A Valediction

G - AU, Angst (leggero), OOC

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. »Chemma«
     
    .

    User deleted


    Titolo: A Valediction
    Autore: »Chemma«
    Genere: Sentimentale, Malinconico, Introspettivo
    Raiting: G
    Avvisi: AU, Angst (leggero), Twincest, OOC
    Riassunto: «Amore è porgere la pistola a qualcuno e lasciarsela puntare alla testa, sapendo che non premerà il grilletto.»

    Note: Non mi sono resa conto di quanto questa storia sia totalmente priva di pretese, almeno a mio avviso, fin quando non mi sono ritrovata a dover compilare questo modulo e a doverla rileggere per assicurarmi che fosse tutto a posto. In verità vi dico che A Valediction nasce appositamente per questo contest (anche se in realtà non so se stia facendo la cosa giusta a postare qui, essendo l’unica, ma comunque in ogni caso potrete tranquillamente spostare il topic o cose del genere) e inizialmente doveva essere tutta un’altra cosa, solo successivamente si è trasformata in quello che è, trovando la sua conclusione – che tutt’ora non mi soddisfa – alle 3.17 di un orribile 10 febbraio 2011. Ma, mi ripeto: questa è una storia senza pretesa, un flashback per intenderci, con questo giustifico la sua semplicità: il contenuto pesante, nel senso proprio di lettura, per com'è scritta, è opera mia, che ancora devo prendere mano con la scrittura. È anche per questo motivo che ho accettato questa ‘sfida’, ed ora eccomi qui.
    Se posso spendere due parole sulla storia vorrei precisare che la frase sotto riportata è una citazione di Spongebob, e che solo ora realizzo sia stata il filo conduttore della storia: mi rendo conto così di essere andata fuori traccia, ma come ho detto ormai questo è ciò che sono riuscita a tirare fuori e pazienza, la prossima volta farò di meglio. Credo sia partito dal fatto che le prime due settimane da quando avevo deciso di scrivere questa storia le ho spese pensando ad un motivo originale per finire in prigione (non che sia un passatempo o cose del genere XD) o all’interpretazione della parola stessa; visto il risultato è evidente che non sia stata molto abile in questo.
    Per questo motivo ho deciso di ambientare l’avvenimento in un periodo storico che a me piace molto, tra il 1600 e il 1700, quando la pirateria iniziava a diffondersi soprattutto in America per via dell'affluire dei commerci con l'Europa. Il luogo in cui si svolge la storia è citato una sola volta per rendere l'idea, ma si tratta di Port Royal - se avete visto Pirati dei Caraibi potete averne un'idea maggiore.
    Escludendo il modulo, che ho aggiunto alla fine, sono 8 pagine di Word (calibri corpo 11) e per il resto spero di aver rispettato tutti i criteri di partecipazione.
    Ultimo appunto: valediction in inglese significa letteralmente “discorso di commiato”, dove con commiato si intende il saluto che precede la partenze, ed io l'ho scoperta tramite la meravigliosa poesia di John Donne: A Valediction: Forbidding Mourning - Una partenza, vietato piangere.
    Grazie per essere qui.


    Love is handing someone a gun and letting it point to your head,
    Knowing that he won’t pull the trigger
    .


