sciacquai il viso con l’acqua fredda e mi asciugai affondando il viso nella stoffa spugnosa dell’accappatoio dato in dotazione dall’Hotel.
    «Quindi lo ammetti: ho ragione!» esclamò soddisfatto.
    «Non l’ho mai detto. E non vedo perché dovrei raccontarti anche questo; sei già onnipresente nella mia vita, ci manca solo che rompi anche quando si tratta di sogni!».
    Misi il dentifricio sullo spazzolino e svogliatamente cominciai a passarlo i denti.
    «Dai, Tomi! Sognavi lei, so che è così!»
    «S….ne….ei coì icuro, co….me oh chiedi….fare?»
    «Cosa?»
    Sputai il dentifricio nel lavandino e mi sciacquai la bocca. «Se ne sei così sicuro, cosa me lo chiedi a fare?» ripetei in maniera più comprensibile.
    «Beh, volevo la conferma», rispose, alzando le spalle. «E se ti interessa, lei sta nella camera accanto», aggiunse dopo qualche secondo di silenzio.
    «Cosa ti fa pensare che sia un’informazione rilevante?» ribattei.
    Bill sorrise sornione. «Fai pure il sostenuto. Io so la verità». Alzai gli occhi al cielo. «Piuttosto, Tomi… Mi chiedevo se… Beh, insomma! Non ti da fastidio chiamarla lei
    «La vuoi smettere di assillarmi con questa dannata ragazza?!» esclamai.
    Uscii dal bagno scansandolo e andai a cercare qualcosa da mettermi nella valigia.
    «Ma dai, è fastidioso non sapere il suo nome!» si lamentò, seguendomi. «Metti quella blu», mi consigliò vedendo la mia indecisione davanti alle diverse maglie. «I pantaloni più scuri», aggiunse poi. Seguii i suoi consigli e cominciai a vestirmi.
    «Io non ci vedo niente di fastidioso». Più o meno. Beh, aveva ragione, parlando in tutta sincerità, ma non gli avrei mai lasciato la soddisfazione di farmi trovare d’accordo con lui.
    «Dici così solo perché non sei riuscito a farti dire il suo nome. Il Sex-Gott perde colpi».
    Iniziava davvero a irritarmi, e, purtroppo, sapevo che il suo intento era proprio quello. In questi casi sapeva sempre dove andare a parare: era l’unico che riusciva a farmi saltare i nervi anche con una sola parola.
    «Se non fosse stato per te, ieri sera, l’avrei scoperto», gli feci notare.
    «Ma se è scappata via a gambe levate!»
    «Bill?»
    «Sì, Tomi?» rispose innocente.
    «Tu non dovevi andare a vestirti?»
    «E perché mai, sono così bello in boxer, non sei d’accordo?»
    Schioccai la lingua roteando gli occhi. «Tra me e te c’è un abisso, fratellino».
    «Già, hai ragione, infatti da me le ragazze non scappano». Sorrise soddisfatto.
    «Corri a cambiarti, SUBITO!» gli ordinai, alzando un braccio e puntando l’indice verso la sua stanza.
    «Signor sì, Signore!». Mi fece il segno militare e si allontanò verso camera sua. «Ah!» esclamò, facendo dietro-front.
    «Che c’è ancora!?»
    «Puoi sempre darglielo tu un nome, se non riesci a fartelo dire».
    «Dargli un nome?! Ma sei scemo?» ribattei incredulo.
    «E che c’è di scemo nel darle un nome?»
    «Non sono mica suo padre!»
    «E che c’entra? E’ romantico, no? Così la chiamerai con il nome che le hai scelto tu». Sorrise.
    «Non ti avevo detto di filare in camera tua?» gli ricordai impaziente.
    «Sì, Maggiore Tom!» E si chiuse la porta alle spalle, varcando la soglia.
    «Tzè, romantico… Ma che razza di idee gli vengono in mente?».
    Tornai a sdraiarmi sul letto a due piazze, mentre involontariamente, scorrevo dei nomi femminili nella mia testa.
    «Sharon? No, sembra un nome da zoccola», sussurrai.
    Oddio, ma ci sto davvero pensando?!
    «Bill, devi smetterla di mettermi in testa queste cavolate», farfugliai.
    Mio fratello si affacciò alla porta. «Hai detto qualcosa?»
    «No», scoccai seccato.
    Lui sogghignò. «Ci stai pensando, vero?»
    Lo fulminai con lo sguardo. «Non dovevi truccarti?», gli domandai, nel tentativo di farlo sparire di nuovo. «La tua faccia mi infastidisce».
    «E’ uguale alla tua Tom».
    Grugnii. Bill sorrise. «Comunque evita Sharon, è un nome da zoccola».
    Ci avevo già pensato.
    «E anche nomi tipo Lily: sembrerebbe un barboncino».
    «Glielo devi scegliere tu o io il nome?» chiesi spazientito.
    «Quindi glielo darai?»
    «Stamattina sei insolitamente insistente o sbaglio?»
    Alzò le spalle. «Sono solo curioso», si giustificò – senza nemmeno impegnarsi troppo -, poi cominciò a tracciare una linea scura con la matita sull’occhio sinistro, davanti al mio specchio. «E’ strano vedere che ti interessi a una ragazza di quel tipo».
    «Se tu la smettessi di parlarne, avrei già smesso di pensarci da un bel pezzo».
    Alzò un sopracciglio. «Che ne dici di Melanie?» propose, ignorando la mia risposta.
    «Come quella delle Spicegirls? No, non le si addice proprio».
    «Come quelle delle Spicegirls: sono due».
    «Non fa differenza», tagliai corto.
    «Karen?»
    «E che razza di nome sarebbe?»
    «Isabella?»
    «Mi stanno antipatiche le Isabella».
    «Okay, allora… Samantha?»
    «Certo che i tuoi gusti fanno proprio schifo…»
    Si voltò verso di me, ignorando di nuovo la mia risposta, e mi puntò la matita contro. «Che ne dici di Chaterine?»
    «No».
    «Oh, Tomi! Ce ne sarà uno che ti vada bene!» si lamentò, finendo di truccarsi.
    «Questi nomi, sono troppo… Comuni». Lei era diversa dalle altre; se proprio dovevo sceglierle un nome, volevo che fosse altrettanto diverso.
    «Comuni?»
    «Si, comuni», confermai.
    Bill mi sorrise con una strana luce negli occhi. «Bene, allora lo lascio scegliere a te».
    Rimasi allibito. «Vuoi dire che mi lasci in pace?»
    Fece spallucce.
    «Avresti dovuto dirmelo prima che bastava così poco per farti stare zitto!»
    «Ma se non sai nemmeno che cosa hai fatto?!». Sorrise di nuovo.
    Beh, non aveva tutti i torti. «Che ho fatto, quindi?»
    «Non sperare che te lo venga a dire così!» Sistemò i suoi trucchi e prese il giubbotto di pelle che aveva lasciato sul suo letto.
    «Dove vai?»
    «A fare un giro per negozi. Ricordati che oggi pomeriggio alle tre abbiamo un’intervista», mi ricordò.
    «Ah, già». Che palle!
    «Non divertirti troppo». Sorrise sornione e uscì.

