I want to dream only for a night

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  1. Redda
     
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    Titolo: I want to dream only for a night
    Autrice: Redda
    Genere: Romantico, Commedia
    Raiting: PG13
    Avvisi: Twincest not related, AU, OOC, Fluff


    I Tokio Hotel non mi appartengono, questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e non ci guadagno nulla



    Creative Commons License
    I want to dream only for a night by Redda is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.

    Vietato copiare!






    «Tu sei pazzo», esordì Anya, mentre fissava il suo migliore amico fermo di fronte allo specchio, intento ad ammirare il proprio profilo da ogni angolatura.
    «Andrà tutto bene», le rispose lui, fiducioso. «Ti risulta che un mio piano sia mai fallito?»
    «Ehm… sì! Bill…», lo chiamò la ragazza, nel tentativo di farlo ragionare, non del tutto, ma almeno in parte, «non capisco se sei masochista o terribilmente scemo, o magari tutti e due insieme, ma se ti riconoscono finirai dentro al bidone dell’immondizia; vuoi riprovare quell’esperienza?»
    «Sarò prudente», le promise, sorridendole attraverso il riflesso dello specchio.
    «Bill, tu non capisci…»
    «An», la interruppe il moro, voltandosi verso di lei. Dalla sua espressione si intuiva quanto fosse triste, ma al contempo fortemente determinato a portare a termine quell’operazione suicida, «lo so che mi sto buttando di mia spontanea volontà nella fossa dei leoni; chiamami pure stupido o masochista, ma voglio solo sognare per una notte, solo questo, poi me ne tornerò nel mio caro e vecchio angolino nell’ombra.»
    Il viso di Anya si sciolse in un dolce sorriso; si alzò dal letto, andando ad abbracciare il suo migliore amico. Nonostante la superasse di almeno una quindicina di centimetri, sembrava così piccolo fra le sue braccia in quel momento; un cucciolo indifeso e bisognoso di un po’ di coccole.
    «Lo sai che voglio solo proteggerti da quella manica di bastardi», gli sussurrò, accarezzandogli la schiena con una mano.
    «Lo so mamma orsa, ma è arrivato il momento che il tuo cucciolo cresca e diventi grande.»
    «No, è ancora così presto», finse di piagnucolare la ragazza, stringendo l’amico in un abbraccio mozzafiato.
    «Così… così finirai... per uccidermi», tossì il moro.
    «Scusa», gli disse Anya, ridacchiando appena. «Sei veramente sicuro di voler andare lì da solo? Lo sai che sono cintura nera di karate, li stenderei con un calcio se osano metterti un dito addosso.»
    Bill sorrise dolcemente e le scompigliò appena i capelli, gesto che di solito la faceva infuriare come una belva feroce, ma che quella sera era disposta a sopportare.
    «Niente violenza stasera, devo farcela da solo.»
    Anya gli diede un’amichevole pacca sulla spalla. «Ti invidio, sai? Hai finalmente deciso di prendere la situazione in mano, stai tirando fuori le palle; io sono brava solo a parole, ma quando si tratta di arrivare ai fatti mi tiro indietro e scappo come una vigliacca. Sono veramente fiera di te.»
    «Vuoi farmi piangere per caso? Così mi si scioglie tutto il mascara.»
    «No no, niente lacrime», Anya finse di chiudersi le labbra con un lucchetto. «Starò zitta, lo prometto.»
    Bill scosse il capo, palesemente divertito da quella scenetta, e tornò poi a fissare il proprio viso riflesso nello specchio. Nei suoi occhi bruciava il fuoco della determinazione; quella era la sua notte.
    «E’ la mia sola ed unica possibilità», disse a se stesso, «non posso sprecarla.»
    «Cadrà ai tuoi piedi», lo incoraggiò la ragazza, sollevando un pollice in alto.
    «Lo spero proprio», sfiatò lui, mentre eliminava uno sbavo di matita. «Ok… sono pronto.»
    Afferrò una scatola rosso cremisi e ne estrasse una maschera nera, ornata da paillette argentate e piccoli diamantini neri a forma di goccia.
    La indossò con cautela, adagiandola contro la propria pelle.
    Copriva una buona parte del suo viso, lasciando scoperti solo gli occhi e dalle labbra in giù.
    «Che te ne pare?», domandò timidamente alla biondina, allargando appena le braccia.
    Anya sembrò studiarlo con profonda attenzione, continuando ad emettere bassi mugolii.
    «Se fossi un uomo ti salterei addosso», asserì con serietà, «e anche come donna potrei farci un pensierino… Sei pazzesco.»
    Il suo viso, o meglio le sole parti visibili, vennero illuminate da un meraviglioso sorriso.
    Prese un profondo respiro, prima di alzarsi dalla seggiola, stirandosi nervosamente le pieghette che si erano formate sulla maglietta.
