Drops of Time.

AU, Twincest Not Related, Lemon, OC, Angst.

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  1. »Chemma«
     
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    3. Missing.
    And if I sleep just to dream of you
    I'll wake without you there.
    Isn't something missing, isn’t someone missing me?

    - Evanescence



    La strada era buia, nonostante un paio di lampioni dalle luci biancastre sembravano mettercela tutta pur di restare accesi e illuminarla almeno per qualche tratto. Ogni rumore sembrava amplificato, non solo per il fatto che fosse completamente solo in una notte troppo fredda per essere estiva. Un’ombra alla sua destra lo terrorizzò letteralmente, per cui accelerò il passo. Non sapeva dove potesse effettivamente andare, ma rimanere immobile in un quartiere desolato e freddo in piena notte non gli sembrava un’ottima idea. Si avvolse il busto con le mani, fino a raggiungere parte della schiena con le lunghe dita, ma servì a ben poco affinché potesse riscaldarsi. Non aveva idea di che ora potesse essere, ma infondo che differenza avrebbe fatto? Restava comunque il fatto che fosse terrorizzato a morte, e la domanda più appropriata che potesse farsi era: dove diavolo sono e come ci sono finito qui? Non ricordava assolutamente niente, né tanto meno perché stesse girando a vuoto da quelli che sembravano giorni interi, a giudicare dal peso che le sue gambe si stavano imponendo di sopportare, nonostante fosse fin troppo magro. Ora era più che certo che l’ombra che aveva precedentemente sperato di aver immaginato fosse vera, perché gli era passata accanto. L’aveva sentita sfiorargli il braccio ed era trasalito al contatto, nonostante fosse stato quasi impercettibile. Bill si fermò all’improvviso sotto uno dei lampioni mal funzionanti, appoggiandovisi contro. Scoprì di essere affannato, da quanto stava camminando? E perché non ricordava assolutamente niente? Lanciò una rapida occhiata dietro di sé, accorgendosi che non c’era nient’altro che il buio della notte. Non riusciva a vedere neanche l’asfalto che aveva da poco percorso, tutto sembrava sfumare poco alla volta. Girò di scatto la testa per guardare nuovamente di fronte a sé, e desiderò solamente non averlo mai fatto. Il sangue gli si ghiacciò nelle vene alla vista della sagoma nera poco distante da lui. Era immobile appena fuori dalla luce, così facendo non poteva vedere il volto del ragazzo che aveva davanti. Distingueva solo dei pantaloni e una t-shirt decisamente larghi, le braccia che gli ricadevano rigide lungo i fianchi e qualcosa all’altezza della sua bocca che brillò nel momento in cui il ragazzo lo mosse.
    Le gambe stavano per cedere, improvvisamente si erano trasformate in due incudini che lo tenevano ancorato all’asfalto, senza lasciargli la possibilità di liberarsene e fuggire via. Il sudore gli imperlava la fronte e il prolabio, sintomo di nervosismo. I suoi occhi sbarrati cercavano in qualsiasi direzione una via di fuga inesistente. Non realizzò il tempo che aveva trascorso restando immobile, ma quando la figura avanzò di qualche passo, fu come svegliarsi all’improvviso. La luce del lampione fece il suo ruolo: illuminò appena qualche tratto del viso dell’altro, il minimo per distinguere le sue sopracciglia tese e gli occhi fermi su Bill. Continuò ad avanzare lentamente come un automa, fino a trovarsi a pochi centimetri dal volto del moro. Notò chiaramente le sue pupille dilatate e la paura che si celava dietro quei pozzi scuri, il che lo fece sorridere, rendendolo solo umano. Bill lo trovò affascinante, cosa che lo rese ancora più irrequieto. Quando quest’ultimo posò la propria mano sulla base del suo collo, una scarica elettrica lo scosse. Stava tremando e non sapeva come smettere, o forse non gli interessava.
    «Non avere paura» proferì pacatamente il ragazzo. «Non ti farò del male.»
    Bill capì di aver impiegato più del dovuto per assimilare quelle poche parole, perché non si accorse neanche del suo volto che si stava avvicinando, lentamente, sempre di più. Nella sua mente, però, quei gesti delicati si stavano svolgendo alla velocità della luce, ma non abbastanza per non notare un paio di particolari che gli fecero girare la testa. Un angolo della bocca del ragazzo era rivolto verso l’alto, e doveva dire che quel sorriso sghembo si addiceva fin troppo a quei lineamenti fini. La sua pelle, probabilmente dorata, risplendeva chiara sotto la luce biancastra che si stava affievolendo. Quando sentì il suo fiato caldo sulle labbra era ormai sicuro che le gambe non lo avrebbero più retto, ma lui aveva già provveduto a tenere una presa salda sui suoi fianchi. Le sue pupille si dilatarono ancora di più, voleva prestare la massima attenzione ad ogni movimento, ma sentì le palpebre improvvisamente pesanti e non credette di riuscire a resistere.
    Quando quello posò le sue labbra sulle proprie, fu impossibile per lui formulare una qualsiasi forma di pensiero: era come se gli stesse succhiando via tutto. Bill restò immobile, osservando il ragazzo che lentamente stava inclinando il proprio capo, fino a far incastrare alla perfezione le loro labbra. Osservava i suoi occhi socchiusi, serissimi, che stavano scrutando ogni sua possibile reazione, ma Bill rimase immobile. Non si era reso conto delle sue braccia che ostacolavano un qualsiasi ulteriore movimento del ragazzo, finché quest’ultimo lo costrinse gentilmente ad abbassarle, servendosi solo di una mano. Bill non trovò la forza di ribellarsi, si sentiva totalmente piegato sotto il suo volere. Fu probabilmente per questo che la sua mano andò automaticamente a posarsi dietro il suo collo, facendo una lieve pressione contro di sé. Poté sentire il ragazzo sorridere impercettibilmente, mentre il loro contatto si approfondiva.
    Abbassò le palpebre per riflesso, sentendosi improvvisamente stanco. Era vero, allora, che gli stava portando via quel po’ di forza vitale che gli era rimasta. Quando il ragazzo si staccò lentamente da lui, una serie di brividi di freddo e una miriade di sensazioni diverse percorsero interamente il suo sistema nervoso. Strinse di poco le palpebre, mentre la testa iniziava a girargli. Vedeva ancora la scena appena terminata, era più che sicuro che gli si fosse impressa a fuoco sul fondo delle retine. Il respiro dell’altro ora si stava infrangendo contro il suo collo, fino a raggiungere il lobo del suo orecchio destro. Si stava assuefacendo in quel dolce respiro. Il suo sussurro ebbe la forza di un urlo.
    «Apri gli occhi

