Drops of Time.

AU, Twincest Not Related, Lemon, OC, Angst.

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  1. »Chemma«
     
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    2. Oblivion.
    Under the burning sun I take a look around
    Imagine if this all came down
    I'm waiting for the day to come.
    30 seconds to mars




    La cameriera raggiunse il loro solito tavolo con un sorriso smagliante. Il chiacchiericcio dei sette si interruppe quasi bruscamente, eccezione fatta per Kim, che proseguì il suo discorso infinito a Gustav ed Evan – parlava così velocemente che gli altri si chiedevano spesso dove e come trovasse il modo per respirare.
    « Ecco le vostre ordinazioni, ragazzi.»
    La biondina servì cautamente ad ognuno, fissando insistentemente il capo chino di Tom. Il moro fu costretto ad alzare lo sguardo dalle proprie mani, per assicurarsi che fosse stato davvero Georg a dargli quel calcio, sotto il tavolo. Il ragazzo di fronte a lui stava per l’appunto cercando di trattenere alla meno peggio una risata, guardando completamente Rachel, alla sua sinistra, e nascondendo il suo ghigno dietro la mano. Tom cercò di trattenere un sorriso.
    « Ehm, grazie, Emma… se avessimo bisogno di qualcos’altro sappiamo a chi rivolgerci» proferì Tom stesso, sperando che il messaggio fosse abbastanza chiaro. Regalò un sorriso tremendamente tirato alla ragazza immobile – in imbarazzo come ogni volta – e sorridente al suo fianco; era anche piuttosto insopportabile, ma infondo gli dispiaceva doverla sempre liquidare così.
    « C-certo… beh, buon appetito.» Sbuffò in una risatina nervosa ed evaporò letteralmente. Kim non riuscì più a trattenersi e si accasciò su Tom, che sedeva alla sua sinistra, seguendo le risate generali.
    « E’ decisamente cotta, Tom» lo schernì Andreas, iniziando a mangiare per primo.
    « Sì, anche piuttosto fuori» continuò la bionda. Tom sorrise, non sapendo cosa rispondere, masticando e dandosi un’occhiata in giro. Non c’era molta gente quella sera all’Oblivion. In genere era più frequentato all’ora di pranzo, quando qualcuno cercava un pasto veloce prima di tornare in fretta a lavoro.
    Da quando Freeman gli aveva rivelato di essere stato un amico di suo padre, Tom e il gruppo avevano cominciato a frequentare spesso il locale, dando il contributo possibile affinché emergesse, specie nell’arredamento – momento in cui la vena artistica di Andreas, Evan e Rachel era stata particolarmente significativa. Riportò i suoi pensieri in quel presente in cui loro non erano più i quindicenni sguinzagliati e falsamente liberi, quando la sua attenzione fu catturata dalla figura che oltre il vetro sembrava osservarlo. Se ne stava immobile lì fuori, e poteva giurare che stesse iniziando a piovere, perché i suoi capelli lunghi si stavano lentamente appesantendo, fino a ricadere sulle spalle decisamente esili. Poteva immaginare dei fianchi stretti e asciutti sotto la maglietta nera che indossava, scura come le linee che contornavano i suoi occhi. Non sapeva niente di quell’individuo, ma, nel caso non fosse stato solo un miraggio, doveva essere la ragazza più bella che avesse mai visto. La vide trasalire nel momento in cui arrivò ai suoi occhi, per poi vederla andare via. Non diede molta importanza all’accaduto.
    Riportò lo sguardo sul suo gruppo e trovò Georg fissarlo preoccupato. Cercò di rassicurarlo con un sorriso, sapeva come rivolgergliene uno sincero per dirgli che non c’era di che preoccuparsi. Era una sorta di loro linguaggio segreto.
    « Tom, hai sentito del gruppo di traceurs che parteciperà quest’anno?»
    La tavola ammutolì alle parole di Gustav.