    «Andiamo Cenerentola», lo prese un po’ in giro Anya, «c’è un ballo che ti aspetta.»
    La ragazza lo accompagnò, con l’ausilio della macchina di sua madre, che aveva rubato di nascosto per una buona causa, fino alla periferia della città, fermandosi ad una decina di metri da una delle villette a schiera che popolavano quella via.
    «Non tornare a casa senza ciò che vuoi, o dovrai vedertela con me domani mattina», lo minacciò Anya, senza però riuscire a trattenere un sorriso.
    Bill la strinse fra le proprie braccia, assorbendo un po’ di quel coraggio che la ragazza stava cercando di trasmettergli.
    «Ti mando un sms appena torno», le disse, prima di aprire lo sportello.
    La biondina gli mandò un bacio e Bill rimase ad osservarla mentre si allontanava su quella sgangherata Volvo.
    Si alzò un leggero venticello, che gli scompigliò appena i capelli, facendolo poi rabbrividire.
    Ora era da solo; stava sfidando il suo stesso destino e ne sarebbe uscito vincitore, o per lo meno lo sperava.
    Fece un paio di profondi respiri, prima di incamminarsi verso la casa, dalla quale proveniva un gran fracasso.
    C’era un sacco di macchine e moto parcheggiate lì nei paraggi, ma la cosa non lo stupì più di tanto; doveva esserci almeno mezza scuola a quella festa. Chiaro, le persone che contavano, non gli sfigati qualunque, come lui.
    Ma era un bene che a quella festa fosse stato imposto l’uso di una maschera per celare la propria identità; il padrone di casa non temeva comunque l’arrivo di qualche imbucato, sapevano bene di non essere graditi e, se ci tenevano alla vita, dovevano girare al largo.
    L’idea che uno di quegli idioti potesse riconoscerlo lo terrorizzava non poco; se lo avessero trovato lì le botte sarebbero state il male minore che gli potesse capitare.
    Lo scarto della scuola non si poteva mischiare a loro, ma quella sera potevano anche fottersi, aveva una missione da compiere e non se ne sarebbe andato da lì fino a quando non l’avesse portata a termine.
    Il giardino era stipato di gente che beveva, rideva e chiacchierava, e qualcuno faceva anche l’idiota con il solo scopo di attirare l’attenzione su di sé per avere i suoi cinque minuti di gloria.
    Le persone lì erano disposte a tutto per un briciolo di popolarità, anche ad uccidere se se ne fosse presentata l’occasione.
    Si incamminò lungo il vialetto disseminato di bicchieri e cartacce, fino a quando non si ritrovò di fronte alla porta d’ingresso, che qualcuno aveva lasciato aperta.
    Impegnato com’era a darsi coraggio per oltrepassare quella soglia, non si era accorto che molti ragazzi si erano voltati a guardarlo.
    Beh quelle tre ore passate a prepararsi meticolosamente avevano dato i loro frutti; quella sera era perfetto e non c’era stato un solo paio di occhi che non gli si fosse incollato addosso.
    Ma non aveva il tempo per gongolare, doveva agire!
    Forza Bill, pensò, o la va o la spacca.
    Socchiuse le palpebre quando mosse un passo in avanti: ce l’aveva fatta, era dentro! Ora non gli restava che individuare la sua preda.
    L’ingresso dell’abitazione era ampio e ben arredato; quasi sicuramente la signora aveva pagato qualcuno per rendere la casa un vero gioiellino, in fin dei conti avevano così tanti soldi da poterselo anche permettere.
    La scala, che portava al piano di sopra, era stipata di coppiette intente a stabilite un nuovo record di resistenza prolungata senza l’uso della respirazione.
    Ma non gli interessava in che modo si divertissero gli altri invitati, non era lì per quello, e poi meno aveva da spartire con loro e meglio era.
    Giocherellò un po’ con il suo anello mentre raggiungeva il salone, dove si trovava il nucleo della festa.
    Metà dei presenti era accalcata sul buffet di alcolici assortiti che era stato gentilmente concesso dal padrone di casa, l’altra metà invece ballava a ritmo della musica mixata dal dj che occupava la console ed esortava i ragazzi ad alzare le mani a tempo. Il tutto avveniva sotto ad una enorme sfera a specchietti, come quella che si usava tempo fa in discoteca; un po’ pacchiana, se doveva essere sincero, ma aveva anche un non so che di affascinante.
    Ringraziò il fatto di essere piuttosto alto, perché la sua altezza gli permise di non mischiarsi a quella ressa per individuare il suo obbiettivo.
    Quando riuscì a scorgerlo sentì il cuore sbatacchiargli contro il petto, con un tale impeto che non si sarebbe stupito di vederlo rotolare sul pavimento in quel momento.
