Drops of Time.

AU, Twincest Not Related, Lemon, OC, Angst.

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  1. »Chemma«
     
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    Drops of Time.
    You’re losing drops of time.



    Titolo: Drops of time.
    Autore: »Chemma«
    Genere: Sentimentale, Malinconico, Introspettivo.
    Raiting: G/PG
    Avvisi: AU, Lemon, OC, Angst.
    Riassunto: Quando il tempo è tutto ciò che non dovresti perdere e la prima cosa a scivolare via.
    Note: Non posso farci niente se le canzoni sono le mie Muse ispiratrici. ‘Drops of time’ è una canzone dei Finley, mi rincresce non possedere anche questo titolo oltre il corpo dei capitoli, perché devo dire che alle mie orecchie suona maledettamente bene, e inizialmente è stato solo per questo che l’ho scelto, solo in un secondo momento ha assunto un significato ora molto importante per me. Se potessi ringrazierei singolarmente tutti gli artisti di cui riporto alcuni versi come introduzioni nei capitoli, perché senza di loro questi sarebbero stati vuoti. Mi limito ad un ringraziamento molto virtuale, mio malgrado XD

    Capitoli
    1. Miracle [Pagina corrente]
    2. Oblivion [Pagina corrente]
    3. Missing [Pagina corrente]
    4. When it rains
    5. Strange
    6. Let the flames begin
    7. Be careful
    8. Together
    9. Bad Romance
    10. Come as you are
    11. Naive


    <b>banner by ales {nemo} only for me ♥


    Licenza Creative Commons
    Drops of Time by »Chemma« is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia License.
    Tu non puoi alterare o trasformare quest'opera, ne' usarla per crearne un'altra.



    Disclaimers: I personaggi presenti in questa storia non appartengono a me, ad eccezione di qualche comparsa che nasce per formalità… per il resto, i due bei Kaulitz protagonisti non sono di mia proprietà, tutto quello che troverete scritto qui è frutto della mia mente incasinata e scrivendo non guadagno niente, se non pura soddisfazione personale e magari un po’ più di tranquillità, siccome questa storia nasce da un vero e proprio tormento. Buona lettura.

    1. Miracle
    I asked for Love. I asked for Mercy.
    I asked you for sunshine, and then I begged you for the harder rain.

    Outro Miracle, Paramore –




    Bill non riuscì a trattenere un sospiro, alla vista della parola ‘Leipzig’ stampata a caratteri cubitali sull’apposito cartello verde, che informava qualsiasi viaggiatore della città presente in quel punto della Sassonia. E il fatto che stesse ascoltando per la terza volta la stessa canzone non lo aiutava, insieme alla situazione già tragica di per sé sulla quale continuava masochisticamente a ripensare, aggiungendo il vento che per le tre ore di viaggio aveva continuato a battere contro il suo finestrino, annoiandolo parecchio. Nonostante i suoi sforzi di auto convincimento sul fatto che un trasferimento non potesse essere la fine del mondo, sapeva che era piuttosto inutile ignorare il peso al petto che gli si era formato da quando Simone e Gordon gli avevano dato la notizia. Lasciare Berlino per lui non stava significando solo lasciare i suoi vecchi amici, nonostante li avesse contati tranquillamente sulle dita di una mano. Per tutti e sette gli anni che avevano impiegato a costruire la loro amicizia, la cosa era stata irrilevante, e aveva ringraziato il cielo per non essersi trovato in una comitiva di sfigati nella quale sarebbe stato sempre ‘L’esiliato ribelle emo/punk/glam rock con tendenze spropositate al frocio’. Con il lasciarsi alle spalle quelle quattro persone su cui aveva sempre potuto contare, per un concentrato di imprevedibilità, dolcezza, infantilità e bellezza quale era quel pazzo adolescente chiamato Bill Trümper, significava proprio cambiare vita. Fino ad allora non aveva avuto di che lamentarsi, dal momento in cui sua madre e il suo patrigno – con il quale era sempre andato d’accordo; tra l’altro sembrava rendere davvero felice Simone e questo bastava per apprezzarlo– gli avevano sempre dato tutto ciò di cui aveva avuto bisogno, in primis l’amore di una famiglia vera, per poi passare al lato materiale della cosa. Per questo motivo, Bill credeva che un minimo ringraziamento fosse d’obbligo; aveva quindi cercato di mascherare il più possibile le conseguenze di quel colpo inaspettato, specialmente durante sua ultima settimana nella capitale. Brian, Chris e Ashley gli avevano comunque promesso che sarebbero andati a trovarlo, ma quanto sarebbe potuto durare? Anche lui al loro posto si sarebbe stancato di sorbirsi ogni volta tre ore di viaggio, finendo, magari, con l’accentuare il peso di quella nostalgia. Nonostante l'inidifferente tendenza al pessimismo, la sua mente era già a qualche mese più tardi, quando il freddo avrebbe preso il posto di quel caldo insopportabile, lui non avrebbe dovuto necessariamente rimanere in quella città e avrebbe potuto dedicare il suo magnifico e lungo inverno a ciò che più amava.
    A fargli alzare lo sguardo dalle sue impeccabili unghie laccate di nero furono due fastidiosi colpetti al vetro del finestrino. Perché Gordon era in piedi là fuori? E perché lo fissava con quel sorriso... ebete?
    «Bill, siamo arrivati».
    Il moro realizzò che la macchina non sfrecciava più sulla strada, ma era ferma vicino l’orlo del marciapiede, sul quale affacciava verso il lato destro dell’auto, dove sedeva. Guardando fuori dal finestrino, scorgeva una serie di case simili, tra le quali distinse quella che sarebbe stata casa Trümper, a giudicare dal modo in cui Simone non vi staccava gli occhi. In pochi secondi realizzò che il momento era davvero arrivato, alla fine. Lasciò stancamente l’auto, senza voglia o fretta, fregandosene di somigliare ad un fantasma.
    «Mi aiuteresti a portare le chitarre?»
    Già, le sue preziose chitarre. Uno dei motivi per cui stimava Gordon, solo che in quell’occasione maledì la sua carriera da musicista. Lo aveva da sempre attirato il canto, non erano state rare le volte in cui Gordon si era offerto di accompagnarlo con qualche melodia di sottofondo, piuttosto che lasciarlo canticchiare da solo mentre girovagava per la casa - come suo solito - , e doveva ammettere che erano momenti che ricordava sempre con un sorriso sulle labbra. Avrebbe potuto essere felice almeno per questo, solo che non aveva voglia di pensarci troppo. L’idea del trasferimento si era concretizzata proprio dal momento in cui il patrigno aveva finalmente ottenuto un posto assicurato nella Rock Academy di Lipsia.
    Senza rispondere alla domanda, il moro aprì la portiera grigia che aveva appena chiuso, tirando verso di sé le due custodie che avevano giaciuto sul sedile accanto al suo, per poi dirigersi per la prima volta all’interno della casa. I due strumenti, sommati al peso delle custodie rigide, non erano propriamente leggeri, specialmente per via del corpo esile che si ritrovava. Salì con non poca fatica quei cinque gradini tendenti al color panna, e quando alzò lo sguardo dal pavimento, rimase colpito. Era tutto troppo vuoto, troppo diverso. I loro vecchi mobili, arrivati lì con qualche giorno di anticipo per facilitare il loro viaggio, facevano un certo senso, rivestiti da quegli spessi strati di cellophane. L’ingresso non era molto ampio, ma si aveva un’inquadratura generale di almeno tre stanze. Preferì soffermarsi su ogni dettaglio catturabile, piuttosto che pensare a quanto fosse strano tutto quello, per cui lasciò vagare lo sguardo senza limiti. Dalla soglia della porta si scorgevano all’incirca i primi dieci gradini che conducevano al piano superiore, distanti da essa probabilmente lo stesso numero di metri. Bill posò le chitarre alla sua sinistra, vicino lo stipite della porta e lasciò vagare lo sguardo lungo quella parete. Poco più avanti si interrompeva per dare spazio ad una porta scorrevole, in quella che doveva essere l’entrata del soggiorno. Il pavimento in parquet era liscio e lucidissimo, e Bill, nella sua leggerezza, non produceva alcun rumore. Avanzò di qualche passo fino a raggiungere l’entrata della cucina, precisamente opposta a quella del soggiorno, ma rappresentata da un arco che per poco non sfiorava il soffitto. Non era molto grande, ma sembrava accogliente, con quel tavolo posto al centro, una finestra ampia sulla destra e il resto della mobilia che prima era appartenuta alla sua stessa casa. Il ragazzo vagò lentamente, osservando ogni angolo di quegli spazi a cui avrebbe dovuto abituarsi, anche se in generale doveva ammettere che gli piaceva. Trovò Simone fissarlo dallo stipite dell’entrata ad arco, le braccia strette al petto e un sorriso cordiale in volto.
    «Che te ne pare?» osservò esitante qualsiasi reazione del figlio. Era difficile ignorare la sua sofferenza, conosceva Bill abbastanza da sapere quante cose stesse provando a tenersi dentro. Allo stesso modo, capiva perché non le raccontasse tutto ciò che gli passava per la testa, d’altro canto, era stata adolescente anche lei. Sperava solo che in una cittadina moderna e vasta come Lipsia, Bill potesse trovare poche difficoltà nell’ambientarsi.
    «Ho visto solo questo piano. Il soggiorno è bello, comunque. E anche il quartiere… beh, quel po’ che ho visto» il moro cercò di sorridere nella risposta. « Dov’è la mia camera?»
    «Di sopra, in fondo a sinistra. Vado a prendere le ultime cose in macchina» lo salutò cercando di non far scivolare via il suo sorriso rassicurante, anche se le risultò difficile. In un attimo, vedendo l’espressione apatica del suo Bill, tutte le certezze sui benefici del trasferimento, svanirono.