    «Quello dei gemelli, dici?» Il ragazzo non sembrava affatto turbato dalla discussione che si stava inaugurando, ma che era bastata a riportare la tensione tra gli altri.
    « Anche loro, ma dicono che alcuni di loro siano stiano con i Berlinesi.»
    « Fottuti bastardi.» Rachel infilzò le sue patatine con una rabbia che fece preoccupare Georg. La moretta fissava il piatto, un’espressione cupa ed indecifrabile sul volto chino, coperto dalla frangia.
    Tom fissò Gustav con aria impassibile, come se niente di tutto quello lo riguardasse, lui era lì solo per cenare insieme ai suoi amici e nessuno doveva prepararsi all’evento più importante dell’anno. Ritornò con i piedi per terra e sospirò pesantemente. Perse qualche altro minuto per osservare ognuna delle loro espressioni: forse stavano aspettando una qualche specie di discorso di incoraggiamento da parte del loro quasi – capo gruppo, ignari del fatto che in quel momento non fosse in grado di formulare neanche un pensiero coerente.
    «Beh, non dici niente?» sbottò Rachel. Tom cercò di mantenere più autocontrollo possibile, sapeva quanto fosse importante la calma. Lo irritava il fatto che la ragazza non afferrasse quel concetto.
    «Vorresti sentirti dire qualcosa in particolare?» Domandò lui, sorvolando l’ironia delle sue parole. Rachel sembrò esitare, assottigliando gli occhi mentre imitava uno sguardo penetrante.
    « Sai meglio di me quello che è successo. Gustav?!»
    Si voltò di scatto verso il biondo, nello stesso momento Georg cinse le sue esili spalle, facendola rilassare in quel tocco. La sua tensione si ripercosse su tutti gli altri, che si lanciavano sguardi increduli e preoccupati. Gustav sospirò.
    « Me lo ricordo, Rachel. Ormai è il passato, noi non possiamo fare altro che-»
    « Col cazzo, rinunciare a lui non è bastato? Chi vuoi che ci facciano fuori sta volta con i loro giochetti del... »
    « Adesso basta, Rachel.» Il tono pacato del biondino attirò l’attenzione di tutti, compresi gli altri che stavano seguendo in silenzio. Si stava prendendo qualche minuto per scegliere le parole giuste e porre fine a quella discussione. Sperava che i due dibattenti capissero quanto fosse delicato l’argomento, dal momento in cui ne era lo spiacevole protagonista.
    « Davvero, ragazzi. Ci penseremo a mente lucida, okay? Ora, per favore, godiamoci un po’ questa serata. E sappiate che domani vi aspetta un allenamento tremendo, vero, Gus?» proferì Georg, un ghigno comicamente malefico gli mostrava i denti e riduceva i suoi occhi cristallini in due fessure brillanti. Gustav gli rivolse uno sguardo pieno di gratitudine, mentre tra le chiacchiere che avevano ripreso si alzavano varie proteste, sfocianti poi in un entusiasmo controproducente.
    La mente di Tom era tornata allo scorso anno e non vedeva modo di uscirne. La discussione con Rachel lo aveva effettivamente turbato, nonostante avesse riconosciuto che quello era stato solo uno sfogo da parte della ragazza e che per quanto potessero non pensarci, l’ esperienza di Gustav doveva essere solo un insegnamento per tutti loro, per questo non azzardava neanche una risposta alle domande che stavano fluendo nella sua testa. Cosa ne sarebbe stato di lui se fosse stato al posto dell’amico? Avrebbe accettato la cosa con così tanta facilità? Gustav si era dimostrato forte, nonostante il suo ginocchio difettoso, continuava a frequentare il gruppo e in un tacito accordo era diventato una sorta di manager ufficiale del gruppo di Lipsia di Georg Listing e Tom Kaulitz. Si chiedeva come fosse la vita da spettatore, senza mai desiderare di provare ad esserlo, non da quando il Parkour era il palcoscenico sul quale la sua esistenza aveva preso forma.