    La desolazione e l’aria tetra di quella strada buia e fredda facevano rabbrividire più dello stesso vento rigido che si alzava dal mare. Raggiungeva non solo i vicoli più stretti e lontani da quello che era il centro di Port Royal, ma ti entrava fin dentro le ossa. Lui non avrebbe saputo dire se stesse tremando più che vistosamente per via di quell’aria tagliente o per la semplice camicetta sgualcita ed umida che indossava, ma una cosa era certa: non poteva di certo trattarsi di un qualche tipo di emozione, che fosse l’eccitazione, la paura, la trepidazione; neanche qualcosa simile alla frenesia, perché, nei suoi forse ventidue – dopo un po’ aveva perso anche il conto – anni di esperienza, Bill aveva imparato come reprimere qualsiasi tipo di sensazione. Stava ancora lavorando su come gestire il flusso dell’adrenalina e sul far trasparire le tracce di lussuria nei suoi occhi, perché sapeva che di quelle non avrebbe potuto fare a meno. Se non si fosse trovato in quella situazione, e soprattutto se non fosse stato completamente solo e al buio, si sarebbe permesso di sorridere seppur impercettibilmente, ma in quel momento si impedì di rompere la maschera di ghiaccio disegnata sul suo volto.
    Avanzava tranquillo in quella stradina umida sulla quale i suoi stivali di pelle avrebbero facilmente scivolato, se solo non fosse stato dotato di un particolare senso dell’equilibrio. Il silenzio naturale della notte veniva spezzato dal rumore dei tacchi che venivano sbattuti con forza sull’asfalto, unendosi in un ritmo apparentemente costante con quello delle catene che si scontravano ad ogni passo. Per lui avrebbe potuto addirittura suonare come una melodia, e finché nessuno sembrava notare la sua presenza, nonostante tutto il fracasso con cui avrebbe potuto svegliare almeno mezza città, lo trovò quasi piacevole.
    Aveva la prova che la vita notturna lì non era molto gradita, e non credeva che molte persone fossero abbastanza audaci da lavorare anche durante la notte. Il sorriso sghembo che prima aveva appena accennato sparì, ma l’attimo dopo i suoi brillarono d’improvviso interesse alla vista dell’unico paio di finestre illuminate non molto distanti, e a giudicare dal fracasso che si sentiva fino lì fuori non poteva trattarsi che di una locanda. Quella porta larga e invitante sembrava chiamarlo, ma probabilmente andandosene in giro con un paio di manette attaccate ai polsi non sarebbe passato proprio inosservato.
    Non seppe per quanto tempo restò semplicemente lì fuori, poggiato contro il muro freddo, lo sguardo perso verso l’alto, dove un paio di puntini brillanti da lassù sembravano farsi beffa di lui, urlandogli di doverle invidiare perché a differenza sua potevano essere libere quanto volevano. Non riuscì a spiegarsi per quale assurdo criterio si preoccupò di mandare al diavolo quelle fottute stelle, con tanto di sospiro, ma quando sentì in lontananza il riconoscibilissimo passo cadenzato delle guardie notturne non esitò oltre, a nascondersi dentro il primo vicolo che trovò giusto dietro le sue spalle. Avrebbe potuto semplicemente sgattaiolare lungo la stradina, con meno probabilità di essere visto che catturato e sbattuto di nuovo dietro le sbarre, ma quando vide il gruppo armato fermarsi davanti la porta chiusa cominciò a dubitare che si trovassero lì proprio per lui. Non volle credere che il motivo per cui si sentì in qualche modo ferito nell’orgoglio, al posto di tirare un sospiro di sollievo. Diavolo, c’era una ragione per cui si chiamava Bill Kaulitz! Se avesse voluto che il suo nome fosse rimasto sconosciuto a qualche abitante della terra o dell’oceano di certo non avrebbe vagato di città in città guadagnandosi quella fama che ora – almeno in teoria – lo contraddistingueva da quei comuni poveracci.
    In altre circostanze avrebbe già preso a pugni qualcosa o avrebbe urlato la sua frustrazione, ma in quel momento non gli sembrò la cosa più saggia da fare. Si limitò invece a sporgersi di pochissimi millimetri alla luce lunare, osservando il gruppo di sei uomini ululare un’ inudibile risata, vedendoli poi precipitarsi all’interno della bottega, come se non avessero aspettato altro per tutta la sera e come se quello non fosse il loro turno di servizio. Il silenzio tornò a regnare sulla piccola piazza, ragione che lo spinse a sbuffare sonoramente, senza preoccuparsi di fare poco rumore quando la sua schiena si scontrò con il muro dietro di lui.
    Se gliel’avessero raccontato non ci avrebbe mai creduto, ma Bill realizzò di aver fatto qualcosa di effettivamente stupido nel momento in cui il suo sguardo cadde di nuovo in direzione della porta vecchia e pesante, facendogli notare che, no, non era rimasto solo. Fu probabilmente la compagnia che per una coincidenza totalmente assurda si ritrovò che scatenò in lui un dissidio non indifferente: non poté impedirsi di maledire quella fottuta guardia che era ancora lì fuori, ma l’altra parte di sé stava esultando fino a farlo fremere, sia per averci visto giusto sin dall’inizio che per non essere stato tradito dalla propria memoria, degna appendice della sua mente scaltra. Sapeva in ogni caso di non essersi potuto sbagliare: quelle spalle larghe, le gambe sottili e slanciate, lo strano modo di tenere la mano tremante sulla pistola e i lunghi rasta biondi potevano appartenere solo a lui. Se ne stava lì immobile, con lo sguardo probabilmente fisso sulla maniglia della porta, in attesa di sentire ancora quel suono macabro per accertarsi di non essersi sbagliato, per cui Bill si chiese per quale ragione non avrebbe dovuto accontentarlo. Tenne lo sguardo fisso sulla nuca del militare, attendendo una sua reazione, mentre un ghigno prendeva forma sulle sue labbra e contemporaneamente faceva sfregare con accurata lentezza i propri polsi e il ferro che li serrava. Il rumore stridulo che il gesto produsse portò il ragazzo a voltarsi con uno scatto imprevisto. Bill avrebbe pagato per poter vedere la propria espressione, sentì l’adrenalina scorrergli nelle vene solo a quel pensiero narcisista.