    *


    A quell’ora del pomeriggio il parco era quasi deserto, nonostante fosse estate. Il cielo scuriva molto più lentamente rispetto all’inverno, però quel giorno di giugno le nuvole grigiastre stavano rendendo la cosa molto più difficile. I ragazzi della città preferivano il centro o pub, discoteche, bar, oppure si limitavano a passeggiare lungo le strade larghe e nella piazza principale. Loro, invece, erano abituati da tempo a ritrovarsi in quel parco, alla periferia del distretto centrale. Tom non avrebbe saputo trovare un posto migliore nell’intera città, d’altro canto, poteva quasi considerare il suo amato PK’s Park il luogo in cui era cresciuto.
    Gli altri erano già lì, al loro solito posto. Rachel sedeva compostamente sulle gambe di Georg, e Tom poteva notare la sua mano tra i capelli liscissimi del ragazzo. Kim ed Evan chiacchieravano animatamente, l’uno di fronte all’altro, lo intuiva dal modo in cui la biondina gesticolava. Gustav e Andreas, poco distanti dal resto del gruppo, erano impegnati in una delle loro solite sfide alla sbarra, dove generalmente era Andreas a svolgere il maggior numero di avvitamenti.
    Tom prese una leggera rincorsa, prima di darsi uno slancio e portare le gambe avanti, poggiando i palmi aperti ad una distanza calcolata sul muretto il secondo dopo. Trovò l’equilibrio giusto, e la forza che impiegò nell’ausilio che le sue braccia gli avevano dato bastò a fargli superare l’ostacolo senza difficoltà. Aveva impiegato un po’ di tempo per imparare alla perfezione quel Dash Vault*, e doveva dire che era una bella soddisfazione riuscire a svolgerla senza ritrovarsi con un polso rotto.
    Non si diede il tempo di atterrare sulle mattonelle della stradina, che un ulteriore spinta più netta, bilanciata maggiormente sul piede destro, lo portò accanto a Kim, sul muro opposto ed identico a quello appena scavalcato. La ragazza, dandogli le spalle ed essendo presa dal suo racconto, sembrava non essersi accorta della sua presenza, almeno finché Evan non lo salutò.
    «Hey, Spid,» il moro fece un cenno di saluto all’ultimo arrivato « Sei in ritardo.»
    «Mi spiace Scene King, ma ogni tanto anche a me piace dormire.» Tom alzò un braccio in segno di saluto a Georg, guardandolo oltre le spalle di Evan. Sapeva quanto il moretto odiasse quel nomignolo, ma allo stesso modo lui sapeva quanto odiasse il suo, di appellativo.
    «Non chiamarmi così!» protestò, infatti.
    «E tu smettila di paragonarmi a quel supereroe da strapazzo.»
    « Ciao anche a te Tom!» Kim interruppe il tentativo di risposta di Evan, che alzò lo sguardo al cielo minaccioso. La ragazza schioccò un bacio leggero sulla guancia liscia e abbronzata del moro, facendo assumere un colorito tendente al porpora alle guance del ragazzo alla sua sinistra. La cotta di Evan nei confronti di Kim era l’attuale oggetto di pettegolezzi nel gruppo, per questo la biondina si divertiva a farlo ingelosire, nonostante non le dispiacesse. Qualche tempo prima avrebbe detto che Tom era l’unico uomo della sua vita, ma si era dovuta rassegnare all’idea del ragazzo bello e dannato.
    « Chi è che ha vinto sta volta?»
    Il ragazzo dai cornrow scuri si sporse in avanti per vedere Andreas e Gustav raggiungere il gruppo. Non riusciva a vedere i loro volti a causa della sua posizione, ma non credeva di esserselo inventato quel sorriso sul volto di Gustav.
    « Signori» il biondino dagli occhiali scuri attirò l’attenzione dei cinque « Sta sera da bere per tutti, ringraziamo Andi.» Annunciò, sfregandosi le mani, mentre sorrideva ampiamente. Georg fischiò, facendo ridere Rachel, che rimase ancorata al suo busto e al suo collo. I sorrisi sghembi di Tom, Evan e Kim si allargarono, mentre quest’ultima batté le mani una volta, come sempre quando rideva.
    «Oh, andiamo, ne hai fatti solo due in più di me!» ribatté il moretto, affaticato.
    «Le scommesse sono scommesse.» Rispose il vincitore.
    «Gühne perde colpi.» Lo canzonò Tom, facendosi perno indietro con le braccia. Andreas non volle obbiettare ulteriormente, era ancora senza fiato. La prese sul ridere, così come gli altri alla vista di Gustav che si stendeva sul muretto di fronte a loro, esausto.

    *


    « Mamma, vado a fare un giro.»
    Bill lanciò uno sguardo fugace ai genitori. Recuperò il cellulare che aveva lasciato sul tavolo della cucina, mentre Simone e Gordon sorseggiavano qualcosa dall’odore dolciastro.
    « Vuoi che ti accompagni? Potresti, sai.. perderti.»
    La donna posò il suo bicchiere sul tavolo, guardando chiaramente preoccupata l’espressione del figlio. Cercava nei suoi occhi una minima emozione, che fosse rabbia o tristezza, ma niente. L’impassibilità era decisamente una delle cose che odiava.
    « Non preoccuparti, tornerò prima che faccia buio. E prima che ceniate» forzò un sorriso, che abbandonò subito, per poi sussurrare un flebile « a dopo.»
    Era ancora in tempo a tornare dentro e recuperare alla svelta una maglia a maniche lunghe, ma non ne aveva voglia. Voleva semplicemente guardarsi intorno per vedere dove fosse capitato, decise che avrebbe esaminato qualche altro giorno la città nei particolari.
    Sceso anche l’ultimo gradino, alzò lo sguardo e iniziò a percorrere la stradina del suo quartiere. La casa si trovava tra altri due edifici ai quali somigliava solo per via del colore. Lo stile ricordava molto quello inglese: la schiera di abitazioni sul lato destro della strada era perfettamente in ordine, il marciapiede era piuttosto ampio e pulito, lo spazio era sufficiente affinché degli alberi dalle grandi chiome si alternassero con delle panchine e dei cestini. Guardandosi indietro, poteva ancora scorgere la ringhiera bianca appartenente a casa Trümper, quindi non si preoccupò molto di quanto si stesse allontanando.
    Nonostante fossero agli sgoccioli di giugno, tirava un vento leggero piuttosto fresco. Bill si ritrovò quindi ad avvolgersi il busto sottile con le braccia lunghe e magre, sperando di potersi trasmettere almeno un po’ di calore. Nella sua mente il flash delle braccia di Ashley che lo avevano avvolto non poche volte lo fece tremare. Avevano avuto una specie di relazione per qualche settimana, dopo di che avevano capito che le cose non potevano funzionare – non in quel modo, almeno. Dopo essere tornati semplici amici, però, non erano mancate le volte in cui si erano ritrovati a dormire insieme o ad abbracciarsi, per godere l’uno della presenza dell’altro. Le aveva voluto bene davvero, per questo ora avrebbe voluto essere avvolto dalle che le braccia della sua migliore amica, come ogni volta che lei voleva proteggerlo. Ashley stessa sapeva che era Bill quello ad avere più bisogno di conforto, quello in grado di cadere facilmente, senza un pilastro solido.
    Perso nei suoi pensieri, il moro non si era reso conto di aver svoltato un qualche angolo, seguendo la stessa strada, e di trovarsi nei pressi di un corso piuttosto ampio. La prima cosa che notò fu lo sciame di gente che vi passeggiava su tranquilla, riconobbe inoltre un paio di insegne di negozi conosciuti e alcune piuttosto strambe. Non seppe per quanto tempo restò immobile nell’angolo di quella che il cartello che aveva davanti suggeriva essere SpringerStraße, vide solo un po’ di macchine sfrecciargli davanti. Restando immobile, stava letteralmente gelando, ma non riuscì comunque a muoversi, realizzando dopo poco di trovarsi davanti ad un pub di cui non colse il nome. La figura di un ragazzo seduto al tavolo accanto all’enorme vetro beige lo catturò al punto di non riuscire a staccare gli occhi da lui. Poteva giurare che quelli che aveva in testa fossero cornrow, erano neri come la pece, e la fronte era coperta da una bandana del medesimo colore. Aveva individuato i suoi occhi dal taglio simile a quello orientale, di un colore abbastanza limpido, che non riconosceva a causa della distanza. Indossava una t-shirt forse troppo larga per la sua corporatura, scura anch’essa. Era tutto ciò che poteva vedere, dal momento in cui il ragazzo era seduto. Non fu soltanto quello sguardo ricambiato a far distogliere il proprio dalla vetrina scura e dal ragazzo dietro di essa. Sentì qualcosa di freddo e leggero posarsi sulle sue braccia, sulle dita, sui capelli e sulle spalle. Il cielo si lasciò sfuggire un tuono che lo fece sobbalzare; solo in quel momento notò l’atmosfera grigia che, quando era uscito di casa, era appena accennata. Aveva iniziato a piovere.


    Note finali: Breathe slowly in and out... ok, ci sono.
    L’idea iniziale era quella di postarla solo una volta conclusa, ma come vedete non ce l’ho fatta. L'idea di scrivere questa twincest è nata nell'estate del 2009, ma dopo un sacco di modifiche, che ancora ora sono in atto, ho iniziato a scriverla solo quest'estate. Arrivata al settimo capitolo sento che c’è effettivamente qualcosa che manca, e poi non volevo rischiare di perdermi per strada ora che è iniziata la scuola, quindi postando ho un motivo in più per andare avanti. Nel caso in cui abbiate qualche dubbio, sarei felice di rispondere a qualche domanda, soprattutto se inerente alla storia (:
    Non mi ritengo una scrittrice, dunque più che complimenti – ma dove ? – riterrei più che normale qualche critica che credo mi servirebbe solo per crescere, dunque non temete e ditemi davvero tutto ciò che ne pensate. U.u Sappiate che è importantissimo questo per me, mi sto violentando mentalmente per trovare il coraggio di postare. XD
    Sulla storia in sé.. sì, di cose da dire ne avrei parecchie, ma in parte le saprete a tempo debito se deciderete di seguirla e di seguirmi. Drops of Time sono io, Chemma, è tutto quello che riesco a tirare fuori e per me non è affatto poco.
    Questa mia prima ‘avventura’ non la dedico solo a me stessa, ma allo stesso modo, ad una persona molto importante per me (:Grazie, Nene, per avermi aiutato quando credevo di non farcela, per esserci sempre stata e per esserci tutt’ora, e per un altro mucchio di cose che immagino tu già sappia. (:
    Beh, è tutto. Vi faccio i miei più sentiti complimenti se siete arrivate fin qui. XD


    Edit: 16.09.10 - ci sono veramente pochi riferimenti alla vita di Bill prima del trasferimento, ma ho dovuto modificarli perchè un'idea improvvisa mi ha stravolto tutta la trama della storia. Per quello che è (era) contenuto qui dentro, tenete presente solo che Bill ha già finito il liceo (:


    Edit: 6/01/11 - Banner regalatomi dall' Anima Persa ♥ non è bellissimo ?
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    Edited by »Chemma« - 13/2/2011, 10:45
     
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  2. lime !
     
