Drops of Time.

AU, Twincest Not Related, Lemon, OC, Angst.

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  1. »Chemma«
     
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    Drops of Time.
    You’re losing drops of time.



    Titolo: Drops of time.
    Autore: »Chemma«
    Genere: Sentimentale, Malinconico, Introspettivo.
    Raiting: G/PG
    Avvisi: AU, Lemon, OC, Angst.
    Riassunto: Quando il tempo è tutto ciò che non dovresti perdere e la prima cosa a scivolare via.
    Note: Non posso farci niente se le canzoni sono le mie Muse ispiratrici. ‘Drops of time’ è una canzone dei Finley, mi rincresce non possedere anche questo titolo oltre il corpo dei capitoli, perché devo dire che alle mie orecchie suona maledettamente bene, e inizialmente è stato solo per questo che l’ho scelto, solo in un secondo momento ha assunto un significato ora molto importante per me. Se potessi ringrazierei singolarmente tutti gli artisti di cui riporto alcuni versi come introduzioni nei capitoli, perché senza di loro questi sarebbero stati vuoti. Mi limito ad un ringraziamento molto virtuale, mio malgrado XD

    Capitoli
    1. Miracle [Pagina corrente]
    2. Oblivion [Pagina corrente]
    3. Missing [Pagina corrente]
    4. When it rains
    5. Strange
    6. Let the flames begin
    7. Be careful
    8. Together
    9. Bad Romance
    10. Come as you are
    11. Naive


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    Licenza Creative Commons
    Drops of Time by »Chemma« is licensed under a Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia License.
    Tu non puoi alterare o trasformare quest'opera, ne' usarla per crearne un'altra.



    Disclaimers: I personaggi presenti in questa storia non appartengono a me, ad eccezione di qualche comparsa che nasce per formalità… per il resto, i due bei Kaulitz protagonisti non sono di mia proprietà, tutto quello che troverete scritto qui è frutto della mia mente incasinata e scrivendo non guadagno niente, se non pura soddisfazione personale e magari un po’ più di tranquillità, siccome questa storia nasce da un vero e proprio tormento. Buona lettura.

    1. Miracle
    I asked for Love. I asked for Mercy.
    I asked you for sunshine, and then I begged you for the harder rain.