    L’unica cosa che vide fu la metà di stanza che aveva davanti che non voleva smettere di girare. O forse era la sua testa che non funzionava come avrebbe dovuto?
    Bill si guardò intorno spaesato, muovendosi convulsamente sul letto troppo grande per lui. Aveva chiaramente combinato un casino con le lenzuola, chissà quanto si era agitato nel sonno. Portarsi una mano alla fronte fu un’impresa: stava respirando affannosamente e non voleva saperne di smetterla di tremare. Era un bagno di sudore, probabilmente era per quello che le lenzuola erano ormai umide. I pantaloni gli si erano appiccicati alle gambe come fossero una seconda pelle, e faticò non poco per uscire da quel groviglio. Per raggiungere dovette cercare un solido appoggio al muro, perché la vista gli si appannò e la testa non voleva saperne di smettere di girargli.
    Due settimane. Erano due settimane che andava avanti così, precisamente da quando aveva visto lui l’ennesima volta nelle situazioni più impensabili. Il ragazzo che da due settimane lo ossessionava a dir poco, disturbando i suoi sogni durante la notte, intralciando i suoi pensieri durante il giorno. Da quando erano arrivati a Lipsia lo aveva visto due sole volte, che a quanto pareva erano bastate affinché diventasse il suo incubo peggiore o il più dolce. A niente era servito passare ore intere sui libri, anzi, rimanere più di cinque ore di seguito seduto alla scrivania probabilmente stava solo contribuendo a fargli perdere il senno, o forse era troppo tardi per recuperarlo. Sapeva solo che per una volta, una soltanto, avrebbe voluto dormire senza doversi svegliare all’improvviso nel cuore della notte, terrorizzato e sudato, per giunta. Neanche l’acqua ghiacciata che gli colpì il volto bastò a rilassarlo, i suoi movimenti erano meccanici e per un attimo temette di non riuscire a reggersi in piedi, per cui decise di tornare a letto. Ora come ora, non gli risultava neanche più strano avere paura di addormentarsi. Certo, se poi doveva avere incubi del genere col cavolo che avrebbe più voluto dormire, specie se poi doveva anche avere a che fare con quelle terribili occhiaie. Avrebbe ceduto, prima o poi l’avrebbe fatto ed era sicuro che non gli sarebbe interessato più nulla. Si chiese se ci fosse qualche modo di spegnere il cervello, se avesse avuto un minimo di pazienza avrebbe tentato di trovarlo lui. Per questo odiava ritrovarsi nel bel mezzo della notte a fissare il soffitto della sua camera, iniziava ad avere queste conversazioni con sé stesso e non ne usciva finché non si addormentava. Poi sognava quel ragazzo – di cui ignorava perfino il nome –, si svegliava all’improvviso e la routine ricominciava. Decisamente, non ne sarebbe uscito vivo.
    Più andava avanti così, più diventava irrequieto. E l’irrequietezza secondo Bill Trümper non poteva essere che sinonimo di catastrofe: iniziava ad odiare tutto e tutti – per dire, in quel momento non sopportava i suoi amati capelli che ricadevano sul cuscino e che si appiccicavano dietro al collo –,le sue capacità motorie si riducevano a zero e il suo nervosismo aggiunto all’ansia per lo studio non lo aiutava di certo. Non gli andava di stare male per una sua fissazione, probabilmente era solo causata dalla solitudine.
    «E’ solo una fase, passerà», continuava a ripetersi, proprio come diceva Adam Brody in quel film che adorava.
    Cercò l’iPod nel cassetto lì vicino, trovandolo dopo qualche tentativo senza aver guardato dove metteva le mani. In momenti come quelli aveva solo bisogno di mettere un freno ai suoi pensieri e alla realtà che gli correva accanto.