    «Chi va là?»
    Tom si stupì della voce tremante che scoprì di avere. Non che avrebbe potuto avere modo di replicare, ma non l’avrebbe mai ammesso: odiava i turni di notte. La notte in generale lo rendeva inquieto, avere allucinazioni uditive, poi, non giovava di certo a suo favore. Iniziò a guardarsi intorno con circospezione, decidendo dopo pochi istanti che avrebbe fatto meglio a raggiungere quegli scansafatiche nella locanda.
    «Yo ho, yo ho, la spada, il corvo e il mare...»
    Considerando che non aveva messo neanche troppa enfasi nell’intonare la canzone, Bill non poté che considerarsi soddisfatto del risultato ottenuto. Avanzò di qualche passo, mostrandosi completamente alla luce della luna, e la teatrale espressione di Tom non riuscì a non eccitarlo. Sudava freddo e poté giurare di averlo visto tremare. Non poteva sapere quanto la sua gola si fosse seccata, ma avrebbe scommesso che se si fosse avvicinato di qualche altro passo, avrebbe sentito il suo cuore battere all’impazzata.
    «Magnifica serata, non trovi?» aggiunse, tirando il proprio sorriso da un orecchio all’altro. Bill mosse pochi passi, fino a trovarsi di fronte al ragazzo tanto da poterlo raggiungere in una sola falcata, solo che non lo fece.
    Tom boccheggiò trovando la sua gola inopportunamente vuota, incapace di emettere suoni.
    «Oh, andiamo,» proseguì l’altro «sono davvero così mozzafiato?»
    Tom cercò ogni modo possibile per sopprimere il dissidio che dentro lo aveva colto all’improvviso, il più rapido fu serrare la mascella e respirare profondamente. Sperava solo di star sognando o di avere vere e proprie allucinazioni, ma quando il vento si alzò all’improvviso, facendolo tremare ancora di più, si convinse che quell’incubo – perché altro non poteva essere – era reale.
    «Non dovresti essere qui.»
    Bill scrollò le spalle. «E pensare che oggi era una gran bella serata per le riunioni familiari.»
    Qualcosa dentro di Tom si schiantò da qualche parte e il cervello continuò a pulsargli per la concentrazione, l’irrequietezza lo stava divorando da dentro.
    «Non.. dovresti essere qui.» Scandì ogni parola con una pausa, più per timore che per la rabbia che dava a vedere. Vide Bill sorridere pienamente con sarcasmo, abbandonando in un secondo l’espressione, e cominciò a temere seriamente per la propria salute mentale.
    «Già, chi non preferirebbe una bella boccata d’aria fresca ad una comoda, schifosissima, isolata prigione nel mezzo del fottuto nulla?» sputò, senza controllare la propria voce né tanto meno se stesso.
    Tom espirò forte, cercando il coraggio per mantenere il contatto visivo. Sapeva che ad ogni modo ne sarebbe uscito perdente. «Te la sei scelto tu questa vita, Bill.»
    Il moro rise tra l’ironico e il divertito, raggiungendo con uno scatto l’altro e prendendo in pugno della stoffa dalla sua giacca, all’altezza del petto. «Meglio che finire con l’indossare questa tutina da strapazzo.»
    Glielo sillabò praticamente sulle labbra, continuando a fissarlo. Tom si impose di guardare oltre le sue pupille per poter reggere lo sguardo, ma gli occhi di Bill sembravano avere una vita propria e in quel momento lo stavano trafiggendo. Bil lasciò la presa, tornando alla sua postazione iniziale.
    «Comunque, non so se ritieni le mie condizioni, come dire, consuete» alzò di poco le braccia davanti a sé, imitando quasi uno zombie, scuotendole poi quanto bastava a far tintinnare la catena che teneva uniti i suoi polsi per enfatizzare l’ironia della situazione. «Beh, in un certo senso lo è. Ma sai, dopo un paio di giorni iniziano a diventare fastidiose. Preferisco fare altro con queste.» Concluse riferendosi alle proprie mani, senza rendersi conto di quanto potessero essere fraintendibili le sue parole. Sbarrò lievemente gli occhi, nella perfetta imitazione di un vampiro assetato che ha appena trovato la sua preda, sorridendo come se quello ad essere nei guai fosse Tom e non lui. Sorrise perché sapeva ciò che Tom stava ricordando.
    «Ad ogni modo,» proseguì continuando a muovere un paio di passi, sempre nella stessa direzione, su e giù come se stesse sfilando su una passerella immaginaria. «Sarà meglio che tu ti dia una mossa e mi tolga queste alla svelta, non ho tutta la notte.»
    Tom chiuse gli occhi respirando profondamente. Sapeva che Bill lo stava guardando e sapeva anche il modo in cui lo stava guardando, e solo il pensiero bastò a scuoterlo di brividi.
    «È un controsenso» sussurrò incerto «io dovrei arrestarli, i pirati. Tu sei solo uno come tanti. Perché dovrei?»
    Bill non si sforzò troppo per imitare una risata, ma il suo ghigno era sincero. «Perché…» si prese giusto un attimo per pensare ad una risposta abbastanza tagliente, il tempo di prolungare quella ‘e’ accentata. «Ci sei dentro quanto me.»
    «Non sono come te,» aggiunse velocemente Tom, senza pensare a ciò che era scivolato dalla sua bocca. Sapeva di star mentendo.
    Bill rise ancora con ilarità, senza accorgersi di essersi avvicinato di nuovo a Tom, sempre ad un palmo più dalle sue labbra che dal suo volto. Non lo avrebbe mai ammesso, ma amava il suo profumo, lo aveva sempre amato. Inclinò di poco la testa, inspirando lentamente. Quando realizzò che nel frattempo aveva socchiuso le labbra, senza rendersi conto di essersi lasciato trasportare, colse l’occasione e si avvicinò al suo orecchio.
    «Non ci perdo assolutamente niente a trascinarti giù con me, fratellino
    Non ci provò neanche, a ignorare ciò che le parole di Bill gli avevano provocato. Sapeva solo che tutt’un tratto aveva dovuto abbassare lo sguardo e trattenere il respiro perché la vicinanza di Bill lo stava mandando fuori di testa e già sentiva la testa girare.
