Mayday.

« Se le tue labbra si sentono sole e secche, bacia la pioggia. »

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  1. ‚savannah
     
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    Titolo: Mayday.
    Autore: ,savannah
    Genere: romantico - malinconico - triste
    Raiting: PG-13
    Avvisi: angst / crackfic / violence
    Disclaimer: non possiedo nessun diritto sulla band e sui personaggi citati. Questa FF non è stata scritta a scopo di lucro ed è tutta opera mia.
    Note: per il titolo (e non, quindi, per l'intera storia) ho preso ispirazione dalla canzone " Mayday " degli The Icarus Account, che sarà, probabilmente, la canzone che utilizzerò per realizzare il video finale di questa FF. E' la prima volta che ne scrivo una, quindi spero tanto di migliorare mano a mano che il tempo passa. Inutile dire che mi auguro con tutta me stessa di non deludere nessuno.

    CAP: 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6



    CREDITS: chánel.
    (Grazie mille, amore mio.)





    Prologo



    " Questa, è l'ultima notte in cui le nostre mani si stringeranno.
    Questa, è l'ultima volta in cui vedrò il vento scompigliare i tuoi capelli.
    L'ultima volta che vedrò l'aria accarezzare la tua pelle.
    Questa, è l'ultima volta che le mie dita verranno a contatto con le tue labbra.
    Ero solito a zittirti, mentre ora darei via il cuore per sentirti parlare per un'ultima volta.
    Le onde mi stanno portando via.
    Sto infrangendo la promessa, come le onde si infrangono sugli scogli.
    Su cui sbatte anche il mio amore, accompagnato dal senso di smarrimento che è ora in me.
    Affogherò, mi perderò, scomparirò.
    Me ne andrò via.
    Mi hai dato l'anima, e me ne andrò con essa.
    Così da essere ancora insieme, oltre la fine di noi.
    "


    L’ultima riga di quella lettera era sbiadita. La calligrafia oramai indecifrabile. La carta sciupata.
    Tutto era andato perso dopo quella tempesta. Le palpitazioni cardiache, le carezze, le intese.
    Di noi non era rimasto nulla. Fu così, che divenimmo collezionisti d’amore.
    Quando ti privano del tuo eroe, la vita cos’è?
    Vuoto, terrore e una sola lettera da rileggere.