    *


    Georg Listing non si era mai fermato a riflettere sul perché da un giorno all’altro si era ritrovato a convivere con due idioti del calibro di Tom e Andreas. In quel momento non riusciva a trovare un solo aggettivo più adatto ai due, perché quale persona con un minimo di senso di civiltà avrebbe acceso la radio a palla nel bel mezzo della notte, o di prima mattina, che fosse? Nessuno, appunto: solo due idioti come quei due. Infastidito, decise che una volta giunto nella loro camera, non l’avrebbero passata liscia. Dopo tre anni non avevano ancora capito cosa significasse interrompere il suo sonno?! Male, molto male. Con gli occhi ancora socchiusi i capelli disordinati che gli ricadevano ovunque e il passo strascicato raggiunse una porta che non identificò, ancora assonnato, ma dalla quale proveniva un rumore insopportabile che riconobbe come la musica assurda che solo Tom poteva ascoltare.
    «Si può sapere che diavolo state facendo?» riuscì a mugugnare con un tono abbastanza inquietante. Infatti, vide con la coda dell’occhio Tom che si premurò di staccare immediatamente la musica e Andreas saltare letteralmente sul posto, mentre la sua risata si interrompeva all’istante.
    «Ben svegliato, Hobbit», lo salutò il moro, intento a riordinare qualche casino che aveva combinato. Georg odiò il suo sorriso strafottente che sembrava stesse cercando di reprimere.
    «Che vi è saltato in mente?!» continuò il maggiore, cercando di non far trasparire eccessivamente la sua ira.
    «Infondo è solo mezzogiorno e mezza» proferì tranquillo Tom, passandogli accanto. «E comunque ha chiamato Gustav. C’è Stuck in città.»
    «Cos… oh» si passò una mano sulla fronte, appoggiandosi allo stipite della porta, come se quella notizia detta all’improvviso gli avesse dato il colpo di grazia. Non ricordava di aver bevuto fino allo sfinimento la sera prima, anzi, non aveva bevuto per niente. Aveva semplicemente visto un film con gli altri e poi era andato a letto piuttosto tardi. Che fosse solo la stanchezza a renderlo così? Certo che la vecchiaia faceva brutti scherzi…
    «Ti conviene muoverti, abbiamo appuntamento con gli altri tra dieci minuti» lo avvisò Andreas, dirigendosi in cucina, dove si ritrovarono per la colazione. Non fu la prima volta che Georg rimpianse seriamente di aver scelto Tom e Andreas a Rachel.