    Edited by .Nightmare; - 9/11/2010, 18:55
     
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  6. •Sheeb
     
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    **
    che bellooo!
    Biill!!!!
    io lo adoro, è troppo carinoo!!**
    posta presto ti pregoo^^
     
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  7. «Lella-TH;
     
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    E' bellissima!
    Ahah divertente la parte quando va a svegliare Tom! : )
    Pooosta!
     
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  8. •Sheeb
     
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    Posta presto, ti prego^^!!
     
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    Capitolo 9;
    Pioggia





    «Fra poco dovrebbe passare Frei, vedi di essere pronta». La voce di Angelika mi raggiunse.
    «Si, mamma», rispose un’altra voce più ovattata.
    Mi avvicinai alla porta e la socchiusi per spiare.
    «Ah, ricordati che alle tre c’è quella cosa», aggiunse la bassista, che si trovava in corridoio davanti alla porta aperta della stanza accanto alla mia: la numero 113.
    «Non c’è bisogno che me lo ricordi». Riuscii a percepire un sorriso nella sua voce. Angelika alzò gli occhi al cielo appoggiandosi allo stipite della porta. «Ma dobbiamo andarci per forza?»
    «Se non vuoi venire non è un problema», rispose l’altra. «Ma io ho bisogno di parlare con Bill».
    Con Bill? Stanno parlando della nostra intervista, intuii.
    «Ma non puoi farlo più tardi? O adesso, magari? Chiedi qual è camera sua», propose l’amica.
    «Ti ricordo che Bill non è il cantante di una Band da quattro soldi, ma dei Tokio Hotel. Se riesco a trovare un secondo per parlare con lui è un miracolo».
    Angelika sbuffò. «Adesso non metterti a sparare certe cazzate da fan; sappiamo entrambe che se lo chiami si precipita da te in mezzo secondo».
    Che cosa voleva dire?
    «Angelika!» la rimproverò la cantante da dentro la stanza.
    «Okay, okay, sto zitta. Ci vediamo dopo».
    «Si, ciao». La bruna spinse la porta in modo da lasciarla socchiusa, e si allontanò.
    Ero stufo di stare in camera a girarmi i pollici, e la conversazione che avevo appena sentito mi aveva incuriosito. Uscii quindi dalla mia stanza e bussai alla porta della sua camera, anche se era aperta.
    «Entra, Frei! E’ aperto», la sentii urlare da dentro. Non me lo feci dire due volte ed entrai chiudendo la porta alle mie spalle. «Due secondi e arrivo», continuò dal bagno.
    Mi guardai intorno; la stanza era identica alla mia: l’arredamento, i colori, la moquette. L’aria, però, era diversa: c’era uno strano profumo dolce, probabilmente una fragranza femminile. Sulla scrivania erano sistemati diversi cosmetici e delle collane erano state abbandonate alla rinfusa lì accanto.
    Continuai ad osservare tentando di capire di più la ragazza che occupava quella stanza, ma con scarsi risultati. Lì dentro non c’era niente di apparentemente utile per intuire qualcosa di più del suo carattere; niente di personale da cui trarre informazione, a parte….
    Un piccolo quaderno dalla copertina rossa, appoggiato sul letto disfatto, catturò la mia attenzione. Mi chinai per prenderlo e l’osservai. Avevo in mano un normalissimo prodotto di cancelleria ma personalizzato sulla copertina con delle scritte nere: citazioni.
    Erano tre.
    La prima era la più corta e diceva: «Non rimpiangere mai ciò che hai fatto di sbagliato nella vita; rimpiangi solo ciò che no hai fatto», e, sotto, al posto del nome della persona citata, appariva la scritta ‘Sconosciuto’.
    La seconda citazione, non era un gran che più lunga della precedente, ma più elaborata; quasi avesse maggiore importanza: «L’amore non è conoscenza. Tu non devi sapere tutto di me, ma che tutto di me ti ama», di…
    Sorrisi.
    ‘Bill Kaulitz’.
    Per ultima, la frase più lunga: «Che cos’è un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di Rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, sarebbe pur sempre lo stesso dolce profumo», ‘William Shakespeare’.
    Il quaderno mi venne strappato di mano, prima che potessi davvero rendermene conto.
    «Chi ti ha dato il permesso di leggere?!» esclamò adirata, mentre mi voltavo verso di lei.
    «Io…non…»
    «Tu COSA?!» tuonò.
    Avrei voluto dire qualcosa, ma la mia attenzione fu catturata da altri particolari: portava una camicia bianca che le arrivava a mezza coscia, lasciandole le gambe scoperte.