    Il pensiero che quello fosse il suo Bill sembrava non tangergli neanche lontanamente la mente. Quello che conservava nella sua memoria non era decisamente la stessa persona che aveva davanti in quel momento. Non era lui il bambino biondo con cui aveva condiviso la sua vita dal momento in cui era nato fino a quando Bill era scappato. Non era lui l’unica persona che gli era stata accanto dopo la morte della loro madre, e non era lui l’unica persona ad avergli mai fatto provare delle emozioni come fratello, come amico, come amante. Non poteva esserlo.
    La porta poco distante da loro si spalancò con un rumore assordante, sbattendo contro il muro adiacente, nel momento esatto in cui Bill stava per riaprire bocca. Entrambe le loro teste scattarono verso la fonte di luce che aveva improvvisamente illuminato gran parte del piazzale, rivelando molto più chiaramente le loro figure. Tom non lo realizzò subito: aveva avuto solo il tempo per vedere la mano scheletrica di Bill scattare da qualche parte su suo sfianco, sfoderando ed alzando la pistola nella sua direzione, e solo la previsione di quel gesto lo portò ad imitarlo, quasi contemporaneamente. Capì cosa era successo solo quando sentì il suo braccio teso davanti a lui e vide la propria pistola puntata in direzione di Bill e il gemello che lo stava imitando; gli sembrava di starsi guardando allo specchio.
    Il gruppo di guardie occupava la soglia della porta e non impiegarono molto ad innalzare un brusio confuso, quasi tenendosi a distanza dai due, prima di capire la situazione.
    «Tenente Kaulitz!» esclamarono con un tono grave un paio di essi, riconoscendo il collega, «Cosa succede qui?» facendo ripiombare poi il piazzale nel silenzio.
    Bill si guardò intorno confuso, i suoi occhi saettavano da Tom al resto dei militari, la convinzione di non voler credere di essere spaventato scemava sempre di più. Fece appena in tempo a sussurrare un’imprecazione, che si ritrovò circondato e minacciato da sette pistole. L’unica che riusciva a vedere era quella di Tom, di fronte a lui.
    «Cosa dobbiamo fare, Tenente?» chiese uno alle sue spalle.
    Tom non riusciva a muoversi, né a parlare, né a pensare. Tacque cercando di bloccare il suo tremore e la sua sudorazione, mentre Bill continuava a guardarlo a neanche un metro di distanza, sorridendo nonostante tutto.
    «Chi siete voi?!» chiese ancora qualcun altro, rivolgendosi a Bill.
    Il moro rise abbassando lo sguardo per una frazione di secondo. «Bill» esitò «Kaulitz
    Intorno a loro si alzò nuovamente il vocio, ora sconvolto, nel quale distinsero solo spezzoni di frasi insensate. Tutta la situazione aveva qualcosa di assurdo, per Tom, primo tra tutti, il fatto che Bill fosse lì, davanti a lui, dopo sei anni, con la sua pistola puntata contro.
    «Tenente?!»
    «A-abbassate le armi.»
    Bill sorrise davanti all’incompetenza di Tom. Il gruppo si strinse intorno a lui, ignorando l’ordine appena ricevuto nel momento in cui il pirata caricò il grilletto della propria pistola. Tutto quello fece dopo fu reprimere quel sorriso sghembo mordendosi le guance per non spingersi oltre. Guardava Tom muoversi a scatti e rivedeva in lui l’adolescente inesperto con cui era cresciuto. Rivide tutto nei suoi occhi, nonostante sapeva che si stesse imponendo di non fargli leggere niente di quello che stava succedendo nella sua mente, ma la sua espressione rigida tradiva le intenzioni.
    Tom non pensava. Per lui era semplicemente assurdo quello che stava succedendo, eppure era la pura verità. Di norma, se si fosse trovato davanti un pirata qualsiasi, sapeva che tutto quello che doveva fare era obbligare il criminale – o presunto tale – a consegnare le proprie armi o a sequestrargliele e ordinare alle sue guardie di condurlo direttamente in prigione. Trovarsi Bill davanti stava solo rendendo tutto più complicato. Aveva avuto ragione, allora, quando gli aveva detto che lui non era come tutti gli altri, altrimenti non sarebbe stato sul punto di perdere la testa.
    Dovette ricordarsi qual’era il suo posto e come avevano fatto ad arrivare fino a quel punto, prima di avanzare lentamente fino a Bill, arrivando quasi a sfiorare i suoi piedi, prima di avvicinargli maggiormente la pistola al capo. Sentì la rabbia montare e una vampata di calore infuocargli il volto. Avrebbe voluto che Bill pagasse per il male che gli aveva fatto. Lo aveva aspettato da sempre, ma solo in quel momento maturò l’idea che l’unica cosa che voleva era vendicarsi. Ebbe appena il tempo per sentire la sua ragione dirgli che stava sbagliando, che vide l’ipotesi di premere il grilletto sfumare lentamente. Bill lo sentì scattare, e il suo sorriso si allargò.
    «Non lo faresti.»
    Fu un sussurro. Tom lo sentì come un urlo e si avvicinò al suo orecchio, come se intorno a lui non ci fossero altri sei uomini e quella che stava macchiando non fosse la sua reputazione. In quel momento c’erano solo lui e Bill, di nuovo, e forse la luce della luna sopra di loro.
    «Dammi un motivo per non farlo.»
    Tom sperava che la sua voce, per quanto debole potesse essere stata, avesse ubbidito al suo comando e fosse trasparita dura come voleva. Ignorò il fatto di non avere controllo su di sé e di star spudoratamente e pessimamente fingendo. Sapeva che Bill lo aveva capito da un pezzo.
    «Apri gli occhi, Tom.»
    Tutto ciò che Tom vide, poi, fu il volto di Bill ad un paio di centimetri dal suo. Sorrideva. Il suo non era un sorriso falso né tanto meno sincero. Sembrava fatto di plastica, di quelli che forzava quando sapeva di aver vinto.
    Si rese conto di essersi dimenticato come si respirava quando fu nuovamente costretto a parlare.
    «Portatelo nelle prigioni.»