    Outro Miracle, Paramore –




    Bill non riuscì a trattenere un sospiro, alla vista della parola ‘Leipzig’ stampata a caratteri cubitali sull’apposito cartello verde, che informava qualsiasi viaggiatore della città presente in quel punto della Sassonia. E il fatto che stesse ascoltando per la terza volta la stessa canzone non lo aiutava, insieme alla situazione già tragica di per sé sulla quale continuava masochisticamente a ripensare, aggiungendo il vento che per le tre ore di viaggio aveva continuato a battere contro il suo finestrino, annoiandolo parecchio. Nonostante i suoi sforzi di auto convincimento sul fatto che un trasferimento non potesse essere la fine del mondo, sapeva che era piuttosto inutile ignorare il peso al petto che gli si era formato da quando Simone e Gordon gli avevano dato la notizia. Lasciare Berlino per lui non stava significando solo lasciare i suoi vecchi amici, nonostante li avesse contati tranquillamente sulle dita di una mano. Per tutti e sette gli anni che avevano impiegato a costruire la loro amicizia, la cosa era stata irrilevante, e aveva ringraziato il cielo per non essersi trovato in una comitiva di sfigati nella quale sarebbe stato sempre ‘L’esiliato ribelle emo/punk/glam rock con tendenze spropositate al frocio’. Con il lasciarsi alle spalle quelle quattro persone su cui aveva sempre potuto contare, per un concentrato di imprevedibilità, dolcezza, infantilità e bellezza quale era quel pazzo adolescente chiamato Bill Trümper, significava proprio cambiare vita. Fino ad allora non aveva avuto di che lamentarsi, dal momento in cui sua madre e il suo patrigno – con il quale era sempre andato d’accordo; tra l’altro sembrava rendere davvero felice Simone e questo bastava per apprezzarlo– gli avevano sempre dato tutto ciò di cui aveva avuto bisogno, in primis l’amore di una famiglia vera, per poi passare al lato materiale della cosa. Per questo motivo, Bill credeva che un minimo ringraziamento fosse d’obbligo; aveva quindi cercato di mascherare il più possibile le conseguenze di quel colpo inaspettato, specialmente durante sua ultima settimana nella capitale. Brian, Chris e Ashley gli avevano comunque promesso che sarebbero andati a trovarlo, ma quanto sarebbe potuto durare? Anche lui al loro posto si sarebbe stancato di sorbirsi ogni volta tre ore di viaggio, finendo, magari, con l’accentuare il peso di quella nostalgia. Nonostante l'inidifferente tendenza al pessimismo, la sua mente era già a qualche mese più tardi, quando il freddo avrebbe preso il posto di quel caldo insopportabile, lui non avrebbe dovuto necessariamente rimanere in quella città e avrebbe potuto dedicare il suo magnifico e lungo inverno a ciò che più amava.
    A fargli alzare lo sguardo dalle sue impeccabili unghie laccate di nero furono due fastidiosi colpetti al vetro del finestrino. Perché Gordon era in piedi là fuori? E perché lo fissava con quel sorriso... ebete?
    «Bill, siamo arrivati».
    Il moro realizzò che la macchina non sfrecciava più sulla strada, ma era ferma vicino l’orlo del marciapiede, sul quale affacciava verso il lato destro dell’auto, dove sedeva. Guardando fuori dal finestrino, scorgeva una serie di case simili, tra le quali distinse quella che sarebbe stata casa Trümper, a giudicare dal modo in cui Simone non vi staccava gli occhi. In pochi secondi realizzò che il momento era davvero arrivato, alla fine. Lasciò stancamente l’auto, senza voglia o fretta, fregandosene di somigliare ad un fantasma.
    «Mi aiuteresti a portare le chitarre?»
    Già, le sue preziose chitarre. Uno dei motivi per cui stimava Gordon, solo che in quell’occasione maledì la sua carriera da musicista. Lo aveva da sempre attirato il canto, non erano state rare le volte in cui Gordon si era offerto di accompagnarlo con qualche melodia di sottofondo, piuttosto che lasciarlo canticchiare da solo mentre girovagava per la casa - come suo solito - , e doveva ammettere che erano momenti che ricordava sempre con un sorriso sulle labbra. Avrebbe potuto essere felice almeno per questo, solo che non aveva voglia di pensarci troppo. L’idea del trasferimento si era concretizzata proprio dal momento in cui il patrigno aveva finalmente ottenuto un posto assicurato nella Rock Academy di Lipsia.
    Senza rispondere alla domanda, il moro aprì la portiera grigia che aveva appena chiuso, tirando verso di sé le due custodie che avevano giaciuto sul sedile accanto al suo, per poi dirigersi per la prima volta all’interno della casa. I due strumenti, sommati al peso delle custodie rigide, non erano propriamente leggeri, specialmente per via del corpo esile che si ritrovava. Salì con non poca fatica quei cinque gradini tendenti al color panna, e quando alzò lo sguardo dal pavimento, rimase colpito. Era tutto troppo vuoto, troppo diverso. I loro vecchi mobili, arrivati lì con qualche giorno di anticipo per facilitare il loro viaggio, facevano un certo senso, rivestiti da quegli spessi strati di cellophane. L’ingresso non era molto ampio, ma si aveva un’inquadratura generale di almeno tre stanze. Preferì soffermarsi su ogni dettaglio catturabile, piuttosto che pensare a quanto fosse strano tutto quello, per cui lasciò vagare lo sguardo senza limiti. Dalla soglia della porta si scorgevano all’incirca i primi dieci gradini che conducevano al piano superiore, distanti da essa probabilmente lo stesso numero di metri. Bill posò le chitarre alla sua sinistra, vicino lo stipite della porta e lasciò vagare lo sguardo lungo quella parete. Poco più avanti si interrompeva per dare spazio ad una porta scorrevole, in quella che doveva essere l’entrata del soggiorno. Il pavimento in parquet era liscio e lucidissimo, e Bill, nella sua leggerezza, non produceva alcun rumore. Avanzò di qualche passo fino a raggiungere l’entrata della cucina, precisamente opposta a quella del soggiorno, ma rappresentata da un arco che per poco non sfiorava il soffitto. Non era molto grande, ma sembrava accogliente, con quel tavolo posto al centro, una finestra ampia sulla destra e il resto della mobilia che prima era appartenuta alla sua stessa casa. Il ragazzo vagò lentamente, osservando ogni angolo di quegli spazi a cui avrebbe dovuto abituarsi, anche se in generale doveva ammettere che gli piaceva. Trovò Simone fissarlo dallo stipite dell’entrata ad arco, le braccia strette al petto e un sorriso cordiale in volto.
    «Che te ne pare?» osservò esitante qualsiasi reazione del figlio. Era difficile ignorare la sua sofferenza, conosceva Bill abbastanza da sapere quante cose stesse provando a tenersi dentro. Allo stesso modo, capiva perché non le raccontasse tutto ciò che gli passava per la testa, d’altro canto, era stata adolescente anche lei. Sperava solo che in una cittadina moderna e vasta come Lipsia, Bill potesse trovare poche difficoltà nell’ambientarsi.
    «Ho visto solo questo piano. Il soggiorno è bello, comunque. E anche il quartiere… beh, quel po’ che ho visto» il moro cercò di sorridere nella risposta. « Dov’è la mia camera?»
    «Di sopra, in fondo a sinistra. Vado a prendere le ultime cose in macchina» lo salutò cercando di non far scivolare via il suo sorriso rassicurante, anche se le risultò difficile. In un attimo, vedendo l’espressione apatica del suo Bill, tutte le certezze sui benefici del trasferimento, svanirono.