    «Mi stai ascoltando?» domandò, calmandosi un poco. La vidi arrossire quando notò che stavo ‘ammirando’ il suo abbigliamento. «Non ho avuto il tempo di vestirmi», farfugliò.
    «Si… L’ho notato».
    La sua pelle chiara, ma tendente all’olivastro, creava un contrasto delizioso con il candore della camicia; e i capelli corvini, leggermente mossi, completavano l’opera incorniciandole il viso in quel momento leggermente imporporato.
    «Okay, ora però smettila di fissarmi».
    «Si…» risposi, quasi in tono ironico, mentre i miei occhi continuavano a studiarla.
    Lei si avvicinò alla valigia aperta, appoggiata accanto al letto e vi cacciò scocciata un paio di Jeans scuri, per poi indossarli di fretta, senza preoccuparsi di allacciarli.
    «Ora ti degni di guardarmi in faccia?» mi rimbeccò acidamente.
    Roteai gli occhi, mimando un ‘Che esagerata’ e riportai gli occhi verso l’alto.
    «Perché sei qui?» continuò.
    «Mi annoiavo».
    Mi lanciò un’occhiataccia. Avrei giurato volesse strozzarmi.
    «Come facevi a sapere che questa era la mia camera?»
    «Credo che i muri di questo Hotel siano fatti di carton-gesso. Credi dovrei lamentarmi con il personale? Altrimenti dovrei invitare Angelika a non parlare liberamente in mezzo al corridoio», risposi divertito.
    Vidi il suo viso diventare paonazzo. «Ah…» riuscì a sbiascicare. Era evidente che non avrebbe voluto sentissi: mi chiedevo perché.
    «Per quale motivo tra di voi parlate in tedesco?» domandai perplesso, recuperando un briciolo di serietà. «Anche lì hai scritto in tedesco…» aggiunsi, indicando il quaderno che aveva poggiato sulla valigia.
    «Perché siamo in Italia e se parliamo in tedesco nessuno ci capisce». Fece una pausa. «O quasi», si corresse, guardandomi storto. «In più, lo facciamo per questioni pratiche. Non vogliamo dimenticarcelo, perciò utilizziamo questo metodo per tenerlo allenato».
    Beh, sì, aveva senso. «Quindi quello sarebbe una specie di diario segreto?»
    «Non proprio», ripose poco convinta. «C’è poco di segreto qui sopra».
    «Da come me lo hai levato dalle mani non si direbbe», le feci notare.
    «Non mi va che la gente si metta a sbirciare nelle mie cose», si giustificò.
    Non mi convinse. Perché urlarmi addosso in quel modo se non aveva nessuna importanza? Ad ogni modo non indagai, facendo aumentare solo la mia voglia di conoscere il contenuto di quel quaderno.
    Rimasi in silenzio, e tornai ad osservarla. Questa volta mi concentrai sul viso: il naso piccolo, la bocca a cuore e gli occhi a mandorla, con le ciglia lunghissime. Ora che ci facevo caso, aveva qualcosa di asiatico. A prima vista non l’avevo notato, ma quel taglio di occhi, leggermente più tirato del normale, i capelli così scuri, la pelle chiara ma olivastra, erano un segnale chiaro.
    «Tom, per favore, di’ qualcosa. Odio i silenzi imbarazzanti», mi pregò.
    «Per me non era affatto imbarazzante», ribattei.
    Avrei voluto aggiungere qualcos’altro, ma qualcuno bussò alla porta proprio in quel momento.
    «Chi è?», domandò la mora.
    «Sono io!». Riconobbi la voce di Frei. «Sei pronta?»
    «Ancora un secondo».
    «Sbrigati, ho una cosa importantissima da raccontarti!», incitò euforica l’amica.
    «Si, arrivo!», rispose questa, tornando a rivolgersi a me. «Ti devo chiedere di-».
    «Sloggiare, sì», completai per lei, avvicinandomi. «Alle cinque sarò al Bar», le sussurrai in un orecchio. «L’ultimo divanetto a destra, accanto alla finestra che dà sul giardino».
    «Ehi! Ci sei?», la richiamò Frei da dietro la porta. «Che stai facendo, si può sapere?»
    «A-arrivo», balbettò lei.
    «Tutto bene?»
    «Sì, tutto bene», farfugliò avvicinandosi alla porta, e ignorando volutamente il mio sorrisino divertito.
    «Dai! Ho da raccontarti una cosa su Bill!»
    «Su Bill? Può interessare anche me?» domandai ad alta voce.
    Sentii Frei trattenere il respiro, poi balbettò: «E-era Tomi quello che ha parlato?». Certo che stava diventando un vizio chiamarmi così.
    L’amica aprì la porta.
    «Ehilà!» salutai.
    La chitarrista era immobile alla soglia; guardò la cantante con aria interrogativa e, quando notò il suo abbigliamento ‘essenziale’, vidi i suoi occhi sgranarsi. Farfugliò qualcosa in italiano.
    «Calmati», l’ammonì l’altra. «Tom?»
    «Sì?»
    «Puoi uscire», mi avvisò, e io, con rammarico, non potei obbiettare.
    «A più tardi», dissi allusivo e, definitivamente, uscii.
    Prima di chiudere la porta, sentii Frei chiedere spiegazione, preoccupatissima, all’amica.