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    Ok, ci sono e commento u_ù
    Devo dire che leggendo su twitter che stavi scrivendo qualcosa mi sono incuriosita un sacco dunque quando son tornata da scuola ed ho visto il post mi sono fiondata a leggere.
    Che dire? Beh, siamo solo al primo capitolo ed è difficile dare un giudizio.
    Però come inizio mi è piaciuto, mi sono persa un paio di volte con tutti i nomi degli amici di Tom, ma è un problema mio u_ù
    La scrittura è piacevolissima, almeno secondo me, e la storia mi incuriosisce (come una scimmia).
    Toh guarda, son riuscita ad articolare un commento con più di tre parole in fila :DD
    Aspetto il prossimo capitolo *si accampa nel topic* u-u

    PS: Il banner è awwwh *-*
     
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  3. »Chemma«
     
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    Innanzitutto grazie ♥ mi rendo conto che è difficile inquadrare la situazione, io stessa mi perdo a volte per non svelare tutto e subito; la trama non è molto complessa ma neanche tanto semplice - spero -, ma le cose verranno fuori a tempo debito (;
    Grazie mille *-*
     
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  4. Gaf;
     
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    Bene bene anch'io ho dato un'occhiata**
    per ora bhe, come hai detto anche te, non possiamo inquadrare bene i personaggi e il resto ma quel
    Qualcosa che ti ha sconvolto la trama originale mi incuriosisce molto u.u
    Scrivi in modo scorrevole, quindi la lettura è
    Decisamente piacevole (ho fatto una rima )
    Io non posso poi giudicare più di tanto perché in materia faccio decisamente pena XD attendo il prossimo!
    CITAZIONE
    *si accampa nel topic* u-u

    *l'aiuta a montare la tenda e si unisce a lei* u.u
     
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  5. »Chemma«
     
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    2. Oblivion.
    Under the burning sun I take a look around
    Imagine if this all came down
    I'm waiting for the day to come.
    30 seconds to mars




    La cameriera raggiunse il loro solito tavolo con un sorriso smagliante. Il chiacchiericcio dei sette si interruppe quasi bruscamente, eccezione fatta per Kim, che proseguì il suo discorso infinito a Gustav ed Evan – parlava così velocemente che gli altri si chiedevano spesso dove e come trovasse il modo per respirare.
    « Ecco le vostre ordinazioni, ragazzi.»
    La biondina servì cautamente ad ognuno, fissando insistentemente il capo chino di Tom. Il moro fu costretto ad alzare lo sguardo dalle proprie mani, per assicurarsi che fosse stato davvero Georg a dargli quel calcio, sotto il tavolo. Il ragazzo di fronte a lui stava per l’appunto cercando di trattenere alla meno peggio una risata, guardando completamente Rachel, alla sua sinistra, e nascondendo il suo ghigno dietro la mano. Tom cercò di trattenere un sorriso.
    « Ehm, grazie, Emma… se avessimo bisogno di qualcos’altro sappiamo a chi rivolgerci» proferì Tom stesso, sperando che il messaggio fosse abbastanza chiaro. Regalò un sorriso tremendamente tirato alla ragazza immobile – in imbarazzo come ogni volta – e sorridente al suo fianco; era anche piuttosto insopportabile, ma infondo gli dispiaceva doverla sempre liquidare così.
    « C-certo… beh, buon appetito.» Sbuffò in una risatina nervosa ed evaporò letteralmente. Kim non riuscì più a trattenersi e si accasciò su Tom, che sedeva alla sua sinistra, seguendo le risate generali.
    « E’ decisamente cotta, Tom» lo schernì Andreas, iniziando a mangiare per primo.
    « Sì, anche piuttosto fuori» continuò la bionda. Tom sorrise, non sapendo cosa rispondere, masticando e dandosi un’occhiata in giro. Non c’era molta gente quella sera all’Oblivion. In genere era più frequentato all’ora di pranzo, quando qualcuno cercava un pasto veloce prima di tornare in fretta a lavoro.
    Da quando Freeman gli aveva rivelato di essere stato un amico di suo padre, Tom e il gruppo avevano cominciato a frequentare spesso il locale, dando il contributo possibile affinché emergesse, specie nell’arredamento – momento in cui la vena artistica di Andreas, Evan e Rachel era stata particolarmente significativa. Riportò i suoi pensieri in quel presente in cui loro non erano più i quindicenni sguinzagliati e falsamente liberi, quando la sua attenzione fu catturata dalla figura che oltre il vetro sembrava osservarlo. Se ne stava immobile lì fuori, e poteva giurare che stesse iniziando a piovere, perché i suoi capelli lunghi si stavano lentamente appesantendo, fino a ricadere sulle spalle decisamente esili. Poteva immaginare dei fianchi stretti e asciutti sotto la maglietta nera che indossava, scura come le linee che contornavano i suoi occhi. Non sapeva niente di quell’individuo, ma, nel caso non fosse stato solo un miraggio, doveva essere la ragazza più bella che avesse mai visto. La vide trasalire nel momento in cui arrivò ai suoi occhi, per poi vederla andare via. Non diede molta importanza all’accaduto.
    Riportò lo sguardo sul suo gruppo e trovò Georg fissarlo preoccupato. Cercò di rassicurarlo con un sorriso, sapeva come rivolgergliene uno sincero per dirgli che non c’era di che preoccuparsi. Era una sorta di loro linguaggio segreto.
    « Tom, hai sentito del gruppo di traceurs che parteciperà quest’anno?»
    La tavola ammutolì alle parole di Gustav.
    «Quello dei gemelli, dici?» Il ragazzo non sembrava affatto turbato dalla discussione che si stava inaugurando, ma che era bastata a riportare la tensione tra gli altri.
    « Anche loro, ma dicono che alcuni di loro siano stiano con i Berlinesi.»
    « Fottuti bastardi.» Rachel infilzò le sue patatine con una rabbia che fece preoccupare Georg. La moretta fissava il piatto, un’espressione cupa ed indecifrabile sul volto chino, coperto dalla frangia.
    Tom fissò Gustav con aria impassibile, come se niente di tutto quello lo riguardasse, lui era lì solo per cenare insieme ai suoi amici e nessuno doveva prepararsi all’evento più importante dell’anno. Ritornò con i piedi per terra e sospirò pesantemente. Perse qualche altro minuto per osservare ognuna delle loro espressioni: forse stavano aspettando una qualche specie di discorso di incoraggiamento da parte del loro quasi – capo gruppo, ignari del fatto che in quel momento non fosse in grado di formulare neanche un pensiero coerente.
    «Beh, non dici niente?» sbottò Rachel. Tom cercò di mantenere più autocontrollo possibile, sapeva quanto fosse importante la calma. Lo irritava il fatto che la ragazza non afferrasse quel concetto.
    «Vorresti sentirti dire qualcosa in particolare?» Domandò lui, sorvolando l’ironia delle sue parole. Rachel sembrò esitare, assottigliando gli occhi mentre imitava uno sguardo penetrante.
    « Sai meglio di me quello che è successo. Gustav?!»
    Si voltò di scatto verso il biondo, nello stesso momento Georg cinse le sue esili spalle, facendola rilassare in quel tocco. La sua tensione si ripercosse su tutti gli altri, che si lanciavano sguardi increduli e preoccupati. Gustav sospirò.
    « Me lo ricordo, Rachel. Ormai è il passato, noi non possiamo fare altro che-»
    « Col cazzo, rinunciare a lui non è bastato? Chi vuoi che ci facciano fuori sta volta con i loro giochetti del... »
    « Adesso basta, Rachel.» Il tono pacato del biondino attirò l’attenzione di tutti, compresi gli altri che stavano seguendo in silenzio. Si stava prendendo qualche minuto per scegliere le parole giuste e porre fine a quella discussione. Sperava che i due dibattenti capissero quanto fosse delicato l’argomento, dal momento in cui ne era lo spiacevole protagonista.
    « Davvero, ragazzi. Ci penseremo a mente lucida, okay? Ora, per favore, godiamoci un po’ questa serata. E sappiate che domani vi aspetta un allenamento tremendo, vero, Gus?» proferì Georg, un ghigno comicamente malefico gli mostrava i denti e riduceva i suoi occhi cristallini in due fessure brillanti. Gustav gli rivolse uno sguardo pieno di gratitudine, mentre tra le chiacchiere che avevano ripreso si alzavano varie proteste, sfocianti poi in un entusiasmo controproducente.
    La mente di Tom era tornata allo scorso anno e non vedeva modo di uscirne. La discussione con Rachel lo aveva effettivamente turbato, nonostante avesse riconosciuto che quello era stato solo uno sfogo da parte della ragazza e che per quanto potessero non pensarci, l’ esperienza di Gustav doveva essere solo un insegnamento per tutti loro, per questo non azzardava neanche una risposta alle domande che stavano fluendo nella sua testa. Cosa ne sarebbe stato di lui se fosse stato al posto dell’amico? Avrebbe accettato la cosa con così tanta facilità? Gustav si era dimostrato forte, nonostante il suo ginocchio difettoso, continuava a frequentare il gruppo e in un tacito accordo era diventato una sorta di manager ufficiale del gruppo di Lipsia di Georg Listing e Tom Kaulitz. Si chiedeva come fosse la vita da spettatore, senza mai desiderare di provare ad esserlo, non da quando il Parkour era il palcoscenico sul quale la sua esistenza aveva preso forma.

    *


    Amava la pioggia. Amava sentire le gocce fredde che scivolavano sulla pelle calda, insinuandosi ovunque – un po’ meno quando gli scioglieva il trucco o quando la piastra si rovinava del tutto –, ma sommariamente, adorava la pioggia. In quel momento però lo aveva preso alla sprovvista, non se n’era reso conto finché non aveva dovuto distogliere lo sguardo dal ragazzo seduto nel pub. Cercò di dimenticare subito quanto accaduto, incamminandosi verso casa, azione che si limitava a ripercorrere il sentiero su cui si trovava. Alzò lo sguardo al cielo, era di un grigio chiaro e la pioggia scendeva lenta, stanca, non sarebbe durata a lungo. Desiderò solo che potesse parlare per lui, ma per tirare fuori un minimo di ciò che si stava imponendo di reprimere avrebbe avuto bisogno di una tempesta vera e propria. Quel senso di calma invece lo stava rilassando, per questo non si preoccupò di accelerare il passo, o del trucco che gli colava fino all’attaccatura delle orecchie, o dei capelli che si bagnavano anche di quel nero, appiccicandosi sul collo, sulle spalle. Per un attimo si guardò intorno, sollevato dal poter tenere gli occhi aperti. Il quartiere in cui si trovava la loro casa sembrava tranquillo, abbastanza lontano dal centro che si era lasciato alle spalle. Doveva dire che gli piaceva, e per questo sì sentì relativamente in colpa. Avrebbe potuto addirittura farci l’abitudine, ma la fitta che provò all’altezza dello stomaco gli suggerì che non era quello che voleva, nonostante lui stesso non riuscisse a capire cosa effettivamente lo stesse abbattendo così tanto. Infondo si trattava di un soggiorno prolungato in quella cittadina, nel giro di qualche mese sarebbe finito tutto senza che neanche se ne accorgesse e lui e Ashley avrebbero convissuto e studiato insieme ad Amburgo. Le sue sicurezze svanirono sul nascere nel momento in cui suonò un paio di volte al campanello di casa Trümper, fissandosi le scarpe e lo zerbino sotto i suoi piedi.
    « Neanche stessi per andare al patibolo…» Aveva ragione l’amica ad averlo nominato il ragazzo più tragico del mondo.
    « Oh, tesoro! Entra, ti beccherai un accidenti.»
    La voce di Simone lo sorprese, e lo trascinò letteralmente dentro. Era stato fuori neanche venti minuti, e al suo ritorno la casa sembrava già diversa. Lanciò uno sguardo veloce al soggiorno e notò che ogni mobile era stato sistemato, privato dei rivestimenti di cellophane e posizionato nel luogo più adatto ad esso. Stessa cosa per la cucina, dove Gordon sedeva al suo solito posto leggendo la sua rivista preferita, Rolling Stone.
    « La cena è pronta, appena hai fatto vieni.» gli disse Simone, prima di vederlo scomparire su per le scale. Neanche la pioggia che ora scrosciava ininterrottamente era bastata a lavare via l’apatia dal volto di Bill.