    *


    A quell’ora del pomeriggio il parco era quasi deserto, nonostante fosse estate. Il cielo scuriva molto più lentamente rispetto all’inverno, però quel giorno di giugno le nuvole grigiastre stavano rendendo la cosa molto più difficile. I ragazzi della città preferivano il centro o pub, discoteche, bar, oppure si limitavano a passeggiare lungo le strade larghe e nella piazza principale. Loro, invece, erano abituati da tempo a ritrovarsi in quel parco, alla periferia del distretto centrale. Tom non avrebbe saputo trovare un posto migliore nell’intera città, d’altro canto, poteva quasi considerare il suo amato PK’s Park il luogo in cui era cresciuto.
    Gli altri erano già lì, al loro solito posto. Rachel sedeva compostamente sulle gambe di Georg, e Tom poteva notare la sua mano tra i capelli liscissimi del ragazzo. Kim ed Evan chiacchieravano animatamente, l’uno di fronte all’altro, lo intuiva dal modo in cui la biondina gesticolava. Gustav e Andreas, poco distanti dal resto del gruppo, erano impegnati in una delle loro solite sfide alla sbarra, dove generalmente era Andreas a svolgere il maggior numero di avvitamenti.
    Tom prese una leggera rincorsa, prima di darsi uno slancio e portare le gambe avanti, poggiando i palmi aperti ad una distanza calcolata sul muretto il secondo dopo. Trovò l’equilibrio giusto, e la forza che impiegò nell’ausilio che le sue braccia gli avevano dato bastò a fargli superare l’ostacolo senza difficoltà. Aveva impiegato un po’ di tempo per imparare alla perfezione quel Dash Vault*, e doveva dire che era una bella soddisfazione riuscire a svolgerla senza ritrovarsi con un polso rotto.
    Non si diede il tempo di atterrare sulle mattonelle della stradina, che un ulteriore spinta più netta, bilanciata maggiormente sul piede destro, lo portò accanto a Kim, sul muro opposto ed identico a quello appena scavalcato. La ragazza, dandogli le spalle ed essendo presa dal suo racconto, sembrava non essersi accorta della sua presenza, almeno finché Evan non lo salutò.
    «Hey, Spid,» il moro fece un cenno di saluto all’ultimo arrivato « Sei in ritardo.»
    «Mi spiace Scene King, ma ogni tanto anche a me piace dormire.» Tom alzò un braccio in segno di saluto a Georg, guardandolo oltre le spalle di Evan. Sapeva quanto il moretto odiasse quel nomignolo, ma allo stesso modo lui sapeva quanto odiasse il suo, di appellativo.
    «Non chiamarmi così!» protestò, infatti.
    «E tu smettila di paragonarmi a quel supereroe da strapazzo.»
    « Ciao anche a te Tom!» Kim interruppe il tentativo di risposta di Evan, che alzò lo sguardo al cielo minaccioso. La ragazza schioccò un bacio leggero sulla guancia liscia e abbronzata del moro, facendo assumere un colorito tendente al porpora alle guance del ragazzo alla sua sinistra. La cotta di Evan nei confronti di Kim era l’attuale oggetto di pettegolezzi nel gruppo, per questo la biondina si divertiva a farlo ingelosire, nonostante non le dispiacesse. Qualche tempo prima avrebbe detto che Tom era l’unico uomo della sua vita, ma si era dovuta rassegnare all’idea del ragazzo bello e dannato.
    « Chi è che ha vinto sta volta?»
    Il ragazzo dai cornrow scuri si sporse in avanti per vedere Andreas e Gustav raggiungere il gruppo. Non riusciva a vedere i loro volti a causa della sua posizione, ma non credeva di esserselo inventato quel sorriso sul volto di Gustav.
    « Signori» il biondino dagli occhiali scuri attirò l’attenzione dei cinque « Sta sera da bere per tutti, ringraziamo Andi.» Annunciò, sfregandosi le mani, mentre sorrideva ampiamente. Georg fischiò, facendo ridere Rachel, che rimase ancorata al suo busto e al suo collo. I sorrisi sghembi di Tom, Evan e Kim si allargarono, mentre quest’ultima batté le mani una volta, come sempre quando rideva.
    «Oh, andiamo, ne hai fatti solo due in più di me!» ribatté il moretto, affaticato.
    «Le scommesse sono scommesse.» Rispose il vincitore.
    «Gühne perde colpi.» Lo canzonò Tom, facendosi perno indietro con le braccia. Andreas non volle obbiettare ulteriormente, era ancora senza fiato. La prese sul ridere, così come gli altri alla vista di Gustav che si stendeva sul muretto di fronte a loro, esausto.