    Capitolo # 1




    Sotto ad un cielo terso e sereno, contemplavo l’acqua cristallina e limpida che si stendeva di fronte a me.
    L’aria mi pizzicava lievemente le gote del viso, facendomi subentrare in corpo un’ incantevole sensazione di leggerezza e libertà.
    Il lembo del leggero copri abito bianco che indossavo, danzava fioco nell’aria che, se pur calma, donava all’atmosfera un tocco di freschezza e perfezione. Erano queste, le tipiche giornate che trascorrevo sulla prua di una lussuosa Allure Of The Seas errante nell’imponente e prodigioso Oceano Pacifico. Mille tempeste sarebbero potute avventarsi nel frattempo, ma a quella inverosimile vista non avrei mai potuto rinunciare. Non avrei mai potuto oscurare attimi di così tanta pace e spensieratezza. In quegli attimi, sfogliavo le pagine della mia vita ricongiungendo il passato con l’immediato presente. Vivevo un’esistenza a 360° gradi, alla quale aggiungevo piccole prospettive sull’avvenire. Quella circostanza, costituiva anche la sola scorciatoia per sentire la presenza di mio padre più vicina. Erano ormai ventun giorni dalla mia partenza e, fin dai primi momenti della mia vita, allontanarmi da lui costituiva per me un enorme sacrificio. E’ sempre stato un uomo pacato e tranquillo, ed immergermi in quel silenzio dal profumo marino mi permetteva di sentire la sua calma voce darmi il buongiorno la mattina. Vivevo sempre nella speranza che sentisse il mio richiamo a distanza di mille miglia, confidando sulla forte intesa che intercorreva tra noi, la quale ero sicura mi fosse d’aiuto. Il sole si levava da Oriente al mattino cominciando a baciare i volti assonnati di tutti noi passeggeri, abbandonandoci sul tardo pomeriggio lasciandoci spogli di quel calore di cui la nostra pelle necessitava. Appoggiavo gli avambracci alla balaustra, osservando con occhi attenti come le onde si infrangevano contro la chiglia della nave. Avrei riportato come la bianca schiuma sovrastava il nitido blu scuro dell’acqua e gli ornamenti che si creavano all’interno di essa, sulle pagine riciclate della mia moleskine color porpora. Ero solita appuntare qualsiasi avvenimento, qualsiasi sensazione mi trapassasse l’anima per timore di vederla perdersi nell’aria e non averla più mia. La mia vita dovevo averla sotto controllo, non dovevo permetterle di abbandonarmi, nemmeno se si fosse trattato di un insieme di disgrazie e dolori. Io sono un’amante della vita, in tutte le sue sfumature. Avevo lo sguardo assorto verso l’orizzonte lontano, l’udito non troppo incurante del brusio che proveniva alle mie spalle. Le labbra dei passeggeri lasciavano trasparire un grosso segno di serenità, accompagnato da una lieve impronta di amarezza. La consuetudinaria quotidianità di tutti noi, ci stava attendendo dalla parte opposta del luogo in cui, la maggioranza di noi, aveva sicuramente lasciato il proprio cuore. Il timbro di voce dei signori di mezza età, dopo qualche calice di vino di troppo, diventava ogni giorno più assordante e fastidioso. I discorsi delle donne difficilmente abbandonavano la tematica uomini, dando così segno di aver trascorso quindici giorni di sano e puro spasso, trovandosi lontane dalle grinfie dei mariti forse su di loro troppo vigilanti. Le donne di giovane età, invece, tentavano di godersi gli ultimi attimi prima di riprendere in mano la difficile vita familiare e le sofferenti notti in bianco a causa delle urla dei loro piccoli, temporaneamente affidati a tutori e baby sitter. Le partite a poker degli uomini dall’età più avanzata e gli schiamazzi dei bambini erano, infine, il solo rumore che non definivo realmente tale. Era un rumore pacifico e sereno, che non creava eccessivi disturbi all’udito. Gli ambienti affollati non erano di certo la mia più grande passione, ma in quel momento, quella chiassosa atmosfera mi stuzzicava l’umore di allegria. Di quelle migliaia di persone a bordo, con la maggior parte mi scambiavo il saluto mattutino e qualche lieve risata. Il capitano, venne un giorno persino a complimentarsi per le mie buone maniere e per la mia infinita trasparenza che dimostravo di conservare in corpo. Mi definiva " la ragazza di vetro fine " . Forse, notò fin dai primi momenti la mia eccessiva sensibilità e timidezza, seguita da quel tocco di estrema personalità che in molti attribuivano alla facilità con cui il mio carattere pacato veniva svelato senza timore dai miei occhi e dal viso angelico che con nulla, arrossiva. Era un uomo con un’ottima padronanza di linguaggio, e la sua bianca barba folta che si muoveva non appena pronunciava parola, mi rimandava ad un senso di immensa delicatezza. Occorrevano sette giorni, ma ne mancavano solo cinque allo sbarco a Rotterdam. Per raggiungere la punta estrema della prua, era stato sistemato a terra un lungo tappeto bianco panna dai bordi rossi lievemente colorati, il quale era attorniato da tavoli in legno laccato non troppo spaziosi, dove solitamente si accomodavano coppie di innamorati, gruppi di giovani in attesa di ordinare qualche fresco drink, o figure solitarie in cerca di tranquillità. Attraversarlo, comportava ricevere l’attenzione degli occhi di tutti costoro che, per timore di ricevere disturbo, sembravano quasi ispezionare le intenzioni del passante. Raggiunta la prua, cominciavo il mio ordinario ritiro tra pensieri. Abbandonavo la realtà, dirigendomi verso mondi privi di limiti, ma soprattutto, privi di qualsiasi proibizione sentimentale. Cosa intendo per proibizione sentimentale? Avete mai quella sensazione di spaesamento? Quella in cui non esiste alcuna via di ritorno, alcuna sicurezza? In un buio tempestoso, vi ritrovate soli con il vostro ardente amore verso qualcosa a cui nemmeno gli artigli del vostro cuore riescono a chiamare a sé. Necessitavo di affetto. Bramavo la calorosità di intensi abbracci, e di baci passionali da togliere il fiato. Morivo d’amore.

    Sebbene fossi di buona compagnia in ogni circostanza per tutti coloro al di sopra di quella nave, ognuno di loro sapeva,
    in quale modo non lo so, forse per opera dell’istinto o del sesto senso, che quando mi appartavo non volevo essere affiancata da nessuno.
    Ognuno sapeva che ogni tentativo di avvicinamento, sarebbe stato invano.
    Fatta eccezione di un gruppo di giovani ragazzi che richiamarono volutamente la mia attenzione con un forte fischio.
    Mi voltai con affare dubbioso e notai cinque ragazzi, alcuni con in mano un calice di birra, altri con una probabile Marlboro rossa tra le labbra, e con un mucchio di stuzzichini sul palmo di una mano, farmi cenno di raggiungerli. Non notai mai la loro presenza, non sapevo quindi se era solito per loro accomodarsi a quel tavolo, o se quella fu solo una postazione occasionale. Con passo non troppo affrettato, mi avvicinai, facendo sfiorare il pizzo ben curato del mio copri abito a terra, iniziando a sentirmi già tremar la voce per la mia smisurata timidezza.
    - Hey! Spero di non aver avuto la pessima idea di disturbarti! – disse con affare spavaldo uno di loro dall’accento orientale – Io mi chiamo Kaveh, piacere. E tu, bella? - Riprese, dopo aver dato un tiro di sigaretta, lisciandosi il capo quasi totalmente calvo.
    - Piacere mio, mi chiamo Evelyn. – risposi, tentando di nascondere l’inevitabile imbarazzo che mi provocò il suo modo di rivolgermi la parola.