    « Tesoro? Sono io.»
    « Entra, è aperto.»
    La voce di Bill giunse ovattata oltre la porta scura. All’interno aveva già appeso un poster, quello che lui e Ashley avevano comprato al concerto dei Placebo. Era una sorta di reliquia per lui.
    Simone lo trovò accanto al letto, evidentemente stava sistemando le sue cose sugli scaffali e sulla scrivania. Si sedette sul morbido materasso, accanto alla scatola ormai vuota che Bill si apprestò a spostare. La donna rimase ad osservarlo per un po’ mentre sistemava alcuni cd sulla mensola lì vicino, ne riconobbe uno di Nena che gli aveva regalato proprio lei qualche anno prima. Sorrise a quel ricordo, allora Bill era veramente piccolo.
    « C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?» Simone alzò gli occhi, sorpresa. Bill la guardava dall’alto, in un tentativo di sorriso. Salendo le scale aveva preparato un discorso che le era sembrato filasse, ma lo aveva già dimenticato una volta raggiunta la porta della camera. Si prese qualche minuto per scegliere le parole giuste.
    « Mi chiedevo cosa ne pensi» iniziò, guardandosi intorno. Bill intuì che stesse alludendo alla stanza.
    « Beh… questa stanza è un po’ grande per me, però mi piace il colore, e la finestra…»
    « Non mi riferivo a questo, Bill. Intendevo questa situazione. C’è qualcosa che vorresti dirmi?» Sperò con tutte le sue forze in una risposta sincera.
    Bill esitò qualche istante. Avrebbe potuto semplicemente essere sincero e dire a Simone che l’idea di dover trascorrere quattro mesi e mezzo lontano dalla sua vita non lo allettava per niente, ma pensò che non sarebbe stato proprio saggio, non dal momento in cui lei e Gordon ne traevano più benefici che altro.
    « È solo che è stato un miracolo che abbiano accettato Gordon senza troppe storie», il ragazzo si preparò a qualsiasi ragionamento o discorso contorto che sua madre sembrava intenzionata a portare avanti, conoscendo la sua determinazione quando c’erano da chiarire delle cose. «E poi sicuramente il test all’università andrà benissimo, hai un bel po’ di tempo per studiare, no?»
    « Hm, sì» Bill annuì velocemente. La voglia di discutere gli era passata all’improvviso, non sarebbe stato in grado di dire una parola in più. Era infantile come cosa, ma non voleva affrontare la questione. Non così presto, per lo meno. « Senti, sono un po’ stanco… ti spiacerebbe…»
    « Sì, certo.» Simone si alzò di scatto. « Solo.. se avessi bisogno di parlare, chiama.» Gli fece un occhiolino per rassicurarlo, e il sorriso che Bill cercava di mascherare guardando a terra la rassicurò.

    *


    Era davvero lei. Quella che lo aveva fissato la sera prima, oltre il vetro dell’Oblivion. Non doveva essere di quelle parti, perché una ragazza incredibilmente magra dai capelli lunghi, neri e bianchi, raccolti in quelle che sembravano treccine, non sarebbe di certo passata inosservata a Lipsia.
    Tom la osservò mentre se ne stava immobile davanti l’entrata del bar, quasi sorridendo beffardamente al pensiero che da lì a pochi minuti sarebbe stato inevitabile passarle accanto. Se non avesse avuto un allenamento ad occupargli la giornata e se la cosa non fosse risultata pressoché maniacale, avrebbe pensato di offrirgli qualcosa, magari conoscerla, magari..
    « Spiiid!»
    Ed eccola, quella vocina stridula che non riuscì a non irritarlo, insieme a quel soprannome da strapazzo. I suoi cari amici avrebbero mai capito che detestava i ragni e Spiderman, prima o poi? Beh, se non ci erano riusciti per i precedenti nove anni ne dubitava fortemente. Comunque non ci avrebbe fatto l’abitudine, mai e poi mai.
    Tom voltò il capo appena in tempo per vedere Kim superare con un agile Lazy Vault la ringhiera che separava la strada dal marciapiede. La biondina lo raggiunse sorridendogli, prese posto accanto a lui sulla panchina e gli lasciò un bacio umido sulla guancia, come piaceva a Tom, nel caso fosse lei a salutarlo.
    « Dove sono gli altri?» Fece per guardare oltre la spalla di Tom prima che rispondesse, ma non trovando il resto del gruppo nei paraggi rimase amareggiata. E lei che credeva di essere in ritardo…!
    Il ragazzo fece un cenno col pollice alla sua destra. « Colazione da Audrey» disse tranquillamente, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. Fortunatamente Kim credeva che stesse guardando il bar alle spalle della suddetta dispersa, altrimenti avrebbe iniziato a fare le sue solite domande insensate.
    «Oh, andiamo anche noi! Sto morendo di fame, perché non mi hanno detto che ci sarebbero andati? Andiamo, Tom?»
    Ma quella lo aveva già preso per il polso e lo stava trascinando letteralmente con sé, nonostante la sua corporatura esile, e non vedeva come avrebbe potuto ribattere. O meglio, sarebbe stato in grado di sollevarla in un batter d’occhio, solo non ne aveva voglia. La sua attenzione era rivolta ancora a quella ragazza dai capelli e dai vestiti scuri, che vide sbuffare e posarsi le mani sui fianchi, evidentemente annoiata.
    «Nuova fiamma?» Domandò lei, alludendo al ragazzo che, aveva notato, Tom aveva fissato per tutto il tempo.
    Il moro accanto a lui sorrise irrisorio, premurandosi di non abbandonarlo neanche nel momento in cui lui e Kim le passarono affianco, sembrando quasi rivolto a lei.
    «Tom, ti dai una mossa?»
    La bionda fissò per qualche minuto Tom, in procinto di aprire la porta ma immobile davanti ad essa, e a causa degli occhiali scuri che portava non seppe dire se fosse rivolto a lei o...
    Si voltò appena in tempo per vedere un ragazzo fissarli di sbieco, per poi distogliere subito l’attenzione dai due ragazzi, catturata invece da un uomo che gli si era affiancato. Kim decise di ignorarlo, diversamente dal suo stomaco che le ricordò di essere pressoché vuoto. Incitò Tom ad entrare, risvegliandolo da quello stato di trance, dandogli un colpetto sulle spalle: c’era una colazione che l’aspettava, diamine!

    «Buongiorno.»
    Tom salutò i sei, sorridendo. Prese posto accanto a Georg, che salutò facendo scontrare le loro nocche. Gli altri si limitarono a mugugnare qualcosa, troppo presi dalle loro colazioni o dai discorsi ai quali decise di non interessarsi. Rachel sembrava di buon umore, rispetto alla sera prima, nonostante l’espressione seria che aveva assunto durante la sua discussione con Evan.
    «Lo conosci quel ragazzo?»
    Tom fissò la bionda davanti a sé e la fissò confuso. «Chi?»
    «Quello lì per cui mi hai fatto perdere dieci minuti di colazione perché eri troppo occupato a fissare e che in questo momento sta entrando.» Rispose Kim tutto d’un fiato. Il moro di fronte a lei spostò di poco lo sguardo oltre le sue spalle, in tempo per vedere la ragazza sfilarsi gli occhiali da sole, rivelando un paio di occhi cerchiati di nero, e sedersi a uno degli sgabelli vicino al bancone.
    «Era una ragazza.» Ribatté pacato Tom, corruciandosi e riportando la sua attenzione su Kim, in tempo per coglierla sul fatto mentre rubava un pezzo di brioche a Georg.
    «Hey!»
    «Ti si rovina la linea, tesoro» sorrise Kim, ignorando la perplessità di Tom e Georg, che aveva roteato gli occhi, decidendo di trascurare quel piccolo furto e tornando a dedicarsi alla conversazione con Rachel ed Evan.
    «Era un ragazzo, si può sapere cosa diavolo ti è passato inosservato?»
    La bionda continuò a dedicarsi al suo nuovo amore: la brioche. Tom odiò Kim per la sua indifferenza per quella questione dalla quale lui esigeva una risposta, e che a differenza sua poteva mangiare tranquillamente per due persone, senza ingrassare di un grammo.
    «Oh, credevo avessi notato che quei jeans erano veramente stretti…» mormorò masticando.
    «Kim!» sbottò Evan dall’altro capo del tavolo. Attirò l’attenzione dell’intera tavolata e di qualche persona lì vicino, il che contribuì a rendere le sue guance di un rosso acceso.
    «Dimmi amore» rispose lei, sporgendosi sul tavolo per fare in modo che notasse il suo sorriso tirato e le ciglia sfarfallanti. Gli altri risero, Tom si limitò a fissare il ragazzo al bancone che gli dava le spalle; in quel momento stava parlando con un uomo dalla barba grigia e i capelli relativamente lunghi al suo fianco, e la cosa non poté che confonderlo maggiormente. Per quanto lo riguardava, poteva benissimo essere suo padre, il suo compagno, il suo.. beh, perché sarebbe dovuto importargli di lui, se era praticamente un estraneo? Per l’appunto, si disse mentalmente che non gli importava affatto se quel ragazzo avesse dei magnifici capelli neri e lisci, degli arti spropositatamente lunghi e-
    «Uhm, prendete qualcos’altro?» sbottò all’improvviso, alzando un po’ troppo la voce.
    «Per me una brioche» disse impassibile Georg, fissando Kim con un ghigno cinicamente beffardo.
    «Cappuccino!» Esclamò la bionda con la bocca ancora piena, per tutta risposta.
    Tom si alzò recuperando le monete dal tavolo e si diresse al bancone, imponendosi di non dover assolutamente, per nessuna ragione avvicinarsi al ragazzo senza nome.
    Quando sentì il dolce profumo della vaniglia inebriargli i sensi, però, capì di non aver fatto in tempo a frenare l’istinto da cui si era lasciato guidare, prendendo momentaneamente posto sullo sgabello a cui il ragazzo dava le spalle. Provò a tendere le orecchie, incapace di voltarsi e osservare ciò che stava facendo, ma non sentì nulla a parte il ticchettio del cucchiaino che sbatteva contro i bordi della tazza.
    «..E quindi mi hanno proposto di suonare con loro, aspettano solo una risposta entro giovedì.»
    Questa volta Tom non poté fare a meno di voltarsi per accertarsi che la voce fosse proprio di quell’uomo, che poteva intuire fosse un musicista. Se si fosse soffermato da prima anche sul suo aspetto avrebbe notato vaghe somiglianze con una qualche specie di chitarrista anni ottanta, ma la sua attenzione era chiaramente stata catturata da altro.
    «Beh, potresti provare, no? Insomma, quant’è che non suoni in un gruppo vero? Secondo me sarebbe figo.»
    Lo sentì ridere insieme all’uomo, e in quel momento, il traceur* temette davvero di perdere la percezione di tutto il resto intorno a lui, l’equilibrio e magari cadere dallo sgabello. Distrarsi non era una cosa da lui, con il Parkour aveva imparato quanto fosse importante la concentrazione e saperla mantenere, ma da quando aveva visto quel ragazzo poteva direi di non essersi mai assentato così tante volte dalla realtà.
    «Hey, Tom?»
    «A-Audrey. Scusami, hai detto qualcosa?»
    La ragazza lo guardò confusa. «Ti ho chiesto se prendi qualcosa.»
    «Oh, ehm.. sì, un cappuccino e..» cercò di fare mente locale a quello che gli aveva chiesto Georg, e si allarmò scoprendo di non riuscirci. Iniziò a pensare di avere seriamente qualche cosa fuori posto, e non per via del tipo che continuava a ridere, incurante dell’effetto che aveva su di lui. «Ah, e una brioche per Georg. E un caffè per me, grazie.» Tentò di sorridere, ma la ragazza dai capelli blu e neri continuava a fissarlo stranita.
    «Sì, direi proprio che hai bisogno di un caffè.» Mormorò in tempo per farsi ascoltare, ma sparendo il minuto dopo verso la macchinetta nera, poco distante da lì. Tom sospirò, passandosi due dita lungo le tempie, espirando profondamente, ma qualcuno sembrò proprio intenzionato a rovinare i suoi piani di tentativo di rilassamento interiore. Trasalì vagamente a quel contatto improvviso, e si voltò con fare noncurante solo per trovare due iridi splendenti fissarlo stupito.
    «Scusami, non volevo.» Sentì dire pacatamente dal ragazzo che, come a farsi perdonare, gli rivolse un sorriso incerto.
    Tom tentò di riacquistare la calma, nonostante dentro di sé sembrò scoppiare un maremoto. «Figurati.»
    Lo vide alzarsi e voltarsi per un ultimo sguardo, che interpretò come saluto d’addio, vista la tragicità della situazione, seguendolo con lo sguardo fino alla porta che si chiuse alle spalle.
    Audrey batté l’unghia sul bancone. «Tom, il tuo caffè!»