    *


    « Mamma, vado a fare un giro.»
    Bill lanciò uno sguardo fugace ai genitori. Recuperò il cellulare che aveva lasciato sul tavolo della cucina, mentre Simone e Gordon sorseggiavano qualcosa dall’odore dolciastro.
    « Vuoi che ti accompagni? Potresti, sai.. perderti.»
    La donna posò il suo bicchiere sul tavolo, guardando chiaramente preoccupata l’espressione del figlio. Cercava nei suoi occhi una minima emozione, che fosse rabbia o tristezza, ma niente. L’impassibilità era decisamente una delle cose che odiava.
    « Non preoccuparti, tornerò prima che faccia buio. E prima che ceniate» forzò un sorriso, che abbandonò subito, per poi sussurrare un flebile « a dopo.»
    Era ancora in tempo a tornare dentro e recuperare alla svelta una maglia a maniche lunghe, ma non ne aveva voglia. Voleva semplicemente guardarsi intorno per vedere dove fosse capitato, decise che avrebbe esaminato qualche altro giorno la città nei particolari.
    Sceso anche l’ultimo gradino, alzò lo sguardo e iniziò a percorrere la stradina del suo quartiere. La casa si trovava tra altri due edifici ai quali somigliava solo per via del colore. Lo stile ricordava molto quello inglese: la schiera di abitazioni sul lato destro della strada era perfettamente in ordine, il marciapiede era piuttosto ampio e pulito, lo spazio era sufficiente affinché degli alberi dalle grandi chiome si alternassero con delle panchine e dei cestini. Guardandosi indietro, poteva ancora scorgere la ringhiera bianca appartenente a casa Trümper, quindi non si preoccupò molto di quanto si stesse allontanando.
    Nonostante fossero agli sgoccioli di giugno, tirava un vento leggero piuttosto fresco. Bill si ritrovò quindi ad avvolgersi il busto sottile con le braccia lunghe e magre, sperando di potersi trasmettere almeno un po’ di calore. Nella sua mente il flash delle braccia di Ashley che lo avevano avvolto non poche volte lo fece tremare. Avevano avuto una specie di relazione per qualche settimana, dopo di che avevano capito che le cose non potevano funzionare – non in quel modo, almeno. Dopo essere tornati semplici amici, però, non erano mancate le volte in cui si erano ritrovati a dormire insieme o ad abbracciarsi, per godere l’uno della presenza dell’altro. Le aveva voluto bene davvero, per questo ora avrebbe voluto essere avvolto dalle che le braccia della sua migliore amica, come ogni volta che lei voleva proteggerlo. Ashley stessa sapeva che era Bill quello ad avere più bisogno di conforto, quello in grado di cadere facilmente, senza un pilastro solido.
    Perso nei suoi pensieri, il moro non si era reso conto di aver svoltato un qualche angolo, seguendo la stessa strada, e di trovarsi nei pressi di un corso piuttosto ampio. La prima cosa che notò fu lo sciame di gente che vi passeggiava su tranquilla, riconobbe inoltre un paio di insegne di negozi conosciuti e alcune piuttosto strambe. Non seppe per quanto tempo restò immobile nell’angolo di quella che il cartello che aveva davanti suggeriva essere SpringerStraße, vide solo un po’ di macchine sfrecciargli davanti. Restando immobile, stava letteralmente gelando, ma non riuscì comunque a muoversi, realizzando dopo poco di trovarsi davanti ad un pub di cui non colse il nome. La figura di un ragazzo seduto al tavolo accanto all’enorme vetro beige lo catturò al punto di non riuscire a staccare gli occhi da lui. Poteva giurare che quelli che aveva in testa fossero cornrow, erano neri come la pece, e la fronte era coperta da una bandana del medesimo colore. Aveva individuato i suoi occhi dal taglio simile a quello orientale, di un colore abbastanza limpido, che non riconosceva a causa della distanza. Indossava una t-shirt forse troppo larga per la sua corporatura, scura anch’essa. Era tutto ciò che poteva vedere, dal momento in cui il ragazzo era seduto. Non fu soltanto quello sguardo ricambiato a far distogliere il proprio dalla vetrina scura e dal ragazzo dietro di essa. Sentì qualcosa di freddo e leggero posarsi sulle sue braccia, sulle dita, sui capelli e sulle spalle. Il cielo si lasciò sfuggire un tuono che lo fece sobbalzare; solo in quel momento notò l’atmosfera grigia che, quando era uscito di casa, era appena accennata. Aveva iniziato a piovere.