    *


    Amava la pioggia. Amava sentire le gocce fredde che scivolavano sulla pelle calda, insinuandosi ovunque – un po’ meno quando gli scioglieva il trucco o quando la piastra si rovinava del tutto –, ma sommariamente, adorava la pioggia. In quel momento però lo aveva preso alla sprovvista, non se n’era reso conto finché non aveva dovuto distogliere lo sguardo dal ragazzo seduto nel pub. Cercò di dimenticare subito quanto accaduto, incamminandosi verso casa, azione che si limitava a ripercorrere il sentiero su cui si trovava. Alzò lo sguardo al cielo, era di un grigio chiaro e la pioggia scendeva lenta, stanca, non sarebbe durata a lungo. Desiderò solo che potesse parlare per lui, ma per tirare fuori un minimo di ciò che si stava imponendo di reprimere avrebbe avuto bisogno di una tempesta vera e propria. Quel senso di calma invece lo stava rilassando, per questo non si preoccupò di accelerare il passo, o del trucco che gli colava fino all’attaccatura delle orecchie, o dei capelli che si bagnavano anche di quel nero, appiccicandosi sul collo, sulle spalle. Per un attimo si guardò intorno, sollevato dal poter tenere gli occhi aperti. Il quartiere in cui si trovava la loro casa sembrava tranquillo, abbastanza lontano dal centro che si era lasciato alle spalle. Doveva dire che gli piaceva, e per questo sì sentì relativamente in colpa. Avrebbe potuto addirittura farci l’abitudine, ma la fitta che provò all’altezza dello stomaco gli suggerì che non era quello che voleva, nonostante lui stesso non riuscisse a capire cosa effettivamente lo stesse abbattendo così tanto. Infondo si trattava di un soggiorno prolungato in quella cittadina, nel giro di qualche mese sarebbe finito tutto senza che neanche se ne accorgesse e lui e Ashley avrebbero convissuto e studiato insieme ad Amburgo. Le sue sicurezze svanirono sul nascere nel momento in cui suonò un paio di volte al campanello di casa Trümper, fissandosi le scarpe e lo zerbino sotto i suoi piedi.
    « Neanche stessi per andare al patibolo…» Aveva ragione l’amica ad averlo nominato il ragazzo più tragico del mondo.
    « Oh, tesoro! Entra, ti beccherai un accidenti.»
    La voce di Simone lo sorprese, e lo trascinò letteralmente dentro. Era stato fuori neanche venti minuti, e al suo ritorno la casa sembrava già diversa. Lanciò uno sguardo veloce al soggiorno e notò che ogni mobile era stato sistemato, privato dei rivestimenti di cellophane e posizionato nel luogo più adatto ad esso. Stessa cosa per la cucina, dove Gordon sedeva al suo solito posto leggendo la sua rivista preferita, Rolling Stone.
    « La cena è pronta, appena hai fatto vieni.» gli disse Simone, prima di vederlo scomparire su per le scale. Neanche la pioggia che ora scrosciava ininterrottamente era bastata a lavare via l’apatia dal volto di Bill.

    « Tesoro? Sono io.»
    « Entra, è aperto.»
    La voce di Bill giunse ovattata oltre la porta scura. All’interno aveva già appeso un poster, quello che lui e Ashley avevano comprato al concerto dei Placebo. Era una sorta di reliquia per lui.
    Simone lo trovò accanto al letto, evidentemente stava sistemando le sue cose sugli scaffali e sulla scrivania. Si sedette sul morbido materasso, accanto alla scatola ormai vuota che Bill si apprestò a spostare. La donna rimase ad osservarlo per un po’ mentre sistemava alcuni cd sulla mensola lì vicino, ne riconobbe uno di Nena che gli aveva regalato proprio lei qualche anno prima. Sorrise a quel ricordo, allora Bill era veramente piccolo.
    « C’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?» Simone alzò gli occhi, sorpresa. Bill la guardava dall’alto, in un tentativo di sorriso. Salendo le scale aveva preparato un discorso che le era sembrato filasse, ma lo aveva già dimenticato una volta raggiunta la porta della camera. Si prese qualche minuto per scegliere le parole giuste.
    « Mi chiedevo cosa ne pensi» iniziò, guardandosi intorno. Bill intuì che stesse alludendo alla stanza.
    « Beh… questa stanza è un po’ grande per me, però mi piace il colore, e la finestra…»
    « Non mi riferivo a questo, Bill. Intendevo questa situazione. C’è qualcosa che vorresti dirmi?» Sperò con tutte le sue forze in una risposta sincera.
    Bill esitò qualche istante. Avrebbe potuto semplicemente essere sincero e dire a Simone che l’idea di dover trascorrere quattro mesi e mezzo lontano dalla sua vita non lo allettava per niente, ma pensò che non sarebbe stato proprio saggio, non dal momento in cui lei e Gordon ne traevano più benefici che altro.
    « È solo che è stato un miracolo che abbiano accettato Gordon senza troppe storie», il ragazzo si preparò a qualsiasi ragionamento o discorso contorto che sua madre sembrava intenzionata a portare avanti, conoscendo la sua determinazione quando c’erano da chiarire delle cose. «E poi sicuramente il test all’università andrà benissimo, hai un bel po’ di tempo per studiare, no?»
    « Hm, sì» Bill annuì velocemente. La voglia di discutere gli era passata all’improvviso, non sarebbe stato in grado di dire una parola in più. Era infantile come cosa, ma non voleva affrontare la questione. Non così presto, per lo meno. « Senti, sono un po’ stanco… ti spiacerebbe…»
    « Sì, certo.» Simone si alzò di scatto. « Solo.. se avessi bisogno di parlare, chiama.» Gli fece un occhiolino per rassicurarlo, e il sorriso che Bill cercava di mascherare guardando a terra la rassicurò.