    *


    Quando aveva detto a Gordon che poteva tranquillamente tornare a casa a piedi e che non avrebbe dovuto preoccuparsi, Bill ci aveva creduto davvero, ma in quel momento, non riuscì a non maledirsi per aver lasciato andar via il patrigno senza essere a conoscenza di quello che avrebbe dovuto passare. Non che fosse chissà poi quale tragedia, ma per un antisportivo con resistenza zero come Bill Trümper, percorrere anche solo qualche metro di troppo con in mano non due insignificanti buste, testimoni del suo shopping appena concluso, equivaleva ad uno sfinimento bello e buono.
    Per la prima volta in quel pomeriggio temette davvero di non trovare la strada di casa – infondo, erano arrivati solo il giorno prima, e lui non aveva visto praticamente nulla di Lipsia, ad eccezione della scuola di Gordon in cui lui e il patrigno erano stati quella mattina. Comunque pensò che proseguire dritto, arrivare al bar in cui avevano fatto colazione e girare sulla destra dopo pochi metri, come l’uomo gli aveva indicato di fare, non poteva essere difficile, quindi si limitò a quello.
    Era stata una giornata piatta, non avrebbe saputo ricavarne una qualche specie di riassunto, ma sapeva che con Ashley avrebbe trovato sicuramente qualcosa di cui parlare, sperò di non dimenticarsi che quella stessa sera avrebbe dovuto chiamarla. Camminava sovrappensiero, e come ogni volta, non si accorse di aver abbassato la testa, per cui si premurò di rialzarla giusto in tempo per cogliere uno schiamazzo che attirò la sua attenzione a qualche metro di distanza. Si trovava nei pressi di un grande parco, stranamente vuoto se non per la presenza di un gruppo di ragazzi in lontananza. Non poteva distinguerli e di certo non li conosceva, ma il modo in cui si muovevano non gli sembrò propriamente ignoto, per questo si prese qualche altro minuto per studiarli. Neanche si rese conto di essersi letteralmente incantato nel guardarli muoversi con un’agilità pari a quella di un felino, sarebbe rimasto ore lì senza stancarsi, ma allo stesso modo, non poté fare a meno di notare il sole che si stava apprestando a calare, come a voler nascondere quel rossore che lo tingeva dietro lo sguardo dell’orizzonte. La sua vena d’artista parlò per lui, per cui non si meravigliò affatto di essere stato catturato da un particolare in altri termini insignificante: il cielo si stava intridendo di un rosa pallido, mentre il sole bruciava in quel chiarore. Si impose di lasciare la sottile atmosfera che la sua fantasia aveva creato, rimettendosi in cammino, in tempo per voltarsi e non notare che qualcuno da lontano lo stava fissando.


    Gustav era stato costretto a fare il giro a lungo, per poter scendere dalla scalinata dalla quale gli altri, invece, potevano semplicemente buttarsi e tentare di non spezzarsi qualche osso attraverso un semplice Roll. Il suo ginocchio non gli permetteva nessun movimento brusco, il che implicava nessuna scorciatoia, né tanto meno sforzi eccessivi. L’anno precedente, i medici gli avevano detto che era stato addirittura fortunato a non aver perso completamente l’uso della rotula, in una caduta come la sua. Beh, per lo meno camminava ancora. Si affrettò a raggiungere il resto del gruppo, sfogliando i suoi preziosi appunti e cercando di trarne un veloce riassunto.
    «Georg e Kim tre minuti e venti, escludendo il Flack di Kim» la bionda ridacchiò, mentre Gustav cercava una rapida soluzione «quindi direi.. Kim e Andreas, Georg ed Evan, Tom e Rachel.»
    I sei aspettarono l’esito di Gustav, approfittandone per riprendere fiato. Non potevano dire che fosse stata una giornata leggera, e il pensiero che mancassero ancora venti minuti pieni non era confortante. Tom si immaginò già una doccia di trenta minuti buoni, una volta tornato a casa, ma quando vide una figura scura e slanciata in lontananza, tutti i suoi sogni chiari e precisi iniziarono a sfumare. Poté giurare di averlo visto trasalire, ma decise di non potergli dare molta importanza.
    «Dove dobbiamo arrivare?» Trillò Kim, posandosi le mani sui fianchi sottili.
    Gustav si diede un’occhiata intorno, riducendo gli occhi a due fessure a causa del sole. «Dovete percorrere almeno metà perimetro del parco e poi ritornare qui.»
    I sei si scambiarono degli sguardi di intesa, e il minuto dopo già correvano, beandosi di quella libertà pura.
    Tom era sul punto di superare il muretto servendosi di un preciso Monkey Vault, quando Rachel impennò in una rondata e avanzò qualche paio di metri più avanti. La strada era lunga e sottile e gli fu difficile trovare il percorso che avrebbe dovuto superare, ma trovò una ringhiera che superò velocemente poggiandovi sopra una mano e passando dall’altra parte. Sentì Kim ridere dietro di lui e si proibì categoricamente di perdere la concentrazione, ma il suo tentativo fallì miseramente. Non seppe mai come, ma riuscì a vedere la figura esile che in controluce poteva apparire un’ombra totalmente nera, in quel momento instabile, data la velocità con cui Rachel l’aveva superata, probabilmente urtandolo. Se possibile allungò il passo più che poté, raggiungendolo in una grande falcata, giusto in tempo per sorreggerlo per le spalle ed impedirgli di cadere. In quel momento, per Tom, fu come se non si trovasse nel bel mezzo di una gara nella quale tra qualche secondo si sarebbe annunciato perdente, come se trovarsi in quella posizione – di fronte al ragazzo di cui ignorava persino il nome, tenendolo debolmente per le spalle e tentando di riprendere fiato – fosse la cosa più normale al mondo. Era come ipnotizzato, senza un motivo apparente, eppure non poteva fare a meno di voler rivedere quegli occhi che era sicuro lo avrebbero catturato di nuovo. Lo vide indietreggiare e poi bloccarsi, e per un attimo si chiese cosa stesse facendo. Poteva sembrare un leone affamato che si avvicinava lentamente alla gazzella più bella del branco, che voleva assaggiare a tutti i costi.
    «Tom!»
    Il moro alzò solo di scatto la testa al suo richiamo, senza staccare gli occhi dalla sua preda. In meno di un attimo, si era già voltato e aveva iniziato a correre.


    Note: Ed eccomi (: nel precedente post avevo dimenticato di dire che quando possibile aggiornerò ogni giovedì, ma essendo questo capitolo un po' lunghetto e visto che sono un po' incasinata con la scuola, fatevi bastare questo capitolo per poco più di sette giorni.
    Dunque, devo precisare alcune cose perchè di solito non do mai niente per scontato e vi assicuro che già da qui potete capire molte, molte cose della storia (: innanzitutto adoro la canzone, il gruppo che mi ha ispirato il capitolo e dovete sapere, la coppia Tom-Kim XD anche se più avanti capirete meglio il loro rapporto, che è veramente, veramente solo da film o da fan fiction, purtroppo.
    Avrete sicuramente notato i collegamenti a youtube che avete trovato in parole precise: quelli vi servono solo per capire cosa stanno compiendo i personaggi, esclusivamente il gruppo di Tom - i nomi li imparerete, sono facili, dai XD -, in quanto stiamo parlando di Traceur* e Parkour. L'intera storia è basata su questo, quindi se non ne avete mai sentito parlare, permettetemi di lasciarvi alcune nozioni.
    Avrete sicuramente visto questo spot per tv XD ebbene, non ci crederete mai, ma è da qui che è nata tutta la storia, che inizialmente era proprio un'altra cosa. Sì, Drops of Time nasce da una canzone e da una pubblicità di Gomme XD è successo anche questo.
    Comunque sia, quello che dovete sapere è che il Parkour è semplicemente una disciplina metropolitana che nasce in Francia negli anni 80. Non è uno sport, Parcours in francese vuol dire percorso e coloro che lo praticano (traceur per i ragazzi e traceuses se sono ragazze) riescono a spostarsi da un punto all'altro superando tutti gli ostacoli che si presentano sul cammino con qualsiasi tipo di movimento riescano ad improvvisare. Se non vi è chiaro, volendo, su youtube (e sempre sia lodato) potete trovare milioni di video, alcuni veramente bellissimi, da cui potete capire molto meglio vedendo che leggendone. La mia difficoltà è proprio descrivere quei movimenti, per questo voglio aiutarvi inserendo dei video, visto che ne ho la possibilità (:
    Ed è tutto, credo. In questo capitolo si sanno molte cose anche sulla vita dei personaggi, lasciatemi dire che amo follemente Bill, e non sono di parte (io sono del lato oscuro) XD
    Ed è tutto, complimenti VIVISSIMI se siete riuscite ad arrivare fin qui XD

    Edited by »Chemma« - 4/10/2010, 00:46
     
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  6. lime !
     