    *


    La prima cosa che sentì, quando si svegliò, fu quell’insopportabile senso di intorpidimento. Non avrebbe saputo dire dove si trovasse, che ore o che giorno fosse, come era finito lì, da qualsiasi parte fosse capitato: in quel momento sapeva solo che il sedere gli faceva un male atroce e che faceva fottutamente freddo. Se non fosse andato contro la sua religione avrebbe gemuto dal dolore, ma ciò che si limitò a fare fu violentarsi mentalmente per riaprire gli occhi, e sforzarsi per assumere una posizione quanto meno umana.
    Umido. Fu forse il primo pensiero coerente che gli attraversò la mente, e dopo un paio di secondi dal suo risveglio, realizzò che davvero quanto quello spazio fosse rorido. Umido, freddo, e buio – escludendo quei quattro raggi lunari che filtravano contati dalle sbarre della piccola finestrella. Non che servissero a molto, comunque, visto che riusciva a malapena a guardarsi le mani. La terza sensazione che percepì fu qualcosa che aveva a che vedere con il sollievo: quando constatò che i suoi esili polsi erano davvero più leggeri, perché liberi dalle manette o qualsiasi altro tipo di ferraglia, sospirò pesantemente, pensando che almeno un problema era stato magicamente risolto.
    Dovette ricredersi del suo pensiero ingenuo quando voltò di poco il suo volto, rendendosi conto di non essersi sbagliato e che la sua irrequietezza aveva confermato il suo sospetto: erano davvero delle sbarre, quelle sulle quali la sua spalla era poggiata. Non poteva significare altro che ora era totalmente fottuto, e che con poche probabilità avrebbe avuto l’astuzia e l’energia necessaria per evadere di nuovo di prigione.
    Bill socchiuse gli occhi, cercando di umettarsi la bocca impastata. Scoprì che anche deglutire gli risultava difficile, e in quell’attimo un moto di rabbia lo investì, facendolo risvegliare del tutto.
    Non ci credeva, punto: non poteva semplicemente credere di aver anche solo pensato di doversi rassegnare e finire i suoi giorni chiuso in quella fottuta cella o finendo su un patibolo. Per anni aveva scampato la morte innumerevoli volte, aveva sfidato il suo corpo in situazioni ben peggiori che giacere inerme su un pavimento freddo, non poteva semplicemente rinunciarci. Non doveva, eppure era l’unica cosa a cui riusciva a pensare. Si concesse qualche minuto di pausa, nel quale impose ai suoi pensieri di smetterla di fare gli stronzi e dargli tregua per almeno dieci minuti, poi avrebbe pensato ad un modo per uscirne. Al momento desiderava solo il tempo necessario per ritornare in sé, possibilmente guadagnando anche in forza di volontà e in soluzioni fattibili.
    Ovviamente aveva calcolato che qualcosa sarebbe potuto andare storto, ma non aveva sperato che già da quel momento il destino, la Provvidenza Divina o qualsiasi altra diavoleria iniziassero a ritorcerglisi contro: aveva chiesto solo un po’ di pace, una cosa del tutto innocente, e il massimo che aveva ottenuto era stato un casino incomprensibile, seguito dal macabro rumore di una porta cigolante.
    Sollevò di poco il busto, aderendo completamente alla parete dietro di sé, rizzando le orecchie per captare ogni minimo rumore.
    Dal corridoio lungo e stretto gli giunse solamente l’eco di passi decisi, non poteva trattarsi che di una stupida guardia che quella notte avrebbe dovuto assicurarsi che nessuno dei prigionieri scappasse, per cui tirò l’ennesimo sospiro di rassegnazione e poggiò il capo al muro, sporgendo il collo e chiudendo gli occhi. Non potendo spegnersi anche le orecchie, comunque, fu inevitabile per lui sentire il fracasso che stava combinando quell’idiota a qualche metro di distanza; quando poi, esasperato, si concesse solo una sbirciata con la coda dell’occhio, non diede molto peso al fatto di essere rimasto sinceramente stupito e di aver sbarrato gli occhi.
    Tom se ne stava impalato davanti alle sbarre della propria cella, osservando dall’alto il ragazzo che giaceva a terra oltre la grata di ferro. Sembrava perso nella contemplazione di un lago e non di un uomo che da lì a poco avrebbe fatto una brutta fine.
    «Problemi con l’insonnia, tenente
    Il biondo sobbalzò, alzando la testa di scatto e meravigliandosi di vedere ancora quel sorriso sbieco sulle labbra di Bill.
    «No, i-io..»
    Tom impiegò una manciata di secondi chiedendosi perché effettivamente fosse lì. Di regola non sarebbe dovuto importargli: avrebbe avuto la sua vendetta e Bill avrebbe pagato per ciò che aveva fatto, non solo a lui. Poi guardò di nuovo il mucchietto di ossa e stracci che giaceva lì a terra, una gamba distesa e l’altra piegata apposta per sorreggere il gomito, e capì il perché di molte cose.
    «Sono qui per aiutarti,» disse lentamente, come a doversi convincere lui stesso delle sue intenzioni. «Ti farò uscire di qui.»
    Non seppe se a scuoterlo di brividi fu il suono incrinato della risata ironica del gemello o l’atmosfera in generale, anche se una vaga idea ce l’aveva. Restava il fatto che non riusciva a staccare lo sguardo dalla figura nascosta nella penombra né tantomeno a fare qualche movimento, che fosse del diaframma, dei muscoli della faccia o di qualche arto.
    «Non mi serve il tuo aiuto.» sputò acido l’altro, voltando il capo verso la finestra sgangherata. «So cavarmela da solo.»
    Tom lo sentì quel sussurro, e riconobbe il broncio che increspò le sue labbra, accompagnato da quel tono di voce. Bill aveva parlato più con se stesso che con lui, proprio come facevano da bambini quando gli diceva di voler giocare da solo, ma alla fine era sempre il più piccolo a tornare da lui. Immaginò solo per un attimo che le cose potessero essere così facili anche in quel momento, ma la vista di quelle sbarre che li separavano rendeva tutto solo più difficile. Preferì pensare che il fatto che ognuna di esse rappresentasse ognuno degli anni che li avevano divisi fosse solo una gran bella metafora.
    «Dove sei stato, Bill?» sussurrò l’altro, poggiando il capo contro la parete, ma tenendo gli occhi ben puntati su di lui. «Dove cazzo sei stato?»
    Avrebbe scommesso che Bill avrebbe riso anche di quello, ma fu sorpreso dal vederlo serrare la mascella ed esitare nella sua risposta, il che non fece che confonderlo ancora di più.
    «Ho scelto la mia strada, e tu la tua.» cominciò incerto, acquistando una fasulla sicurezza. «Non c’è molto da spiegare.»
    «Sì, invece! Sei sparito da un giorno all’altro, credevo fossi morto, e tu.. io – cazzo, avevo solo quindici anni, io-»
    «Anch’io avevo quindici anni, eppure ho avuto il fottuto coraggio di alzarmi e cambiare quello che non mi stava bene.» lo interruppe bruscamente, ma più che la sua voce, furono atroci quelle parole e la valanga di ricordi che gli fecero riaffiorare. Tom cercò semplicemente di ignorarli e di concentrarsi sul gemello al suo fianco.
    «Mi chiedo solo..»
    Bill roteò gli occhi. Non ricordava Tom così prolisso e sentimentale, eppure non riuscì propriamente ad odiarlo. Sapeva che non avrebbe potuto farlo in qualsiasi caso.