    *


    Era davvero lei. Quella che lo aveva fissato la sera prima, oltre il vetro dell’Oblivion. Non doveva essere di quelle parti, perché una ragazza incredibilmente magra dai capelli lunghi, neri e bianchi, raccolti in quelle che sembravano treccine, non sarebbe di certo passata inosservata a Lipsia.
    Tom la osservò mentre se ne stava immobile davanti l’entrata del bar, quasi sorridendo beffardamente al pensiero che da lì a pochi minuti sarebbe stato inevitabile passarle accanto. Se non avesse avuto un allenamento ad occupargli la giornata e se la cosa non fosse risultata pressoché maniacale, avrebbe pensato di offrirgli qualcosa, magari conoscerla, magari..
    « Spiiid!»
    Ed eccola, quella vocina stridula che non riuscì a non irritarlo, insieme a quel soprannome da strapazzo. I suoi cari amici avrebbero mai capito che detestava i ragni e Spiderman, prima o poi? Beh, se non ci erano riusciti per i precedenti nove anni ne dubitava fortemente. Comunque non ci avrebbe fatto l’abitudine, mai e poi mai.
    Tom voltò il capo appena in tempo per vedere Kim superare con un agile Lazy Vault la ringhiera che separava la strada dal marciapiede. La biondina lo raggiunse sorridendogli, prese posto accanto a lui sulla panchina e gli lasciò un bacio umido sulla guancia, come piaceva a Tom, nel caso fosse lei a salutarlo.
    « Dove sono gli altri?» Fece per guardare oltre la spalla di Tom prima che rispondesse, ma non trovando il resto del gruppo nei paraggi rimase amareggiata. E lei che credeva di essere in ritardo…!
    Il ragazzo fece un cenno col pollice alla sua destra. « Colazione da Audrey» disse tranquillamente, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza. Fortunatamente Kim credeva che stesse guardando il bar alle spalle della suddetta dispersa, altrimenti avrebbe iniziato a fare le sue solite domande insensate.
    «Oh, andiamo anche noi! Sto morendo di fame, perché non mi hanno detto che ci sarebbero andati? Andiamo, Tom?»
    Ma quella lo aveva già preso per il polso e lo stava trascinando letteralmente con sé, nonostante la sua corporatura esile, e non vedeva come avrebbe potuto ribattere. O meglio, sarebbe stato in grado di sollevarla in un batter d’occhio, solo non ne aveva voglia. La sua attenzione era rivolta ancora a quella ragazza dai capelli e dai vestiti scuri, che vide sbuffare e posarsi le mani sui fianchi, evidentemente annoiata.
    «Nuova fiamma?» Domandò lei, alludendo al ragazzo che, aveva notato, Tom aveva fissato per tutto il tempo.
    Il moro accanto a lui sorrise irrisorio, premurandosi di non abbandonarlo neanche nel momento in cui lui e Kim le passarono affianco, sembrando quasi rivolto a lei.
    «Tom, ti dai una mossa?»
    La bionda fissò per qualche minuto Tom, in procinto di aprire la porta ma immobile davanti ad essa, e a causa degli occhiali scuri che portava non seppe dire se fosse rivolto a lei o...
    Si voltò appena in tempo per vedere un ragazzo fissarli di sbieco, per poi distogliere subito l’attenzione dai due ragazzi, catturata invece da un uomo che gli si era affiancato. Kim decise di ignorarlo, diversamente dal suo stomaco che le ricordò di essere pressoché vuoto. Incitò Tom ad entrare, risvegliandolo da quello stato di trance, dandogli un colpetto sulle spalle: c’era una colazione che l’aspettava, diamine!