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    Non avevo notato il post D:
    Be' che dire, inizialmente non ho capito molto ma quando ho letto la parola Parkour ho visto un po' di luce, dato che dei miei compagni praticano questa attività.
    Che dire del capitolo in se? La cosa, o meglio persona che mi ha colpita di più è stata Gustav.
    Quando leggo di lui mi sembra di sentire quel clima di rassegnazione ed infelicità, misto ad un pizzico di gelosia verso gli altri ragazzi del gruppo.
    Non vedo l'ora di leggere il seguito, ottimo lavoro chemma *w*
     
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  7. Linnet;
     
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    Beh, che dire? Il titolo mi ha subito incuriosita e non era da me non venire a dare un'occhiata al topic! Complimenti, perchè tutto quello che hai scritto finora mi piace molto e hai un modo di scrivere davvero bello. (: Il banner, poi, è decisamente WOW! x)
    Aspetto con ansia il seguito,
    Simo (:
     
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  8. bikeey_
     
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    Ho letto tutti e due i capitoli tutti d'un fiato. La storia mi incuriosisce molto, sono sicura che mi stupirà e salirà sul podio delle mie FF preferite. Mi piace molto- troppo - come scrivi. Come ti hanno già detto la lettura è molto scorrevole e piacevole, piacevolissima. Aspetto il terzo capitolo, mi accampo con le altre :* Bravissima Martì ♥

    Edited by bikeey_ - 27/9/2010, 13:57
     
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  9. »Chemma«
     
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    CITAZIONE (lime ! @ 26/9/2010, 11:01)
    Non avevo notato il post D:
    Be' che dire, inizialmente non ho capito molto ma quando ho letto la parola Parkour ho visto un po' di luce, dato che dei miei compagni praticano questa attività.
    Che dire del capitolo in se? La cosa, o meglio persona che mi ha colpita di più è stata Gustav.
    Quando leggo di lui mi sembra di sentire quel clima di rassegnazione ed infelicità, misto ad un pizzico di gelosia verso gli altri ragazzi del gruppo.
    Non vedo l'ora di leggere il seguito, ottimo lavoro chemma *w*

    *massimo rispetto*

    grazie mille ragazze ♥ Yle ma tu sei di parte u.u
     
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  10. »Chemma«
     
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    3. Missing.
    And if I sleep just to dream of you
    I'll wake without you there.
    Isn't something missing, isn’t someone missing me?

    - Evanescence



    La strada era buia, nonostante un paio di lampioni dalle luci biancastre sembravano mettercela tutta pur di restare accesi e illuminarla almeno per qualche tratto. Ogni rumore sembrava amplificato, non solo per il fatto che fosse completamente solo in una notte troppo fredda per essere estiva. Un’ombra alla sua destra lo terrorizzò letteralmente, per cui accelerò il passo. Non sapeva dove potesse effettivamente andare, ma rimanere immobile in un quartiere desolato e freddo in piena notte non gli sembrava un’ottima idea. Si avvolse il busto con le mani, fino a raggiungere parte della schiena con le lunghe dita, ma servì a ben poco affinché potesse riscaldarsi. Non aveva idea di che ora potesse essere, ma infondo che differenza avrebbe fatto? Restava comunque il fatto che fosse terrorizzato a morte, e la domanda più appropriata che potesse farsi era: dove diavolo sono e come ci sono finito qui? Non ricordava assolutamente niente, né tanto meno perché stesse girando a vuoto da quelli che sembravano giorni interi, a giudicare dal peso che le sue gambe si stavano imponendo di sopportare, nonostante fosse fin troppo magro. Ora era più che certo che l’ombra che aveva precedentemente sperato di aver immaginato fosse vera, perché gli era passata accanto. L’aveva sentita sfiorargli il braccio ed era trasalito al contatto, nonostante fosse stato quasi impercettibile. Bill si fermò all’improvviso sotto uno dei lampioni mal funzionanti, appoggiandovisi contro. Scoprì di essere affannato, da quanto stava camminando? E perché non ricordava assolutamente niente? Lanciò una rapida occhiata dietro di sé, accorgendosi che non c’era nient’altro che il buio della notte. Non riusciva a vedere neanche l’asfalto che aveva da poco percorso, tutto sembrava sfumare poco alla volta. Girò di scatto la testa per guardare nuovamente di fronte a sé, e desiderò solamente non averlo mai fatto. Il sangue gli si ghiacciò nelle vene alla vista della sagoma nera poco distante da lui. Era immobile appena fuori dalla luce, così facendo non poteva vedere il volto del ragazzo che aveva davanti. Distingueva solo dei pantaloni e una t-shirt decisamente larghi, le braccia che gli ricadevano rigide lungo i fianchi e qualcosa all’altezza della sua bocca che brillò nel momento in cui il ragazzo lo mosse.
    Le gambe stavano per cedere, improvvisamente si erano trasformate in due incudini che lo tenevano ancorato all’asfalto, senza lasciargli la possibilità di liberarsene e fuggire via. Il sudore gli imperlava la fronte e il prolabio, sintomo di nervosismo. I suoi occhi sbarrati cercavano in qualsiasi direzione una via di fuga inesistente. Non realizzò il tempo che aveva trascorso restando immobile, ma quando la figura avanzò di qualche passo, fu come svegliarsi all’improvviso. La luce del lampione fece il suo ruolo: illuminò appena qualche tratto del viso dell’altro, il minimo per distinguere le sue sopracciglia tese e gli occhi fermi su Bill. Continuò ad avanzare lentamente come un automa, fino a trovarsi a pochi centimetri dal volto del moro. Notò chiaramente le sue pupille dilatate e la paura che si celava dietro quei pozzi scuri, il che lo fece sorridere, rendendolo solo umano. Bill lo trovò affascinante, cosa che lo rese ancora più irrequieto. Quando quest’ultimo posò la propria mano sulla base del suo collo, una scarica elettrica lo scosse. Stava tremando e non sapeva come smettere, o forse non gli interessava.
    «Non avere paura» proferì pacatamente il ragazzo. «Non ti farò del male.»
    Bill capì di aver impiegato più del dovuto per assimilare quelle poche parole, perché non si accorse neanche del suo volto che si stava avvicinando, lentamente, sempre di più. Nella sua mente, però, quei gesti delicati si stavano svolgendo alla velocità della luce, ma non abbastanza per non notare un paio di particolari che gli fecero girare la testa. Un angolo della bocca del ragazzo era rivolto verso l’alto, e doveva dire che quel sorriso sghembo si addiceva fin troppo a quei lineamenti fini. La sua pelle, probabilmente dorata, risplendeva chiara sotto la luce biancastra che si stava affievolendo. Quando sentì il suo fiato caldo sulle labbra era ormai sicuro che le gambe non lo avrebbero più retto, ma lui aveva già provveduto a tenere una presa salda sui suoi fianchi. Le sue pupille si dilatarono ancora di più, voleva prestare la massima attenzione ad ogni movimento, ma sentì le palpebre improvvisamente pesanti e non credette di riuscire a resistere.
    Quando quello posò le sue labbra sulle proprie, fu impossibile per lui formulare una qualsiasi forma di pensiero: era come se gli stesse succhiando via tutto. Bill restò immobile, osservando il ragazzo che lentamente stava inclinando il proprio capo, fino a far incastrare alla perfezione le loro labbra. Osservava i suoi occhi socchiusi, serissimi, che stavano scrutando ogni sua possibile reazione, ma Bill rimase immobile. Non si era reso conto delle sue braccia che ostacolavano un qualsiasi ulteriore movimento del ragazzo, finché quest’ultimo lo costrinse gentilmente ad abbassarle, servendosi solo di una mano. Bill non trovò la forza di ribellarsi, si sentiva totalmente piegato sotto il suo volere. Fu probabilmente per questo che la sua mano andò automaticamente a posarsi dietro il suo collo, facendo una lieve pressione contro di sé. Poté sentire il ragazzo sorridere impercettibilmente, mentre il loro contatto si approfondiva.
    Abbassò le palpebre per riflesso, sentendosi improvvisamente stanco. Era vero, allora, che gli stava portando via quel po’ di forza vitale che gli era rimasta. Quando il ragazzo si staccò lentamente da lui, una serie di brividi di freddo e una miriade di sensazioni diverse percorsero interamente il suo sistema nervoso. Strinse di poco le palpebre, mentre la testa iniziava a girargli. Vedeva ancora la scena appena terminata, era più che sicuro che gli si fosse impressa a fuoco sul fondo delle retine. Il respiro dell’altro ora si stava infrangendo contro il suo collo, fino a raggiungere il lobo del suo orecchio destro. Si stava assuefacendo in quel dolce respiro. Il suo sussurro ebbe la forza di un urlo.
    «Apri gli occhi

    L’unica cosa che vide fu la metà di stanza che aveva davanti che non voleva smettere di girare. O forse era la sua testa che non funzionava come avrebbe dovuto?
    Bill si guardò intorno spaesato, muovendosi convulsamente sul letto troppo grande per lui. Aveva chiaramente combinato un casino con le lenzuola, chissà quanto si era agitato nel sonno. Portarsi una mano alla fronte fu un’impresa: stava respirando affannosamente e non voleva saperne di smetterla di tremare. Era un bagno di sudore, probabilmente era per quello che le lenzuola erano ormai umide. I pantaloni gli si erano appiccicati alle gambe come fossero una seconda pelle, e faticò non poco per uscire da quel groviglio. Per raggiungere dovette cercare un solido appoggio al muro, perché la vista gli si appannò e la testa non voleva saperne di smettere di girargli.
    Due settimane. Erano due settimane che andava avanti così, precisamente da quando aveva visto lui l’ennesima volta nelle situazioni più impensabili. Il ragazzo che da due settimane lo ossessionava a dir poco, disturbando i suoi sogni durante la notte, intralciando i suoi pensieri durante il giorno. Da quando erano arrivati a Lipsia lo aveva visto due sole volte, che a quanto pareva erano bastate affinché diventasse il suo incubo peggiore o il più dolce. A niente era servito passare ore intere sui libri, anzi, rimanere più di cinque ore di seguito seduto alla scrivania probabilmente stava solo contribuendo a fargli perdere il senno, o forse era troppo tardi per recuperarlo. Sapeva solo che per una volta, una soltanto, avrebbe voluto dormire senza doversi svegliare all’improvviso nel cuore della notte, terrorizzato e sudato, per giunta. Neanche l’acqua ghiacciata che gli colpì il volto bastò a rilassarlo, i suoi movimenti erano meccanici e per un attimo temette di non riuscire a reggersi in piedi, per cui decise di tornare a letto. Ora come ora, non gli risultava neanche più strano avere paura di addormentarsi. Certo, se poi doveva avere incubi del genere col cavolo che avrebbe più voluto dormire, specie se poi doveva anche avere a che fare con quelle terribili occhiaie. Avrebbe ceduto, prima o poi l’avrebbe fatto ed era sicuro che non gli sarebbe interessato più nulla. Si chiese se ci fosse qualche modo di spegnere il cervello, se avesse avuto un minimo di pazienza avrebbe tentato di trovarlo lui. Per questo odiava ritrovarsi nel bel mezzo della notte a fissare il soffitto della sua camera, iniziava ad avere queste conversazioni con sé stesso e non ne usciva finché non si addormentava. Poi sognava quel ragazzo – di cui ignorava perfino il nome –, si svegliava all’improvviso e la routine ricominciava. Decisamente, non ne sarebbe uscito vivo.
    Più andava avanti così, più diventava irrequieto. E l’irrequietezza secondo Bill Trümper non poteva essere che sinonimo di catastrofe: iniziava ad odiare tutto e tutti – per dire, in quel momento non sopportava i suoi amati capelli che ricadevano sul cuscino e che si appiccicavano dietro al collo –,le sue capacità motorie si riducevano a zero e il suo nervosismo aggiunto all’ansia per lo studio non lo aiutava di certo. Non gli andava di stare male per una sua fissazione, probabilmente era solo causata dalla solitudine.
    «E’ solo una fase, passerà», continuava a ripetersi, proprio come diceva Adam Brody in quel film che adorava.
    Cercò l’iPod nel cassetto lì vicino, trovandolo dopo qualche tentativo senza aver guardato dove metteva le mani. In momenti come quelli aveva solo bisogno di mettere un freno ai suoi pensieri e alla realtà che gli correva accanto.