    In fondo, ci ero quasi abituata. Venivo da una cittadina in cui ben poche persone si risparmiavano di fare piccanti complimenti, o di rivolgermi la parola seguendo un modo nemmeno lontanamente simile ad una forma di cavalleria. Ma la mia timidezza non aveva confini, purtroppo, perciò non arrivava mai quella volta in cui veramente mi abituavo a rispondere con estrema tranquillità.

    - Evelyn, quasi un nome da fiaba. – esortò, dando una piccola pacca sulla spalla al ragazzo moro seduto accanto a lui.
    - Ti ringrazio, infatti i miei genitori si ispirarono proprio ad una fiaba nel momento della decisione del nome. – puntualizzai, esordendo con un leggero sorriso.
    - Ahh, il mio sesto senso! – disse volgendo gli occhi in aria in senso di compiacimento verso se stesso.
    - Indaffarato sempre com’è a dare sfogo al suo ego, ‘sto stupido non ti ha nemmeno chiesto se desideravi qualcosa da bere. Ma direi che posso approfittarne benissimo io, mia cara Evelyn. Cosa preferisci? – saltò su il ragazzo sul quale Kaveh aveva dato la pacca alla spalla, mostrandosi eccessivamente attento ad analizzare le mie curve, dato i contorti movimenti del suo capo.
    - Ti ringrazio, ma sono a posto così.. ehm.. ti chiami? – chiesi, cercando di non badare troppo alla sua faccia da pesce lesso.
    - Ops, guarda te che sbadato sono! Mi chiamo Gaspar, e sono di Cuba. Devo dire che hai veramente delle gran belle tet.. – prima di terminare la frase fu, fortunatamente, costretto a bloccarsi a causa di un salatino che gli andò di traverso.
    - Ahh, l’amore! – intervenne Kaveh per timore che calassimo in un catastrofico silenzio imbarazzante.

    Non appena Gaspar riuscì a digerire quello stuzzichino che riuscì a risparmiarmi un inevitabile imbarazzo, fece cenno al ragazzo di fronte a lui di chiedermi qualcosa a cui, evidentemente, stavano già pensando prima che mi aggiungessi a loro.

    - Questa sera abbiamo organizzato un party aperto a tutti nella nostra stanza. Sai.. se venissi anche tu ci farebbe molto piacere, perché potresti essere il centro di tutte le nostre attenzioni. Potremmo svelare così cosa c’è sotto a questa tua apparente ingenuità. Lo sappiamo che nessuna ragazza è dalle buone intenzioni e che cederebbe ad una seratina di fuoco se circondata da bei maschioni come noi. –
    sentenziò infine, suscitando la mia più grande rabbia interiore. Questo genere di comportamento non fui mai in grado di mandarlo totalmente giù. Ma decisi di resistere, di sopportare ancora, di fare come se da quella bocca non fosse uscita parola. Il fatto che mi vedevano ingenua, stava a significare un loro accurato studio riguardo il mio comportamento e la mia personalità effettuato nei giorni precedenti, e di questo non me ne sentii per niente onorata.
    - Vi ringrazio per la proposta, ma non sono il tipo adatto per questo genere di cose. – risposi, non preoccupandomi troppo di farlo in tono acido.
    - Ohh, cosa vuoi che sia! E’ questione di una notte e via. Domani l’avrai già dimenticata, ragazzina. – puntualizzò, enfatizzando l’ultima parola.
    - Vedrai che ti divertirai, anche perché io qui ho una bella sorpresina da farti vedere.. - aggiunse un altro ragazzo, di nome Nasim - guarda un po’ qui.. –
    con un rapidissimo scatto, si alzò in piedi tirando giù la lampo dei jeans blu scuro che indossava, sperando di catturare la mia attenzione, la quale si preoccupò, però, più delle espressioni incredule dei vicini di tavolo.

    Quel gesto fu troppo, fu la goccia che fece tardamente traboccare il vaso. Mi alzai infastidita, e guardai con aria mortificata coloro che, per quella serie di minuti di conversazione, erano diventati spettatori. Sebbene avessi conosciuto solamente quattro dei cinque ragazzi, velocizzai il passo verso la prua, sentendoli ridere di gusto, quando sentii alle mie spalle una voce dall’accento nordico urlare il mio nome.

    - Non mi hanno lasciato il tempo di presentarmi.. Il mio nome è Tom. -

    Edited by ‚savannah - 13/2/2011, 17:21
     
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