    «Buongiorno.»
    Tom salutò i sei, sorridendo. Prese posto accanto a Georg, che salutò facendo scontrare le loro nocche. Gli altri si limitarono a mugugnare qualcosa, troppo presi dalle loro colazioni o dai discorsi ai quali decise di non interessarsi. Rachel sembrava di buon umore, rispetto alla sera prima, nonostante l’espressione seria che aveva assunto durante la sua discussione con Evan.
    «Lo conosci quel ragazzo?»
    Tom fissò la bionda davanti a sé e la fissò confuso. «Chi?»
    «Quello lì per cui mi hai fatto perdere dieci minuti di colazione perché eri troppo occupato a fissare e che in questo momento sta entrando.» Rispose Kim tutto d’un fiato. Il moro di fronte a lei spostò di poco lo sguardo oltre le sue spalle, in tempo per vedere la ragazza sfilarsi gli occhiali da sole, rivelando un paio di occhi cerchiati di nero, e sedersi a uno degli sgabelli vicino al bancone.
    «Era una ragazza.» Ribatté pacato Tom, corruciandosi e riportando la sua attenzione su Kim, in tempo per coglierla sul fatto mentre rubava un pezzo di brioche a Georg.
    «Hey!»
    «Ti si rovina la linea, tesoro» sorrise Kim, ignorando la perplessità di Tom e Georg, che aveva roteato gli occhi, decidendo di trascurare quel piccolo furto e tornando a dedicarsi alla conversazione con Rachel ed Evan.
    «Era un ragazzo, si può sapere cosa diavolo ti è passato inosservato?»
    La bionda continuò a dedicarsi al suo nuovo amore: la brioche. Tom odiò Kim per la sua indifferenza per quella questione dalla quale lui esigeva una risposta, e che a differenza sua poteva mangiare tranquillamente per due persone, senza ingrassare di un grammo.
    «Oh, credevo avessi notato che quei jeans erano veramente stretti…» mormorò masticando.
    «Kim!» sbottò Evan dall’altro capo del tavolo. Attirò l’attenzione dell’intera tavolata e di qualche persona lì vicino, il che contribuì a rendere le sue guance di un rosso acceso.
    «Dimmi amore» rispose lei, sporgendosi sul tavolo per fare in modo che notasse il suo sorriso tirato e le ciglia sfarfallanti. Gli altri risero, Tom si limitò a fissare il ragazzo al bancone che gli dava le spalle; in quel momento stava parlando con un uomo dalla barba grigia e i capelli relativamente lunghi al suo fianco, e la cosa non poté che confonderlo maggiormente. Per quanto lo riguardava, poteva benissimo essere suo padre, il suo compagno, il suo.. beh, perché sarebbe dovuto importargli di lui, se era praticamente un estraneo? Per l’appunto, si disse mentalmente che non gli importava affatto se quel ragazzo avesse dei magnifici capelli neri e lisci, degli arti spropositatamente lunghi e-
    «Uhm, prendete qualcos’altro?» sbottò all’improvviso, alzando un po’ troppo la voce.
    «Per me una brioche» disse impassibile Georg, fissando Kim con un ghigno cinicamente beffardo.
    «Cappuccino!» Esclamò la bionda con la bocca ancora piena, per tutta risposta.
    Tom si alzò recuperando le monete dal tavolo e si diresse al bancone, imponendosi di non dover assolutamente, per nessuna ragione avvicinarsi al ragazzo senza nome.