    *


    Georg Listing non si era mai fermato a riflettere sul perché da un giorno all’altro si era ritrovato a convivere con due idioti del calibro di Tom e Andreas. In quel momento non riusciva a trovare un solo aggettivo più adatto ai due, perché quale persona con un minimo di senso di civiltà avrebbe acceso la radio a palla nel bel mezzo della notte, o di prima mattina, che fosse? Nessuno, appunto: solo due idioti come quei due. Infastidito, decise che una volta giunto nella loro camera, non l’avrebbero passata liscia. Dopo tre anni non avevano ancora capito cosa significasse interrompere il suo sonno?! Male, molto male. Con gli occhi ancora socchiusi i capelli disordinati che gli ricadevano ovunque e il passo strascicato raggiunse una porta che non identificò, ancora assonnato, ma dalla quale proveniva un rumore insopportabile che riconobbe come la musica assurda che solo Tom poteva ascoltare.
    «Si può sapere che diavolo state facendo?» riuscì a mugugnare con un tono abbastanza inquietante. Infatti, vide con la coda dell’occhio Tom che si premurò di staccare immediatamente la musica e Andreas saltare letteralmente sul posto, mentre la sua risata si interrompeva all’istante.
    «Ben svegliato, Hobbit», lo salutò il moro, intento a riordinare qualche casino che aveva combinato. Georg odiò il suo sorriso strafottente che sembrava stesse cercando di reprimere.
    «Che vi è saltato in mente?!» continuò il maggiore, cercando di non far trasparire eccessivamente la sua ira.
    «Infondo è solo mezzogiorno e mezza» proferì tranquillo Tom, passandogli accanto. «E comunque ha chiamato Gustav. C’è Stuck in città.»
    «Cos… oh» si passò una mano sulla fronte, appoggiandosi allo stipite della porta, come se quella notizia detta all’improvviso gli avesse dato il colpo di grazia. Non ricordava di aver bevuto fino allo sfinimento la sera prima, anzi, non aveva bevuto per niente. Aveva semplicemente visto un film con gli altri e poi era andato a letto piuttosto tardi. Che fosse solo la stanchezza a renderlo così? Certo che la vecchiaia faceva brutti scherzi…
    «Ti conviene muoverti, abbiamo appuntamento con gli altri tra dieci minuti» lo avvisò Andreas, dirigendosi in cucina, dove si ritrovarono per la colazione. Non fu la prima volta che Georg rimpianse seriamente di aver scelto Tom e Andreas a Rachel.

    *
    Non aveva voglia di alzarsi dal letto e accendere il computer. Non aveva voglia di scendere quindici gradini e arrivare fino in cucina per fare colazione. Non aveva voglia di mangiare, di salutare sua madre e dover affrontare un qualsiasi tipo di discussione con lei. Beh, in effetti, si chiese di cosa avesse voglia, arrivato a quel punto.
    Dopo essersi svegliato, quella notte, era riuscito a chiudere occhio per due orette scarse, dopo di che si era nuovamente svegliato e aveva guardato il soffitto per le quattro ore successive. Avrebbe potuto impiegare meglio quel tempo – avrebbe potuto proprio utilizzarlo, in realtà –, ma non aveva saputo come e non ne aveva affatto voglia, per cui si era limitato a starsene steso sul letto ad aspettare che quelle poche ore passassero. Non aveva neanche avuto la capacità di pensare, ragione che lo aveva spinto ad affogare in quelle canzoni malinconiche finché anche l’iPod aveva deciso di abbandonarlo.
    Dopo una doccia accuratamente ghiacciata che non era bastata per risvegliarlo da quel torpore, si diresse in cucina, non potendo più ignorare i rumori ambigui provenienti dal suo stomaco. Simone era già lì che trafficava con i fornelli, poteva sentire il dolce profumo dei waffeln come solo lei sapeva cucinarli.
    «Buongiorno» lo salutò lei, raggiante come sempre. Si stava violentando mentalmente per mantenere i nervi saldi.
    «’Giorno» mugugnò lui, forzando un sorriso.
    Il suo sorriso si allargò sinceramente quando la donna gli servì un piatto colmo di waffeln che avrebbe divorato piacevolmente. Cominciò a mangiare in silenzio, dimenticandosi di tutto il resto. Arrivato a metà del suo pasto si rese conto che qualcosa non andava. Niente tintinnio di forchette e bicchieri, niente spostamenti d’aria, niente rumori casuali. La cucina era fin troppo silenziosa, si sentivano solo i suoi respiri e i bocconi troppo grandi che faticava a spingere giù per la gola. Si voltò lentamente, la bocca ancora piena della porzione enorme che aveva preso, trovando Simone fissarlo impassibile, e rischiò seriamente di strozzarsi.
    «Cosa c’è?» trovò la forza di chiedere, attento a non muovere troppo le labbra. Un minuto dopo aveva già mandato tutto giù. Seguì con lo sguardo la donna che prese posto accanto a lui e posò la forchetta, ormai era decisamente sazio. Simone sospirò e si mise in ascolto.
    «Niente, tesoro. Ascolta, non ho il tempo di fare la spesa, potresti uscire tu?» chiese speranzosa. Si chiese se Bill ricordasse ancora come fosse la luce del sole, visto che per due settimane era stato chiuso in casa davanti al suo computer, incollato ad un libro o quasi privo di vita accasciato sul divano, senza mai separarsi dal cellulare che lo teneva in contatto con i suoi amici. Se non trovava il coraggio per parlargli con tutta la sincerità del mondo, lo avrebbe smosso indirettamente.
    «Uhm… certo.» Seguì con lo sguardo ciò che la madre si stava apprestando a scrivere su un foglio e si chiese in che modo avrebbe dovuto portare da solo tutta quella roba. Simone attese impazientemente che sparisse di sopra, per poi recuperare alla svelta il cellulare.
    «Brian? Sì, Bill uscirà tra poco. Sicuro di farcela da solo? Ok, sì, ti aspetto qui allora.»


    Alla fine aveva riempito con piacere neanche una busta neanche troppo pesante. Si era dovuto risparmiare qualche scatola e un paio di pacchetti di cose che non aveva trovato, e la cosa non gli era dispiaciuta più di tanto. Per fortuna aveva trovato senza problemi lo scomparto delle caramelle, ed era stato più che felice di regalarsi una confezione di orsetti gommosi. Non faceva molto caldo quel giorno, ma dover abbandonare l’aria condizionata fu abbastanza seccante, specialmente perché quel giorno il sole non si stava risparmiando di battere su Lipsia. Estrasse cautamente l’iPod dall’enorme borsa, sistemandosela meglio sulla spalla e cercando di tenere ben saldo il sacchetto di carta con entrambe le braccia, e si incamminò verso casa. Non era molto distante da lì, ma abbastanza per godersi due o tre canzoni. La riproduzione casuale quel giorno era stata piuttosto generosa, la canzone che gli offrì il quel momento lo fece riflettere non poco. Si era estraniato dalla realtà tanto che non vedeva ciò che aveva davanti, ma i suoi pensieri che prendevano forma.
    And if I’ll bleed, I’ll bleed knowing you don’t care.
    And if I sleep just to dream of you, I’ll wake without you there.

    E in quel momento, Amy Lee non avrebbe potuto cantargli parole più adatte, facendo da sottofondo alle immagini del sogno che gli stavano offuscando la vista. Non vi aveva dato molto peso prima, ma era stato quasi inevitabile ricordarlo, vedendo attraverso le lenti scure e percorrendo una strada larga e vuota. Svoltò un angolo, trovandosi davanti troppe persone – si stava sentendo a disagio. Era incredibile come potesse sentirsi terribilmente solo anche in mezzo alla gente, ma loro gli sarebbero passati accanto senza curarsi di lui, come d’altro canto avevano fatto tutte le persone che in diciannove anni aveva conosciuto, e Bill sentiva che qualcosa gli mancava. Qualcosa che non sperava di trovare così presto.
    Isn’t something missing, isn’t someone missing me?
    Impiegò qualche secondo di troppo per capire perché avesse indietreggiato e perché sentiva le spalle pesanti. Sbatté le ciglia un paio di volte, e seppe solo che quello che vide fu un grado di far perdere qualche battito al suo cuore. Era lui. Il ragazzo dai cornrow scuri e con il piercing al labbro. Aveva la bocca semiaperta, gli angoli tirati all’insù, e gli stringeva lievemente le spalle, lo aveva retto impedendogli di perdere l’equilibrio nel momento in cui si erano scontrati. Era successo così in fretta che non se n’era neanche reso conto.
    «Scusami, non volevo.», aggiunse in fretta Bill, aggiustando la presa sul sacchetto che gli stava cadendo dalle mani.
    «Figurati, tutto ok?»
    Era ufficiale. Amava la sua voce, il suo piercing che stava brillando e quel neo che stava fissando sulla sua guancia destra. Udì appena una voce dietro di lui che bastò a mandarlo in panico.
    «S-sì.. grazie.»
    E no. Quel sorriso no. Decise di dileguarsi in fretta, lasciandogli il fantasma di un sorriso, per poi scomparire dalla sua visuale, sorpassando un ragazzo dai capelli liscissimi che non sapeva se avrebbe dovuto ringraziare o maledire. Tom. Così gli pareva di aver sentito dire dal suddetto ragazzo su cui era indeciso. E così, il suo incubo migliore aveva anche un nome.. in effetti, la faccia da Tom ci stava. Si fermò un attimo a pensare su cosa diamine stesse pensando, chiedendosi dapprima come fosse effettivamente una faccia da Tom e solo in seguito che brutta fine avesse fatto la sua testa. Ora sì che avrebbe sofferto di sonnambulismo.