    «Solo come... come hai fatto a dimenticare..»
    Sorrise, premurandosi di mantenere alto almeno un angolo delle labbra. La sua espressione, per la prima volta in tutta la serata, era sincera. «Chi ti dice che l’abbia fatto?»
    Scattò in piedi, muovendo qualche passo per sgranchirsi le ossa, senza sorprendersi di quanto quella cella fosse piccola.
    Tom lo imitò, e senza rendersene conto si appigliò alle sbarre fredde, quasi a volersi precipitare lì dentro e riprendersi il suo Bill, ignorando gli ultimi sei anni. Ne sarebbe stato capace, se solo fosse stato certo che Bill non avrebbe potuto ucciderlo con un semplice colpo.
    Successe in un attimo, poi, che Tom capì cosa voleva davvero fare, poi si allontanò di un paio di metri dalla sua postazione, alla ricerca di qualcosa di specifico appeso da qualche parte lì sul muro. Quando Bill sentì chiaramente il rumore delle chiavi tintinnare, girò la testa di scatto, maledicendosi per starsi lasciando trasportare dalle proprie emozioni.
    «Cosa diavolo credi di fare, ragazzino!?»
    «Te l’ho detto prima, ragazzino. Ti tiro fuori di qui.»
    «Non fare stronzate, Tom. Finirai nei guai e poi chissà quanto romperai le scatole la prossima volta che… se ci rivedremo.»
    Il militare alzò con uno scatto violento la testa verso il gemello, lasciando pure cadere il mazzo di chiavi che stava smistando. L’altro non si sorprese di trovare sul suo volto quell’espressione sbigottita. Se ci rivedremo. Forse sarebbe dovuto essere stato il suo primo pensiero, invece di metterlo inconsciamente da parte per non soffrirne, ma se fino a quel momento aveva voluto evitarlo, ci aveva pensato Bill a sbattergli la realtà in faccia.
    «Beh, allora? Hai intenzione di rimanere lì per molto? Ti ho detto di andartene.»
    Bill capì di essere stato palesemente ignorato quando, voltandosi nel sentire scattare la serratura della cella, vide Tom spalancare la porta. Sospirò pesantemente dandogli poi le spalle, voltandosi verso la finestra per guardare la luna.
    «Cosa stai aspettando? Sei libero, scappa prima che sia troppo tardi.»
    Il moro si voltò lentamente, esitando qualche istante, per poi dirigersi fuori dalla cella a passo spedito, mantenendo una certa cautela, senza smettere di guardare Tom finché gli fosse stato possibile. Tirò l’ennesimo sospiro per quella serata, e senza averne davvero voglia, cercò stancamente di recuperare da qualche parte la propria fondina e il resto degli effetti che gli avevano gentilmente sequestrato.
    Tom non sentiva più il pavimento sotto i propri piedi, per cui seguire Bill fu come trascinarsi senza entusiasmo. Non riusciva ancora a realizzare le cose che erano successe nell’arco della serata, e sentire di essere giunto alla fine stava bastando affinché sentisse delle fitte dolorose da qualche parte nel petto. Per quanto la scarsa luce della lampada ad olio gli permettesse, cercò di non perdersi neanche un movimento di Bill, osservandolo mentre con non poche difficoltà provava ad allacciare la fondina, probabilmente anche più pesante di lui stesso. Successe in un momento, poi, che lo vide alzare di scatto la testa, mentre con fare maniacale sembrava star accarezzando la pistola alla sua destra. Avanzò lentamente verso di lui, un’espressione indecifrabile sul suo volto portò Tom a sudare freddo e a temere di aver sbagliato tutto fin da principio. Maturò quell’idea pensando che, più che voler trovare una via di fuga, volesse arrivare fino in fondo per godersi quelli che sapeva fosse l’ultima volta che avrebbe visto Bill.
    Il moro si fermò solo quando fu abbastanza vicino da poter quasi sentire il battito impazzito di Tom.
    Si impedì di sorridere a quel pensiero, e pur di non farlo si morse l’interno della guancia, inclinando di poco la testa, come un vampiro avrebbe guardato a pochi centimetri di distanza il collo particolarmente invitante della sua preda. Conscio di quel pensiero non riuscì a frenare l’istinto e in un gesto estremamente lento posò le proprie labbra sulla giugulare di Tom, sentendo davvero quanto sangue il suo cuore stesse pompando. Cominciò col succhiare un paio di punti non precisi per poi risalire fino al lobo del suo orecchio, sfiorandolo appena.
    «Prima mi hai puntato una pistola contro.»
    Il cuore di Tom si fermò definitivamente senza un motivo ben distinto. La sola idea di avere le labbra di Bill contro la sua pelle era bastato a mandarlo fuori di testa, sentirne la reale morbidezza gli aveva mandato il cervello fuori uso, e sentire la sua voce incrinata e sottile gli aveva fatto dimenticare il vero motivo per cui si trovassero lì. Erano di nuovo solo i due gemelli, gli anni passati fino a quel momento sembravano star svanendo come orme sulla sabbia cancellate dal vento.
    «L’ ho fatto.» rispose istintivamente, senza pensare davvero a cosa aveva detto.
    Bill sorrise privo di ogni maschera di scherno o di ironia. Sentì i suoi occhi assottigliarsi per la sua espressione sincera e semplicemente non gli importò più di niente: sapeva che non ci sarebbe stata un’altra volta, e se quello era il loro ultimo incontro, avrebbe voluto che Tom ricordasse almeno una cosa bella di lui. Il suo ego sproporzionato gli stava impedendo di aprirsi direttamente con Tom, ma sapeva anche che lui avrebbe semplicemente capito.
    Poi successe in un attimo che non riuscì a trattenersi oltre e senza troppe cerimonie lo baciò. Non fu come la prima volta, ma nei suoi pensieri si stava insinuando l’idea che non poteva neanche essere l’ultima. Poi decise semplicemente di staccarsi il cervello per qualche minuto, il tempo di schiudere le labbra di Tom con la propria lingua, sorpreso dalla sua stessa cura.
    Tom credette di aver dimenticato il suo stesso nome, ma quando dischiuse di poco le palpebre, trovando il volto del suo gemello, la situazione gli apparve più chiara, senza però tranquillizzarlo. Azzardò appena ad inclinare di poco la testa e ad ardire un’iniziativa, quella di provare ad assecondare Bill, che sentì il proprio volto infiammarsi. Bill gli succhiò la lingua mentre l’altro osservava la calma sul suo volto: le palpebre chiuse e le sopracciglia appena corrugate, la sicurezza nei suoi gesti e la leggerezza nei suoi movimenti. Fu quando ebbe quella terribile sensazione di freddo su un punto ben preciso della propria tempia, lì dove Bill aveva appena poggiato la canna della propria pistola, che le sue belle considerazioni svanirono così com’erano nate. Lo vide staccarsi appena dal suo volto – i loro nasi potevano ancora sfiorarsi di poco – e fissarlo serio da dietro quelle lunghe ciglia, e poi fu il suo turno di ridere.
    «Non lo faresti.»
    Il pirata socchiuse di poco le labbra e gli occhi, sinceramente senza parole. Tutto quello che fece, poi, fu abbassare il capo, sapendo le cose che Tom avrebbe potuto leggere nei suoi occhi.
    «Ci rivediamo all’inferno, fratellino
    L’ultima cosa che Tom vide fu il suo sorriso, quello vero. L’ultima cosa che Tom sentì, poi, fu il rumore dei suoi tacchi riecheggiare nel silenzio della notte.