    Quando sentì il dolce profumo della vaniglia inebriargli i sensi, però, capì di non aver fatto in tempo a frenare l’istinto da cui si era lasciato guidare, prendendo momentaneamente posto sullo sgabello a cui il ragazzo dava le spalle. Provò a tendere le orecchie, incapace di voltarsi e osservare ciò che stava facendo, ma non sentì nulla a parte il ticchettio del cucchiaino che sbatteva contro i bordi della tazza.
    «..E quindi mi hanno proposto di suonare con loro, aspettano solo una risposta entro giovedì.»
    Questa volta Tom non poté fare a meno di voltarsi per accertarsi che la voce fosse proprio di quell’uomo, che poteva intuire fosse un musicista. Se si fosse soffermato da prima anche sul suo aspetto avrebbe notato vaghe somiglianze con una qualche specie di chitarrista anni ottanta, ma la sua attenzione era chiaramente stata catturata da altro.
    «Beh, potresti provare, no? Insomma, quant’è che non suoni in un gruppo vero? Secondo me sarebbe figo.»
    Lo sentì ridere insieme all’uomo, e in quel momento, il traceur* temette davvero di perdere la percezione di tutto il resto intorno a lui, l’equilibrio e magari cadere dallo sgabello. Distrarsi non era una cosa da lui, con il Parkour aveva imparato quanto fosse importante la concentrazione e saperla mantenere, ma da quando aveva visto quel ragazzo poteva direi di non essersi mai assentato così tante volte dalla realtà.
    «Hey, Tom?»
    «A-Audrey. Scusami, hai detto qualcosa?»
    La ragazza lo guardò confusa. «Ti ho chiesto se prendi qualcosa.»
    «Oh, ehm.. sì, un cappuccino e..» cercò di fare mente locale a quello che gli aveva chiesto Georg, e si allarmò scoprendo di non riuscirci. Iniziò a pensare di avere seriamente qualche cosa fuori posto, e non per via del tipo che continuava a ridere, incurante dell’effetto che aveva su di lui. «Ah, e una brioche per Georg. E un caffè per me, grazie.» Tentò di sorridere, ma la ragazza dai capelli blu e neri continuava a fissarlo stranita.
    «Sì, direi proprio che hai bisogno di un caffè.» Mormorò in tempo per farsi ascoltare, ma sparendo il minuto dopo verso la macchinetta nera, poco distante da lì. Tom sospirò, passandosi due dita lungo le tempie, espirando profondamente, ma qualcuno sembrò proprio intenzionato a rovinare i suoi piani di tentativo di rilassamento interiore. Trasalì vagamente a quel contatto improvviso, e si voltò con fare noncurante solo per trovare due iridi splendenti fissarlo stupito.
    «Scusami, non volevo.» Sentì dire pacatamente dal ragazzo che, come a farsi perdonare, gli rivolse un sorriso incerto.
    Tom tentò di riacquistare la calma, nonostante dentro di sé sembrò scoppiare un maremoto. «Figurati.»
    Lo vide alzarsi e voltarsi per un ultimo sguardo, che interpretò come saluto d’addio, vista la tragicità della situazione, seguendolo con lo sguardo fino alla porta che si chiuse alle spalle.
    Audrey batté l’unghia sul bancone. «Tom, il tuo caffè!»