    Note finali: Breathe slowly in and out... ok, ci sono.
    L’idea iniziale era quella di postarla solo una volta conclusa, ma come vedete non ce l’ho fatta. L'idea di scrivere questa twincest è nata nell'estate del 2009, ma dopo un sacco di modifiche, che ancora ora sono in atto, ho iniziato a scriverla solo quest'estate. Arrivata al settimo capitolo sento che c’è effettivamente qualcosa che manca, e poi non volevo rischiare di perdermi per strada ora che è iniziata la scuola, quindi postando ho un motivo in più per andare avanti. Nel caso in cui abbiate qualche dubbio, sarei felice di rispondere a qualche domanda, soprattutto se inerente alla storia (:
    Non mi ritengo una scrittrice, dunque più che complimenti – ma dove ? – riterrei più che normale qualche critica che credo mi servirebbe solo per crescere, dunque non temete e ditemi davvero tutto ciò che ne pensate. U.u Sappiate che è importantissimo questo per me, mi sto violentando mentalmente per trovare il coraggio di postare. XD
    Sulla storia in sé.. sì, di cose da dire ne avrei parecchie, ma in parte le saprete a tempo debito se deciderete di seguirla e di seguirmi. Drops of Time sono io, Chemma, è tutto quello che riesco a tirare fuori e per me non è affatto poco.
    Questa mia prima ‘avventura’ non la dedico solo a me stessa, ma allo stesso modo, ad una persona molto importante per me (:Grazie, Nene, per avermi aiutato quando credevo di non farcela, per esserci sempre stata e per esserci tutt’ora, e per un altro mucchio di cose che immagino tu già sappia. (:
    Beh, è tutto. Vi faccio i miei più sentiti complimenti se siete arrivate fin qui. XD


    Edit: 16.09.10 - ci sono veramente pochi riferimenti alla vita di Bill prima del trasferimento, ma ho dovuto modificarli perchè un'idea improvvisa mi ha stravolto tutta la trama della storia. Per quello che è (era) contenuto qui dentro, tenete presente solo che Bill ha già finito il liceo (:


    Edit: 6/01/11 - Banner regalatomi dall' Anima Persa ♥ non è bellissimo ?
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    Edited by »Chemma« - 13/2/2011, 10:45
     
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