    *
    Non aveva voglia di alzarsi dal letto e accendere il computer. Non aveva voglia di scendere quindici gradini e arrivare fino in cucina per fare colazione. Non aveva voglia di mangiare, di salutare sua madre e dover affrontare un qualsiasi tipo di discussione con lei. Beh, in effetti, si chiese di cosa avesse voglia, arrivato a quel punto.
    Dopo essersi svegliato, quella notte, era riuscito a chiudere occhio per due orette scarse, dopo di che si era nuovamente svegliato e aveva guardato il soffitto per le quattro ore successive. Avrebbe potuto impiegare meglio quel tempo – avrebbe potuto proprio utilizzarlo, in realtà –, ma non aveva saputo come e non ne aveva affatto voglia, per cui si era limitato a starsene steso sul letto ad aspettare che quelle poche ore passassero. Non aveva neanche avuto la capacità di pensare, ragione che lo aveva spinto ad affogare in quelle canzoni malinconiche finché anche l’iPod aveva deciso di abbandonarlo.
    Dopo una doccia accuratamente ghiacciata che non era bastata per risvegliarlo da quel torpore, si diresse in cucina, non potendo più ignorare i rumori ambigui provenienti dal suo stomaco. Simone era già lì che trafficava con i fornelli, poteva sentire il dolce profumo dei waffeln come solo lei sapeva cucinarli.
    «Buongiorno» lo salutò lei, raggiante come sempre. Si stava violentando mentalmente per mantenere i nervi saldi.
    «’Giorno» mugugnò lui, forzando un sorriso.
    Il suo sorriso si allargò sinceramente quando la donna gli servì un piatto colmo di waffeln che avrebbe divorato piacevolmente. Cominciò a mangiare in silenzio, dimenticandosi di tutto il resto. Arrivato a metà del suo pasto si rese conto che qualcosa non andava. Niente tintinnio di forchette e bicchieri, niente spostamenti d’aria, niente rumori casuali. La cucina era fin troppo silenziosa, si sentivano solo i suoi respiri e i bocconi troppo grandi che faticava a spingere giù per la gola. Si voltò lentamente, la bocca ancora piena della porzione enorme che aveva preso, trovando Simone fissarlo impassibile, e rischiò seriamente di strozzarsi.
    «Cosa c’è?» trovò la forza di chiedere, attento a non muovere troppo le labbra. Un minuto dopo aveva già mandato tutto giù. Seguì con lo sguardo la donna che prese posto accanto a lui e posò la forchetta, ormai era decisamente sazio. Simone sospirò e si mise in ascolto.
    «Niente, tesoro. Ascolta, non ho il tempo di fare la spesa, potresti uscire tu?» chiese speranzosa. Si chiese se Bill ricordasse ancora come fosse la luce del sole, visto che per due settimane era stato chiuso in casa davanti al suo computer, incollato ad un libro o quasi privo di vita accasciato sul divano, senza mai separarsi dal cellulare che lo teneva in contatto con i suoi amici. Se non trovava il coraggio per parlargli con tutta la sincerità del mondo, lo avrebbe smosso indirettamente.
    «Uhm… certo.» Seguì con lo sguardo ciò che la madre si stava apprestando a scrivere su un foglio e si chiese in che modo avrebbe dovuto portare da solo tutta quella roba. Simone attese impazientemente che sparisse di sopra, per poi recuperare alla svelta il cellulare.
    «Brian? Sì, Bill uscirà tra poco. Sicuro di farcela da solo? Ok, sì, ti aspetto qui allora.»