    Edited by »Chemma« - 13/2/2011, 19:09
     
    Top
    .
  2. *HEILIG*
     
    .

    User deleted


    Va benissimo qui, spero di raggiungerti presto e postare anche io ç_ç
    Domani me la leggo! *-*
     
    Top
    .
  3. »Lost Soul;
     
    .

    User deleted


    E approdo con i miei commenti anche qui :3
    Già stamattina avevo notato che avevi postato, ma mi son voluta conservare questa lettura - già a prima vista - più che invitante, per il pomeriggio. Quindi eccomi qui v.v
    Leggerti è stato più che piacevole, come sempre. Per prima cosa l'ambientazione mi ha intrigata fin da subito: hai fatto più che bene ad uscire dagli schemi anche dal punto di vista temporale, pochi lo fanno e pochi ci riescono. Tu, per me, ci sei riuscita davvero bene, Chem. Le descrizioni erano molto pertinenti all'epoca, non c'erano elementi che stonavano o per niente inerenti al periodo che hai scelto. Complimenti :3

    Ora, i personaggi.
    Mi accade spesso di essere attrata, ammaliata quasi, da quello più forte, quello che si dimostra prevalere sugli altri. Praticamente Bill, in questo caso. Stavolta non è successo, sai?
    Colui che mi ha affascinata di più è stato Tom, ora ti spiego il perché. Per tutta la durata della storia ho cercato di trovare nelle - e fra - le righe, le motivazioni che lo spingessero ad essere così succube di Bill, anche se non si è mai parlato chiaramente di Amore. Quello che prova Tom per Bill, non può essere adattato a questo sentimento, sarebbe troppo riduttivo, direi impossibile. Probabilmente si tratta di una dipendenza nascosta sotto l'appellativo amore.

    Bill, anche, è stato interessante da scoprire... ho provato a decifrarlo, a qualche conclusione sono arrivata, ma quello che ho appreso non è stato sufficiente a permettermi di tracciare un suo profilo. Complimenti anche per questo! Sei stata abile a saperlo giostrare.


    CITAZIONE
    Il silenzio naturale della notte veniva spezzato dal rumore dei tacchi che venivano sbattuti con forza sull’asfalto, unendosi in un ritmo apparentemente costante con quello delle catene che si scontravano ad ogni passo.

    Li ho sentiti, quei tacchi. Ossì! Il loro rumore era inquietante e allo stesso tempo impnotico. Da pelle d'oca, direi :3

    CITAZIONE
    Preferì pensare che il fatto che ognuna di esse rappresentasse uno degli anni che li avevano divisi fosse solo una gran bella metafora.

    Dire che questa metafora è bella, è poco! Penso che tutta la storia si potrebbe racchiudere in questi due righi, per quanto sono profondi. C'è amarezza e nostalgia nei pensieri di Tom, c'è anche quel suo particolare amore che lo lega, come un cane quasi, al gemello.

    Mi hai lasciato un retrogusto dolce-amaro in bocca, Chem, e ti ringrazio proprio per questo.
    Adoro sentirmi così, credimi
    In bocca al lupo per il contest :*
     
    Top
    .
  4. »Chemma«
     
    .