    *


    Quando aveva detto a Gordon che poteva tranquillamente tornare a casa a piedi e che non avrebbe dovuto preoccuparsi, Bill ci aveva creduto davvero, ma in quel momento, non riuscì a non maledirsi per aver lasciato andar via il patrigno senza essere a conoscenza di quello che avrebbe dovuto passare. Non che fosse chissà poi quale tragedia, ma per un antisportivo con resistenza zero come Bill Trümper, percorrere anche solo qualche metro di troppo con in mano non due insignificanti buste, testimoni del suo shopping appena concluso, equivaleva ad uno sfinimento bello e buono.
    Per la prima volta in quel pomeriggio temette davvero di non trovare la strada di casa – infondo, erano arrivati solo il giorno prima, e lui non aveva visto praticamente nulla di Lipsia, ad eccezione della scuola di Gordon in cui lui e il patrigno erano stati quella mattina. Comunque pensò che proseguire dritto, arrivare al bar in cui avevano fatto colazione e girare sulla destra dopo pochi metri, come l’uomo gli aveva indicato di fare, non poteva essere difficile, quindi si limitò a quello.
    Era stata una giornata piatta, non avrebbe saputo ricavarne una qualche specie di riassunto, ma sapeva che con Ashley avrebbe trovato sicuramente qualcosa di cui parlare, sperò di non dimenticarsi che quella stessa sera avrebbe dovuto chiamarla. Camminava sovrappensiero, e come ogni volta, non si accorse di aver abbassato la testa, per cui si premurò di rialzarla giusto in tempo per cogliere uno schiamazzo che attirò la sua attenzione a qualche metro di distanza. Si trovava nei pressi di un grande parco, stranamente vuoto se non per la presenza di un gruppo di ragazzi in lontananza. Non poteva distinguerli e di certo non li conosceva, ma il modo in cui si muovevano non gli sembrò propriamente ignoto, per questo si prese qualche altro minuto per studiarli. Neanche si rese conto di essersi letteralmente incantato nel guardarli muoversi con un’agilità pari a quella di un felino, sarebbe rimasto ore lì senza stancarsi, ma allo stesso modo, non poté fare a meno di notare il sole che si stava apprestando a calare, come a voler nascondere quel rossore che lo tingeva dietro lo sguardo dell’orizzonte. La sua vena d’artista parlò per lui, per cui non si meravigliò affatto di essere stato catturato da un particolare in altri termini insignificante: il cielo si stava intridendo di un rosa pallido, mentre il sole bruciava in quel chiarore. Si impose di lasciare la sottile atmosfera che la sua fantasia aveva creato, rimettendosi in cammino, in tempo per voltarsi e non notare che qualcuno da lontano lo stava fissando.


    Gustav era stato costretto a fare il giro a lungo, per poter scendere dalla scalinata dalla quale gli altri, invece, potevano semplicemente buttarsi e tentare di non spezzarsi qualche osso attraverso un semplice Roll. Il suo ginocchio non gli permetteva nessun movimento brusco, il che implicava nessuna scorciatoia, né tanto meno sforzi eccessivi. L’anno precedente, i medici gli avevano detto che era stato addirittura fortunato a non aver perso completamente l’uso della rotula, in una caduta come la sua. Beh, per lo meno camminava ancora. Si affrettò a raggiungere il resto del gruppo, sfogliando i suoi preziosi appunti e cercando di trarne un veloce riassunto.
    «Georg e Kim tre minuti e venti, escludendo il Flack di Kim» la bionda ridacchiò, mentre Gustav cercava una rapida soluzione «quindi direi.. Kim e Andreas, Georg ed Evan, Tom e Rachel.»
    I sei aspettarono l’esito di Gustav, approfittandone per riprendere fiato. Non potevano dire che fosse stata una giornata leggera, e il pensiero che mancassero ancora venti minuti pieni non era confortante. Tom si immaginò già una doccia di trenta minuti buoni, una volta tornato a casa, ma quando vide una figura scura e slanciata in lontananza, tutti i suoi sogni chiari e precisi iniziarono a sfumare. Poté giurare di averlo visto trasalire, ma decise di non potergli dare molta importanza.
    «Dove dobbiamo arrivare?» Trillò Kim, posandosi le mani sui fianchi sottili.
    Gustav si diede un’occhiata intorno, riducendo gli occhi a due fessure a causa del sole. «Dovete percorrere almeno metà perimetro del parco e poi ritornare qui.»
    I sei si scambiarono degli sguardi di intesa, e il minuto dopo già correvano, beandosi di quella libertà pura.
    Tom era sul punto di superare il muretto servendosi di un preciso Monkey Vault, quando Rachel impennò in una rondata e avanzò qualche paio di metri più avanti. La strada era lunga e sottile e gli fu difficile trovare il percorso che avrebbe dovuto superare, ma trovò una ringhiera che superò velocemente poggiandovi sopra una mano e passando dall’altra parte. Sentì Kim ridere dietro di lui e si proibì categoricamente di perdere la concentrazione, ma il suo tentativo fallì miseramente. Non seppe mai come, ma riuscì a vedere la figura esile che in controluce poteva apparire un’ombra totalmente nera, in quel momento instabile, data la velocità con cui Rachel l’aveva superata, probabilmente urtandolo. Se possibile allungò il passo più che poté, raggiungendolo in una grande falcata, giusto in tempo per sorreggerlo per le spalle ed impedirgli di cadere. In quel momento, per Tom, fu come se non si trovasse nel bel mezzo di una gara nella quale tra qualche secondo si sarebbe annunciato perdente, come se trovarsi in quella posizione – di fronte al ragazzo di cui ignorava persino il nome, tenendolo debolmente per le spalle e tentando di riprendere fiato – fosse la cosa più normale al mondo. Era come ipnotizzato, senza un motivo apparente, eppure non poteva fare a meno di voler rivedere quegli occhi che era sicuro lo avrebbero catturato di nuovo. Lo vide indietreggiare e poi bloccarsi, e per un attimo si chiese cosa stesse facendo. Poteva sembrare un leone affamato che si avvicinava lentamente alla gazzella più bella del branco, che voleva assaggiare a tutti i costi.
    «Tom!»
    Il moro alzò solo di scatto la testa al suo richiamo, senza staccare gli occhi dalla sua preda. In meno di un attimo, si era già voltato e aveva iniziato a correre.