    Alla fine aveva riempito con piacere neanche una busta neanche troppo pesante. Si era dovuto risparmiare qualche scatola e un paio di pacchetti di cose che non aveva trovato, e la cosa non gli era dispiaciuta più di tanto. Per fortuna aveva trovato senza problemi lo scomparto delle caramelle, ed era stato più che felice di regalarsi una confezione di orsetti gommosi. Non faceva molto caldo quel giorno, ma dover abbandonare l’aria condizionata fu abbastanza seccante, specialmente perché quel giorno il sole non si stava risparmiando di battere su Lipsia. Estrasse cautamente l’iPod dall’enorme borsa, sistemandosela meglio sulla spalla e cercando di tenere ben saldo il sacchetto di carta con entrambe le braccia, e si incamminò verso casa. Non era molto distante da lì, ma abbastanza per godersi due o tre canzoni. La riproduzione casuale quel giorno era stata piuttosto generosa, la canzone che gli offrì il quel momento lo fece riflettere non poco. Si era estraniato dalla realtà tanto che non vedeva ciò che aveva davanti, ma i suoi pensieri che prendevano forma.
    And if I’ll bleed, I’ll bleed knowing you don’t care.
    And if I sleep just to dream of you, I’ll wake without you there.

    E in quel momento, Amy Lee non avrebbe potuto cantargli parole più adatte, facendo da sottofondo alle immagini del sogno che gli stavano offuscando la vista. Non vi aveva dato molto peso prima, ma era stato quasi inevitabile ricordarlo, vedendo attraverso le lenti scure e percorrendo una strada larga e vuota. Svoltò un angolo, trovandosi davanti troppe persone – si stava sentendo a disagio. Era incredibile come potesse sentirsi terribilmente solo anche in mezzo alla gente, ma loro gli sarebbero passati accanto senza curarsi di lui, come d’altro canto avevano fatto tutte le persone che in diciannove anni aveva conosciuto, e Bill sentiva che qualcosa gli mancava. Qualcosa che non sperava di trovare così presto.
    Isn’t something missing, isn’t someone missing me?
    Impiegò qualche secondo di troppo per capire perché avesse indietreggiato e perché sentiva le spalle pesanti. Sbatté le ciglia un paio di volte, e seppe solo che quello che vide fu un grado di far perdere qualche battito al suo cuore. Era lui. Il ragazzo dai cornrow scuri e con il piercing al labbro. Aveva la bocca semiaperta, gli angoli tirati all’insù, e gli stringeva lievemente le spalle, lo aveva retto impedendogli di perdere l’equilibrio nel momento in cui si erano scontrati. Era successo così in fretta che non se n’era neanche reso conto.
    «Scusami, non volevo.», aggiunse in fretta Bill, aggiustando la presa sul sacchetto che gli stava cadendo dalle mani.
    «Figurati, tutto ok?»
    Era ufficiale. Amava la sua voce, il suo piercing che stava brillando e quel neo che stava fissando sulla sua guancia destra. Udì appena una voce dietro di lui che bastò a mandarlo in panico.
    «S-sì.. grazie.»
    E no. Quel sorriso no. Decise di dileguarsi in fretta, lasciandogli il fantasma di un sorriso, per poi scomparire dalla sua visuale, sorpassando un ragazzo dai capelli liscissimi che non sapeva se avrebbe dovuto ringraziare o maledire. Tom. Così gli pareva di aver sentito dire dal suddetto ragazzo su cui era indeciso. E così, il suo incubo migliore aveva anche un nome.. in effetti, la faccia da Tom ci stava. Si fermò un attimo a pensare su cosa diamine stesse pensando, chiedendosi dapprima come fosse effettivamente una faccia da Tom e solo in seguito che brutta fine avesse fatto la sua testa. Ora sì che avrebbe sofferto di sonnambulismo.