    Io l’aspettai, ma lei non venne.
    All’inizio pensai che si fosse dimenticata dove fosse l’appuntamento, o che avesse avuto un contrattempo: forse era rimasta più tempo del previsto a parlare con Bill e non si era accorta che le cinque erano passate da un pezzo. Avevo chiamato mio fratello, dopo un po’, ma l’unica risposta che avevo ottenuto era stata: «Non la vedo da almeno un’ora. Non è che ti ha dato buca?»
    Rimasi almeno un altro quarto d’ora a fissare il giardino spoglio come un ebete. Fuori il tempo non era dei migliori; probabilmente, a momenti, si sarebbe messo a piovere. O forse a nevicare.
    Rimasi imbambolato, finché non la vidi.
    Attraversava il giardino su un sentiero di ghiaia a soli quattro metri dal Bar, leggendo un libro. Non guardava dove metteva i piedi, sembrava incredibilmente assorta nella lettura.
    Irritato mi alzai dal divanetto, lasciai la mancia sotto il bicchiere di birra che avevo bevuto solo a metà, e uscii. Non avevo idea del valore della banconota che avevo lasciato sul tavolo: avrebbe potuto anche essere da cento euro: non l’avevo nemmeno guardata.
    Mi misi a camminare velocemente, chiamandola.
    «Ehi! Fermati!» urlai. Ma lei non si voltò. Ci riprovai, ma il risultato fu lo stesso.
    Ecco, in un momento del genere, un nome, mi avrebbe fatto proprio comodo.
    Non avendo alternative, mi misi a correre e, quando la raggiunsi, la fermai per un braccio.
    Lei mi guardò stupita. «Tom!» esclamò.
    «Sì, Tom», ribattei scocciato. «Dove diavolo eri finita?»
    «In camera mia. E dove se no?» rispose con ovvietà, guardandomi storto.
    «Ti avevo detto di venire al Bar alle cinque», le ricordai.
    «Ah, quello».
    «Sì, quello».
    «Non capisco il perché di questo tono irritato», mi confessò, mentre piegava la pagina del libro che teneva ancora aperto tra le mani, a mo’ di segno, e lo chiudeva.
    «Mi hai dato buca!» esclamai. «E’ un’ora che ti aspetto!»
    Alzò un sopracciglio. «Io non avevo idea che tu mi aspettassi».
    La guardai incredulo.
    «Non mi hai mai chiesto di venire, mi hai solo detto che saresti stato al Bar alle cinque. Tecnicamente non ti ho dato buca», spiegò accennando un sorriso che non mi piacque per niente.
    L’ha fatto apposta!
    «Cosa pensi di ottenere facendo così?» domandai accusatorio.
    «Io?» chiese innocente. «Non capisco dove vuoi arrivare».
    «Non ti sei nemmeno girata mentre ti chiamavo!»
    «Io non ho sentito il mio nome», ribatté prontamente, sorridendo nuovamente.
    Era chiaro che voleva farmi fesso. E la cosa mi infastidiva parecchio, dato che ci riusciva perfettamente.
    «Okay, questa storia del nome comincia a darmi suoi nervi. Te lo chiedo per l’ultima volta: come ti chiami?»
    Lei rimase in silenzio, mentre una goccia d’acqua la colpiva proprio sulle labbra.
    «Sta cominciando a piovere, è meglio che io vada», disse infine.
    «Eh, no! Finché non mi dirai il tuo nome tu non ti muoverai di qui», la ammonii.
    «Allora preparati a prendere un malanno».
    «Sei tu la cantante, non io. Se ti ammali sei tu che non puoi salire sul palco».
    Si morse un labbro: questa volta l’avevo fregata.
    La pioggia cominciò a cadere più forte, tanto che ci ritrovammo completamente fradici dopo pochi secondi. L’acqua era gelida, ma io non avrei ceduto; non per primo, almeno.