    *


    «… Evan ha detto che non si tratterranno più di tanto, si sono trovati a passare da queste parti e Brian ci teneva a salutarci e… Tom, mi stai ascoltando?» disse il moro, alzando di qualche ottava il tono dell’ultima frase, come ogni volta che cercava di attirare l’attenzione.
    Georg fissò le spalle abbronzate di Tom che si era improvvisamente fermato. Si sporse in avanti, notando le sue mani sulle spalle di qualcuno che riconobbe come il ragazzo di cui si era parlato una mattina neanche tanto lontana al bar. Aveva sentito vagamente la sua voce, per poi vederlo letteralmente scappare via. Cosa aveva potuto fargli l’amico di così terribile…?
    Tom aveva smesso di ascoltare Georg nel momento in cui una scarica elettrica lo aveva scosso, specie dopo aver riconosciuto la figura che lo aveva urtato. Era lui. Dio, il Destino o qualche divinità a cui era stato devoto dovevano volergli proprio bene, per tutti gli incontri casuali che gli stavano facendo avere con quella creatura meravigliosa che ora si ritrovava tra le mani. Era talmente esile che se fosse caduto probabilmente si sarebbe spezzato, ma i suoi riflessi pronti lo avevano portato a sorreggerlo per le spalle appena in tempo. Ed era stato lì che il mondo attorno a lui era definitivamente scomparso.
    Gli sorrise per rassicurarlo, chiedendogli poi se stesse bene in realtà solo per sentire di nuovo la sua voce. Non l’aveva dimenticata, e non aveva dimenticato lui, nonostante fossero passate due settimane dal loro ultimo incontro, precisamente dalla volta in cui non era riuscito a staccargli gli occhi di dosso finché non era letteralmente scappato. Lo vide tentare di nascondere un sorriso mentre abbassava il capo, per poi scomparire nel resto della folla alle loro spalle. Il moro si voltò lentamente verso l’amico, guardandolo solo dopo aver visto davvero il ragazzo scomparire.
    «Sì?» chiese lui, un sorriso sornione che Georg sapeva non sarebbe scomparso facilmente da quella faccia da idiota che si ritrovava come migliore amico.
    «Niente, lascia stare. Siamo in ritardo.» Lo tirò leggermente, precedendolo, e si incamminarono verso il loro PK’s Park.


    Erano tutti lì, nonostante sembrassero più che disinteressati alla cosa. Avvicinandosi, Tom riconobbe solo Gustav e Kim , trattenuti da una discussione poco accesa con i due ragazzi che avevano di fronte, mentre Rachel, Andreas ed Evan avevano evidentemente preferito starsene lì nei paraggi. Si stupì nel vedere Brian affiancato dal biondino che riconobbe come Justin Howe – era sicuro che non avrebbero dimenticato quel nome neanche dopo la morte –, che stava fissando Gustav impassibile, e si chiedeva in che modo osasse solo trovarsi a quella distanza così ridotta da loro. O meglio, con quale coraggio si trovava proprio di fronte a lui, nella loro città. Gettò un’occhiata in giro e la sua attenzione fu catturata da due ragazzi che sedevano sul loro muretto, guardandoli sottecchi. Ignorava la loro funzione, probabilmente stavano con i due Berlinesi, ma dubitava fortemente che potessero essere dei traceurs, a giudicare dal loro aspetto. Si soffermò qualche secondo di più sulla biondina dall’abbigliamento decisamente strano, per poi riportare lo sguardo sul moretto che ora stava ascoltando Gustav.
    «Tom Kaulitz e Georg Listing, che piacere rivedervi.»
    Nel vederli arrivare, Brian distolse l’attenzione dal discorso e si apprestò a pararsi di fronte a loro; il tempo di vederli avvicinarsi ed aprì le braccia, enfatizzando decisamente troppo il tono terribilmente falso che aveva usato.
    «Brian Stuck.» Commentò Tom con più riluttanza. In altre circostanze gli avrebbe teso la mano in modo formale, ma qualcosa gli diceva che per chi coltivava falsità e cattiveria, la formalità poteva contare ben poco. L’attenzione era ormai interamente su di loro, neanche fossero sul punto di duellare.
    «Allora, a cosa dobbiamo questa visita? Dubito che si tratti di cortesia
    Georg prese in mano la situazione, andando dritto al sodo. Si sentiva responsabile del proprio gruppo e voleva mettere fine a quella scenetta il prima possibile, era sicuro che fosse solo tempo prezioso sottratto ai loro allenamenti. Poteva percepire la tensione di Tom, immobile al suo fianco. Sapeva quanto potesse sentirsi irrequieto, ma allo stesso modo, non riuscì a rilassarsi, non con tutti quegli sguardi puntati addosso.
    «Niente a che vedere con voi, ve lo posso assicurare. Io e i miei amici, qui» indicò la biondina e il ragazzo che parlottavano con disinteresse «ci trovavamo da queste parti, niente a che vedere con lo Stage.»
    Il moretto tutto tatuaggi e piercing doveva trovare davvero divertente il fatto che i sette si fossero allarmati per una piccola visita turistica in Lipsia – o almeno era con questo che Brian aveva giustificato la loro presenza in una cittadina che del turismo se ne faceva ben poco, ma si sentivano in dovere di tenere il controllo sulla situazione. In ogni modo quella mattina avrebbero dovuto incontrarsi per il solito allenamento lì al parco, impiegare cinque minuti in un’amichevole dialogo non poteva essere una così grande tragedia.
    «Decisamente.. » Tom scrutò la sua espressione, mentre la conversazione tra i due continuava. Non avrebbero potuto scegliere un leader migliore di Georg, nonostante avesse avuto lui stesso quella possibilità, ma sapeva che in quella circostanza, al posto di discutere quanto meno pacificamente col moro di fronte a sé, gli sarebbe saltato addosso e lo avrebbe preso a pugni.
    Le parole pronunciate dal moretto al suo fianco, poi, iniziarono a giungere sempre più ovattate alle sue orecchie man mano che l’ormai familiare figura nera e slanciata si avvicinava sempre di più a loro. Non lo aveva notato, prima, seduto su una panchina poco più in là del loro muretto, ma ora che stava letteralmente correndo verso di lui – o almeno così credeva che fosse –, l’unica cosa che sapeva era che il suo cervello stava lavorando così intensamente da rischiare un corto circuito. I capelli corvini gli ricadevano ovunque secondo i suoi movimenti rapidi, e quando si fermò bruscamente davanti alla biondina che aveva fissato poco prima, Tom provò contemporaneamente tre sensazioni diverse. Prima di tutte probabilmente la delusione: no, il ragazzo non stava davvero correndo da lui, e in realtà non avrebbe avuto motivo di farlo. Seconda fu l’invidia, perché desiderò davvero poterlo abbracciare in quel modo e vederlo sorridere come quella mattina. Terzo, il suo cuore perse uno o due battiti quando vide le lacrime nere che gli rigavano il volto, stonando di parecchio con il sorriso che avrebbe dovuto illuminarglielo. Pensò che magari fossero lacrime di felicità, ma fu comunque inspiegabilmente struggente per lui vederlo in quello stato.
    Lo vide annuire, asciugarsi una lacrima e ridere probabilmente ad una battuta di uno di quei due tipi strani, ma quella distanza poteva sentire ben poco della conversazione. Tom si era ormai rassegnato all’idea che quelli non dovevano essere affari suoi, quando lo vide girarsi di scatto davvero nella sua direzione, l’espressione che trovò sul suo volto lo colpì quanto un secchio d’acqua ghiacciata.
    Lo vide avanzare verso di lui a passo svelto, lo sguardo ancora incredulo e un sorriso che si allargava ad ogni passo.
    «Brian.»
    Il ragazzo che stava ascoltando Georg si voltò all’improvviso. «Bill!» esclamò incurante degli sguardi puntati su di loro, trovandosi davanti l’amico sorridente ed affannato che non aspettò un secondo di più per gettarsi al suo collo. Il cuore di Tom, che aveva dovuto sopportare l’ennesimo colpo quando per la seconda volta aveva capito di essersi illuso, smise definitivamente di battere quando ritrovò gli occhi di Bill puntati nei propri.



    Note: ok, dunque... vi anticipo che sono rimasta un po' indietro per quanto riguarda la scrittura, anche per questo non ho postato giovedì, nonostante la cosa non mi giustifichi affatto XD in pratica mi sto incasinando da sola. maaa comunque ce la farò, ad uscirne D:
    Questo capitolo lo trovo stranissimo anch'io, soprattutto per questi nuovi personaggi (Brian e Justin XD ) che sono spuntati dall'uovo di Pasqua. '-' in realtà è stata una cosa esclusivamente 'tecnica' il fatto che si dovessero incontrare tutti insieme appassionatamente al parco, perchè altrimenti Bill e Tom non si sarebbero visti. non so se è chiaro XD poi va bè, Brian è Brian e tralasciando il fatto che lo immagino come John Cooper (cantante degli Skillet..... Limoncella, capiscimi XD) avrà una sua funzione nel quarto capitolo (;
    se non avete capito qualcosa chiedete pure, è comprensibilissimo per il resto è tutto qui, credo. torno a scrivere, au revoir
     
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  11. bikeey_
     
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    Sono una schiappa con i nomi, non ne ricordo nemmeno uno. Va bè, ovviamente meno Tom, Bill, Georg, Gustav, Kim e Brian XD Anche se Kim e Brian non so chi sono, e che funzione hanno nella storia XD
    Va bè, i nomi sono un problema mio XD Mi impegnerò per memorizzarli tutti bene ._.
    Passiamo al capitolo ù_ù
    All'inizio ti ho ODIATA. Quello, come primo bacio, sarebbe stato davvero da infarto.
    Descrivi perfettamente ogni goccia di tempo.
    Mi piace davvero troppo assai molto come scrivi ç_ç'' Starei qui a leggere quello che scrivi per ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore ed ore.♥
    Un ultima cosa.. Decisamente niente cavalli, Chemmush XD
     
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  12. »Chemma«
     
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    XD all'ippica mi ci darò lo stesso dopo aver scoperto che io e la scrittura siamo due cose molto molto distinte XD
    É sempre un piacere essere odiata da te ♥
     
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  13. lime !
     
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    CITAZIONE (»Chemma« @ 9/10/2010, 14:01)
    Brian è Brian e tralasciando il fatto che lo immagino come John Cooper (cantante degli Skillet..... Limoncella, capiscimi XD) avrà una sua funzione nel quarto capitolo (;

    Alla limona.... piace già assai Brian *OOO*
    No dai cioè non è possibile vedo già pairing del tipo BillXBrian(John Cooper) ò____ò
    Viaggio decisamente troppo con la fantasia D:
    Che ci faccio io qua? Ah, già sono una scimmia curiosa e ho letto ora invece di stasera èwé
    Che dire?

    ...

    *immagina Tom che si dispera a vedere Bill e Brian in effusioni*



    Si, la smetto D:
    E no questo non si può definire commento, proprio no D:
    Voglio un altro capitolo ç_______________________ç
     
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  14. »Chemma«
     
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    BillxBrian ci avevo pensato anch'io, al posto del Bill-Ashley di cui ho accennato XDD mi sa che non è possibile però XD
    e comunque grazie, è bello anche solo sapere che ci siete (;
     
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  15. lime !
     
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    CITAZIONE (»Chemma« @ 9/10/2010, 15:17)
    BillxBrian ci avevo pensato anch'io, al posto del Bill-Ashley di cui ho accennato XDD mi sa che non è possibile però XD
    e comunque grazie, è bello anche solo sapere che ci siete (;

    *sporge labbruccio*

    La limona è sempre presente U_U <3
     
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125 replies since 14/9/2010, 23:05   4277 views
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