    User deleted


    Devi scusarmi per il ritardo Rache, ma finalmente sono riuscita a loggarmi di nuovo al DB e colgo l'occasione per risponderti prima che mi dimentichi X)
    Innanzitutto ti ringrazio per aver letto, che è già una gran cosa. Lo so che sei una che legge tra le righe e mi piace il tuo modo di analizzare le cose, anche se a volte sembri sforzarti di farlo, nonostante le cose siano proprio lì, sotto il tuo naso. Tom non è solo succube di Bill, e hai ragione quando dici che la sua è una vera e propria dipendenza. Ha vissuto tanti anni diviso dalla sua anima gemella e questo lo ha prosciugato da ogni tipo di sensazione, portandolo a diventare una marionetta per le marionette, che sarebbero coloro che devono ubbidirgli, data la sua carica piuttosto elevata. Anche quella ha un suo perchè e ha sempre a che fare con Bill, ma se continuo di questo passo va a finire che scrivo un'altra storia sulla vita di questi due prima di quella notte, e non mi pare il caso XD
    Bill neanch'io so decifrarlo: di lui so solo che volevo fosse così sin dall'inizio, a differenza di Tom che ha agito solo consequenzialmente a ciò che faceva Bill, perchè lui... era come se lui stesse scrivendo sulla tastiera e non io. E' stato affascinante, per questo è di libera interpretazione e ognuno può e deve immaginarlo come vuole (:
    Ho dovuto correggere delle parole nell'ultima frase che mi hai citato perchè non suonavano bene ed una l'avevo proprio sbagliata a scrivere *patpat* beh devo ancora impararlo bene, l'italiano D:
    Ti ringrazio ancora, soprattutto per esserci sempre ♥
     
    Top
    .
  5. »Lost Soul;
     
    .

    User deleted


    Innanzitutto non c'è bisogno che ti scusi, eh v.v Comunque penso che tu abbia proprio centrato in pieno il mio modo di essere, sai? Non riesco ad accontentarmi dell'evidente e scavo scavo scavo alla ricerca di chissà cosa!
    Io adoro quando le autrici spiegano i "retroscena" della storia, mi ci appassiono :3 e quindi ti ringrazio per avermi chiarito un po' tutto, Chem **
    Dovresti creare un sequel o una specie di spin off per questa os, sai? Verrei a leggerlo volentieri :3
    Un bacio, e figurati, grazie a te ♥
     
    Top
    .
  6. morgana17_69
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    «Amore è porgere la pistola a qualcuno e lasciarsela puntare alla testa, sapendo che non premerà il grilletto.»

    .. spongebob????un mito!...ma davvero ha detto una cosa così bella????incredibile!e cmq mi è piaciuta molto questa citazione!....la cosa che non capisco: tutte queste tue titubanze e incertezze, la storia è interessante...e mi è piaciuta! un pò strana e difficile da capire in certi punti, ma interessante! è molto intrigante il rapporto "mentale" tra Bill e Tom...hai usato il "vedo e non vedo" per far trasparire quello che hanno dentro...i loro semntimenti...i loro caratteri: questa cosa mi è piaciuta molto! Tom, un tenente, un uomo di forza che in realtà è quello debole...colui che "dipende" da Bill....e Bill, il pirata, lo scapestrato, che è impavido e sfrontato, quello davvero forte: lo sfida! con lo sguardo, i gesti, i ricordi....mi è sembrato un "duello" mentale...una lotta, più che per evadere da una vera prigione, per liberarsi da una trappola psicologica in cui Tom si trova e di cui pian piano prende coscienza! non so che dire...una prigione che c'è e non c'è(quella fisica), ma quella mentale? forse la vera prigione (almeno per Tom) mi sembra essere proprio questa!....e il gesto finale di Bill, a me dà la certezza che sia proprio così: è Tom quello davvero imprtigionato! e il fatto di non sapere, o di credere, di non poter rivedere Bill mai più, l'intrappola ancor di più!...alcuni passaggi però ho dovuto rileggerli perchè mi sono sembrati un pò di difficile comprensione...o sono io che so rinco-dal momento che sono a lavoro- e forse non ho capito bene...mi sono un pò intrecciata a capire chi fosse a fare o a dire cosa....ma alla fine ci sono arrivata!E' stato tutto molto rapido e veloce...anche tra di loro un vero e proprio "mordi e fuggi" di parole e gesti...che fanno però ben capire quello che è stato il loro passato, il loro amore (forse), proprio quello da cui loro stessi, per vari motivi, sono poi entrambi fuggiti...e ancora fuggono! mi piace anche tutto questo, perchè trattandosi di una One Shot, trovo giusto che non ci si perda troppo in racconti e descrizioni chilometriche, facendo rimanere tutto invece coerente con il "vedo e non vedo" di cui parlavo prima e rendendo la storia come racchiusa in un cerchio ...dove tutto comincia e finisce all'infinito, sempre da capo, non potendo più distinguere l'inizio dalla fine! ccomplimenti anche a te e inboccallupooooo!
     
    Top
    .
  7. *HEILIG*
     
    .

    User deleted


    Chiudo la discussione, perchè si è deciso di spostare anche questo sul sito.

    Quando la posti dovresti metterla nella categoria "Contest di scrittura" che poi verrà chiusa quando ci saranno tutte.

    Se le lettrici volessero essere così carine da ripostarti pari pari i commenti tu con l'ozione rispondi potresti ripostare anche le risposte e mantenere quasi tutto come lo hai qui.

    ^-^
     
    Top
    .
6 replies since 12/2/2011, 23:28   317 views
  Share  
.