    Passarono circa due minuti senza che nessuno dei due aprisse minimamente bocca. Io le tenevo la mano, per non farla scappare, e lei fissava la ghiaia sotto i nostri piedi. Pioveva talmente tanto, che, ad un certo punto, non fummo più in grado di cogliere nient’altro ad eccezione di noi stessi.
    Fu in quel momento che notai che le sue labbra avevano assunto un colorito viola e che lottava per non tremare.
    «Stai bene?», mi ritrovai a chiedere di istinto. Maledizione, perché finiva sempre così?
    Lei annuì piano, senza guardarmi in faccia. Con la mano sinistra le presi il viso e la voltai verso di me. Era ghiacciata.
    «Okay, ora basta. Al diavolo il nome, stai congelando», dissi, e cercai di trascinarla via, ma lei oppose resistenza.
    «Che c’è?» chiesi, tornando a voltarmi.
    «Devo andare dall’altra parte», farfugliò.
    «Ah… Sì, scusa». Le lasciai la mano.
    «Allora… Ciao Tom».
    Stavo per rispondere al suo saluto, ma lei stava già correndo via. «Ciao…» mormorai, anche se sapevo che non avrebbe sentito.
    La guardai allontanarsi per qualche secondo, mentre mi voltava le spalle, poi – fu più forte di me – mi ritrovai ad inseguirla. La raggiunsi con uno scatto. «Aspetta!»
    Questa volta si voltò subito e dalla sua espressione fu evidente che non si aspettava la seguissi.
    «C’è una cosa che voglio fare prima che tu vada», affermai ansimando. «E’ da quando mi hai rovesciato addosso quel bicchiere di birra che ci penso».
    «E di cosa si tratta?» domandò un po’ spaesata. Non c’era più quella nota di acidità nella sua voce; i suoi occhi mi scrutavano curiosi come quelli di un neonato, mentre i suoi capelli gocciolavano tanto quanto i miei.
    «Di questo».
    Con uno strattone l’avvicinai a me e unii le nostre labbra.
    Fu solo un delicato bacio a stampo, ma bastò per far sussultare lei e far esultare me.
    Le sue labbra erano morbide.
    Mi scostai piano, sotto il suo sguardo confuso. «Okay… C-ciao», farfugliai.
    Prima che potessi scappare a gambe levate, per sotterrandomi per la vergogna, lei mi fermò. Mi prese per il collo del giubbotto che indossavo e mi ritirò a sé premendo nuovamente le labbra contro le mie.
    Sgranai gli occhi, preso alla sprovvista, poi sgonfiai le spalle e aprii leggermente la bocca, eccitato come un bambino per la sua reazione, e le nostre lingue entrarono in collisione.
    Rimanemmo attaccati, a baciarci, per dei minuti interminabili; la pioggia scorreva sui nostri corpi solleticandoci.
    Era da tanto che non provavo quella sensazione. Tanto – troppo - che non baciavo una ragazza. Avevo sempre trovato il bacio un gesto troppo affettivo. Trovavo che fosse, in un certo senso, più importante di una notte passata a fare sesso: per questo era diventato un privilegio che non concedevo quasi a nessuna. Avevo dimenticato quanto potesse essere bello ed emozionante.
    Prima di staccarmi, le succhiai il labbro inferiore, gustando il sapore delle sue labbra mischiato con quello neutro dell’acqua.
    E, a quel punto, le trovai un nome.
    Mi spostai verso il suo orecchio e le sussurrai: «Grazie… Rain…».
    Sì, quello sarebbe stato il suo nuovo nome: Rain. Pioggia.
    Non ne avrei potuto trovare uno migliore.