    Note: Ed eccomi (: nel precedente post avevo dimenticato di dire che quando possibile aggiornerò ogni giovedì, ma essendo questo capitolo un po' lunghetto e visto che sono un po' incasinata con la scuola, fatevi bastare questo capitolo per poco più di sette giorni.
    Dunque, devo precisare alcune cose perchè di solito non do mai niente per scontato e vi assicuro che già da qui potete capire molte, molte cose della storia (: innanzitutto adoro la canzone, il gruppo che mi ha ispirato il capitolo e dovete sapere, la coppia Tom-Kim XD anche se più avanti capirete meglio il loro rapporto, che è veramente, veramente solo da film o da fan fiction, purtroppo.
    Avrete sicuramente notato i collegamenti a youtube che avete trovato in parole precise: quelli vi servono solo per capire cosa stanno compiendo i personaggi, esclusivamente il gruppo di Tom - i nomi li imparerete, sono facili, dai XD -, in quanto stiamo parlando di Traceur* e Parkour. L'intera storia è basata su questo, quindi se non ne avete mai sentito parlare, permettetemi di lasciarvi alcune nozioni.
    Avrete sicuramente visto questo spot per tv XD ebbene, non ci crederete mai, ma è da qui che è nata tutta la storia, che inizialmente era proprio un'altra cosa. Sì, Drops of Time nasce da una canzone e da una pubblicità di Gomme XD è successo anche questo.
    Comunque sia, quello che dovete sapere è che il Parkour è semplicemente una disciplina metropolitana che nasce in Francia negli anni 80. Non è uno sport, Parcours in francese vuol dire percorso e coloro che lo praticano (traceur per i ragazzi e traceuses se sono ragazze) riescono a spostarsi da un punto all'altro superando tutti gli ostacoli che si presentano sul cammino con qualsiasi tipo di movimento riescano ad improvvisare. Se non vi è chiaro, volendo, su youtube (e sempre sia lodato) potete trovare milioni di video, alcuni veramente bellissimi, da cui potete capire molto meglio vedendo che leggendone. La mia difficoltà è proprio descrivere quei movimenti, per questo voglio aiutarvi inserendo dei video, visto che ne ho la possibilità (:
    Ed è tutto, credo. In questo capitolo si sanno molte cose anche sulla vita dei personaggi, lasciatemi dire che amo follemente Bill, e non sono di parte (io sono del lato oscuro) XD
    Ed è tutto, complimenti VIVISSIMI se siete riuscite ad arrivare fin qui XD

    Edited by »Chemma« - 4/10/2010, 00:46
     
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