    *


    «… Evan ha detto che non si tratterranno più di tanto, si sono trovati a passare da queste parti e Brian ci teneva a salutarci e… Tom, mi stai ascoltando?» disse il moro, alzando di qualche ottava il tono dell’ultima frase, come ogni volta che cercava di attirare l’attenzione.
    Georg fissò le spalle abbronzate di Tom che si era improvvisamente fermato. Si sporse in avanti, notando le sue mani sulle spalle di qualcuno che riconobbe come il ragazzo di cui si era parlato una mattina neanche tanto lontana al bar. Aveva sentito vagamente la sua voce, per poi vederlo letteralmente scappare via. Cosa aveva potuto fargli l’amico di così terribile…?
    Tom aveva smesso di ascoltare Georg nel momento in cui una scarica elettrica lo aveva scosso, specie dopo aver riconosciuto la figura che lo aveva urtato. Era lui. Dio, il Destino o qualche divinità a cui era stato devoto dovevano volergli proprio bene, per tutti gli incontri casuali che gli stavano facendo avere con quella creatura meravigliosa che ora si ritrovava tra le mani. Era talmente esile che se fosse caduto probabilmente si sarebbe spezzato, ma i suoi riflessi pronti lo avevano portato a sorreggerlo per le spalle appena in tempo. Ed era stato lì che il mondo attorno a lui era definitivamente scomparso.
    Gli sorrise per rassicurarlo, chiedendogli poi se stesse bene in realtà solo per sentire di nuovo la sua voce. Non l’aveva dimenticata, e non aveva dimenticato lui, nonostante fossero passate due settimane dal loro ultimo incontro, precisamente dalla volta in cui non era riuscito a staccargli gli occhi di dosso finché non era letteralmente scappato. Lo vide tentare di nascondere un sorriso mentre abbassava il capo, per poi scomparire nel resto della folla alle loro spalle. Il moro si voltò lentamente verso l’amico, guardandolo solo dopo aver visto davvero il ragazzo scomparire.
    «Sì?» chiese lui, un sorriso sornione che Georg sapeva non sarebbe scomparso facilmente da quella faccia da idiota che si ritrovava come migliore amico.
    «Niente, lascia stare. Siamo in ritardo.» Lo tirò leggermente, precedendolo, e si incamminarono verso il loro PK’s Park.