    Edited by .Nightmare; - 10/11/2010, 18:10
     
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  10. »•Saretta
     
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    Disastro O_O
    Ho scoperto una cosa sconvolgente O_O
    Questa FF l'avevo già letta!!! xDxD
    Non mi ricordo però se l'avevi terminata o meno, mi ricordo solo che ero arrivata moooooolto più avanti.
    Come vedi io mi illumino sempre tardi xD
    Comunque, me ne ero innamorata di questa FF, bravissima ^^
     
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  11. «Lella-TH;
     
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    Oh cielo!
    E' bellissima! *-*
    Posta!
     
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  12. Anto483
     
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    ciao, nuova lettrice ^^...mi piace molto questa effe effe...Spero posterai presto baci anto!
     
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    .
  13. •Sheeb
     
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    **
    oddio, finalmente!U.U
    bello ilk nome è romantico!**
    che tenero Tooooom!!
    posta prestissimo bitteeeeeeeeee!!
     
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    .
  14. »HilfMirFliegen´
     
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    Io l'ho detto.
    Amo la tua FF tesoro mio xDD
     
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  15.  
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    Ciò che ti sta rendendo felice,
    rende me più triste.
    사랑해, 바보 ♥

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    CITAZIONE (»HilfMirFliegen´ @ 28/10/2009, 15:33)
    Io l'ho detto.
    Amo la tua FF tesoro mio xDD

    AMORE!! *____*


    CITAZIONE (»•Saretta @ 27/10/2009, 17:59)
    Disastro O_O
    Ho scoperto una cosa sconvolgente O_O
    Questa FF l'avevo già letta!!! xDxD
    Non mi ricordo però se l'avevi terminata o meno, mi ricordo solo che ero arrivata moooooolto più avanti.
    Come vedi io mi illumino sempre tardi xD
    Comunque, me ne ero innamorata di questa FF, bravissima ^^

    E' vero xD
    L'avrai letta in qualche altro forum, probabilmente *-*
    Ho deciso solo ora di postarla qui.


    Comunque, no, non l'ho ancora finita.
     
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