    Erano tutti lì, nonostante sembrassero più che disinteressati alla cosa. Avvicinandosi, Tom riconobbe solo Gustav e Kim , trattenuti da una discussione poco accesa con i due ragazzi che avevano di fronte, mentre Rachel, Andreas ed Evan avevano evidentemente preferito starsene lì nei paraggi. Si stupì nel vedere Brian affiancato dal biondino che riconobbe come Justin Howe – era sicuro che non avrebbero dimenticato quel nome neanche dopo la morte –, che stava fissando Gustav impassibile, e si chiedeva in che modo osasse solo trovarsi a quella distanza così ridotta da loro. O meglio, con quale coraggio si trovava proprio di fronte a lui, nella loro città. Gettò un’occhiata in giro e la sua attenzione fu catturata da due ragazzi che sedevano sul loro muretto, guardandoli sottecchi. Ignorava la loro funzione, probabilmente stavano con i due Berlinesi, ma dubitava fortemente che potessero essere dei traceurs, a giudicare dal loro aspetto. Si soffermò qualche secondo di più sulla biondina dall’abbigliamento decisamente strano, per poi riportare lo sguardo sul moretto che ora stava ascoltando Gustav.
    «Tom Kaulitz e Georg Listing, che piacere rivedervi.»
    Nel vederli arrivare, Brian distolse l’attenzione dal discorso e si apprestò a pararsi di fronte a loro; il tempo di vederli avvicinarsi ed aprì le braccia, enfatizzando decisamente troppo il tono terribilmente falso che aveva usato.
    «Brian Stuck.» Commentò Tom con più riluttanza. In altre circostanze gli avrebbe teso la mano in modo formale, ma qualcosa gli diceva che per chi coltivava falsità e cattiveria, la formalità poteva contare ben poco. L’attenzione era ormai interamente su di loro, neanche fossero sul punto di duellare.
    «Allora, a cosa dobbiamo questa visita? Dubito che si tratti di cortesia
    Georg prese in mano la situazione, andando dritto al sodo. Si sentiva responsabile del proprio gruppo e voleva mettere fine a quella scenetta il prima possibile, era sicuro che fosse solo tempo prezioso sottratto ai loro allenamenti. Poteva percepire la tensione di Tom, immobile al suo fianco. Sapeva quanto potesse sentirsi irrequieto, ma allo stesso modo, non riuscì a rilassarsi, non con tutti quegli sguardi puntati addosso.
    «Niente a che vedere con voi, ve lo posso assicurare. Io e i miei amici, qui» indicò la biondina e il ragazzo che parlottavano con disinteresse «ci trovavamo da queste parti, niente a che vedere con lo Stage.»
    Il moretto tutto tatuaggi e piercing doveva trovare davvero divertente il fatto che i sette si fossero allarmati per una piccola visita turistica in Lipsia – o almeno era con questo che Brian aveva giustificato la loro presenza in una cittadina che del turismo se ne faceva ben poco, ma si sentivano in dovere di tenere il controllo sulla situazione. In ogni modo quella mattina avrebbero dovuto incontrarsi per il solito allenamento lì al parco, impiegare cinque minuti in un’amichevole dialogo non poteva essere una così grande tragedia.
    «Decisamente.. » Tom scrutò la sua espressione, mentre la conversazione tra i due continuava. Non avrebbero potuto scegliere un leader migliore di Georg, nonostante avesse avuto lui stesso quella possibilità, ma sapeva che in quella circostanza, al posto di discutere quanto meno pacificamente col moro di fronte a sé, gli sarebbe saltato addosso e lo avrebbe preso a pugni.
    Le parole pronunciate dal moretto al suo fianco, poi, iniziarono a giungere sempre più ovattate alle sue orecchie man mano che l’ormai familiare figura nera e slanciata si avvicinava sempre di più a loro. Non lo aveva notato, prima, seduto su una panchina poco più in là del loro muretto, ma ora che stava letteralmente correndo verso di lui – o almeno così credeva che fosse –, l’unica cosa che sapeva era che il suo cervello stava lavorando così intensamente da rischiare un corto circuito. I capelli corvini gli ricadevano ovunque secondo i suoi movimenti rapidi, e quando si fermò bruscamente davanti alla biondina che aveva fissato poco prima, Tom provò contemporaneamente tre sensazioni diverse. Prima di tutte probabilmente la delusione: no, il ragazzo non stava davvero correndo da lui, e in realtà non avrebbe avuto motivo di farlo. Seconda fu l’invidia, perché desiderò davvero poterlo abbracciare in quel modo e vederlo sorridere come quella mattina. Terzo, il suo cuore perse uno o due battiti quando vide le lacrime nere che gli rigavano il volto, stonando di parecchio con il sorriso che avrebbe dovuto illuminarglielo. Pensò che magari fossero lacrime di felicità, ma fu comunque inspiegabilmente struggente per lui vederlo in quello stato.
    Lo vide annuire, asciugarsi una lacrima e ridere probabilmente ad una battuta di uno di quei due tipi strani, ma quella distanza poteva sentire ben poco della conversazione. Tom si era ormai rassegnato all’idea che quelli non dovevano essere affari suoi, quando lo vide girarsi di scatto davvero nella sua direzione, l’espressione che trovò sul suo volto lo colpì quanto un secchio d’acqua ghiacciata.
    Lo vide avanzare verso di lui a passo svelto, lo sguardo ancora incredulo e un sorriso che si allargava ad ogni passo.
    «Brian.»
    Il ragazzo che stava ascoltando Georg si voltò all’improvviso. «Bill!» esclamò incurante degli sguardi puntati su di loro, trovandosi davanti l’amico sorridente ed affannato che non aspettò un secondo di più per gettarsi al suo collo. Il cuore di Tom, che aveva dovuto sopportare l’ennesimo colpo quando per la seconda volta aveva capito di essersi illuso, smise definitivamente di battere quando ritrovò gli occhi di Bill puntati nei propri.



    Note: ok, dunque... vi anticipo che sono rimasta un po' indietro per quanto riguarda la scrittura, anche per questo non ho postato giovedì, nonostante la cosa non mi giustifichi affatto XD in pratica mi sto incasinando da sola. maaa comunque ce la farò, ad uscirne D:
    Questo capitolo lo trovo stranissimo anch'io, soprattutto per questi nuovi personaggi (Brian e Justin XD ) che sono spuntati dall'uovo di Pasqua. '-' in realtà è stata una cosa esclusivamente 'tecnica' il fatto che si dovessero incontrare tutti insieme appassionatamente al parco, perchè altrimenti Bill e Tom non si sarebbero visti. non so se è chiaro XD poi va bè, Brian è Brian e tralasciando il fatto che lo immagino come John Cooper (cantante degli Skillet..... Limoncella, capiscimi XD) avrà una sua funzione nel quarto capitolo (;
    se non avete capito qualcosa chiedete pure, è comprensibilissimo per il resto è tutto qui, credo. torno a scrivere, au revoir
     
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125 replies since 14/9/2010, 23:05   4277 views
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