    Stava insieme al suo fidato gruppo di cagnolini, accanto alla console, e rideva.
    Dio, era uno spettacolo vederlo ridere; sarebbe rimasto per delle intere ore a fissarlo se ne avesse avuto la possibilità. Osservò i suoi occhi che si socchiudevano, formando due mezzelune, e quella fossetta che gli compariva accanto alla bocca… Il solo pensarci gli fece torcere lo stomaco.
    Ora non gli restava che attirare la sua attenzione in qualche modo, ma aveva bisogno di una spintarella per compiere un simile gesto.
    Si avvicinò ad uno dei fusti della birra e si riempì un bicchiere fino all’orlo, mandando giù la bevanda al gusto di malto tutto d’un sorso.
    Generalmente non era uno di quei ragazzi che beveva fino a vomitarne fuori anche gli organi, ma per quel giorno poteva fare uno strappo alla regola.
    Si guardò attorno mentre finiva la sua birra, e notò che anche lì dentro molti occhi erano puntati verso la sua direzione.
    Gli venne da sorridere; se solo quei tipi avessero capito chi si celava dietro a quella maschera scura avrebbero smesso di guardarlo con così tanto interesse e si sarebbero dimostrati solo profondamente disgustati.
    Ma non voleva pensare a simili sciocchezze, così mandò giù l’ultimo sorso e poggiò il bicchiere vuoto sul tavolino, insieme agli altri.
    Ce la puoi fare, disse a se stesso, mentre si incamminava verso quella che era diventata la pista da ballo.
    Non badò alle mani che “accidentalmente” finivano sul suo sedere, pensò solo che dovessero essere tutti completamente ubriachi per non accorgersi che, quello che stavano palpando con tanto piacere, era in realtà un ragazzo e non una ragazza.
    Ma forse con quei pantaloni di pelle, che gli erano costati un occhio della testa, aveva osato troppo. Erano talmente aderenti da lasciare ben poco all’immaginazione, e forse aveva esagerato un tantino anche con il trucco, visto che lui, solitamente, usava solo un po’ di matita e dell’eyeliner, ma aveva fatto tutto con il solo scopo di impressionare lui.
    Raggiunse uno spazio libero praticamente di fronte alla console.
    Ancora non si era accorto della sua presenza, perché una brutta rana bionda gli stava sussurrando qualcosa all’orecchio, e lui sembrava apprezzare molto, ma, l’alcool che cominciava a circolare nel suo organismo, gli disse che ben presto non avrebbe avuto occhi che per lui, e tutte le ragazze in quella stanza sarebbero magicamente evaporate.
    Lo guardò un’ultima volta, prima di dargli le spalle e cominciare a muoversi lentamente, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno ed i suoi muscoli fossero ancora intorpiditi.
    Stava tremando per il nervosismo, o forse anche per l’eccessiva dose di adrenalina che quel bicchiere di birra gli aveva dato.
    Oppure era solo la paura di sentire i suoi occhi su di sé per la prima volta. Quel pensiero scosse anche il più piccolo e remoto angolo del suo corpo.
    Socchiuse lentamente gli occhi e si voltò verso la console.
    Uno… due… sentì il cuore salirgli all’altezza della carotide e tappargli le orecchie, ovattando il rumore della musica che lo circondava… tre.
    Sollevò piano le palpebre, come se le sentisse improvvisamente troppo pensanti, e si ritrovò a fissare due iridi color cioccolata, rivolte proprio verso la sua direzione.
    Lo stava guardando.
    Bill continuò a ballare come se niente fosse, urtando involontariamente i suoi vicini, mentre, con la coda dell’occhio, lo vide chiedere qualcosa ad un suo amico. Quello lo fissò e scosse il capo.
    Un sorriso di puro orgoglio spinse in alto gli angoli della sua bocca.
    Gli aveva chiesto se sapeva chi fosse, aveva catturato la sua attenzione, ma doveva fare di più. Doveva spingerlo ad avvicinarsi.
    Tornò a guardarlo, incrociando nuovamente il suo sguardo, che non ne voleva proprio sapere di lasciarlo andare.
    Accettò che un ragazzo gli si strusciasse contro la schiena ed un altro gli si piazzasse di fronte, coprendogli parzialmente la visuale.
    Ma ciò che accadde un minuto più tardi gli fece scoppiare il cuore in petto; lo vide spostarsi appena per poter continuare a guardarlo.
    Bill poggiò le braccia sulle spalle del biondino che aveva di fronte, mentre i suoi occhi non si scostavano da quel mare di cioccolata.
    La loro sembrava quasi una gara, l’ultimo che distoglieva lo sguardo era il perdente, ma erano entrambi molto caparbi e nessuno dei due sembrava voler perdere quella sfida che in realtà non c’era.
    La sensazione dei suoi occhi su di sé era come fuoco sulla pelle, si sentiva bruciare e piccoli brividi gli scuotevano la spina dorsale.
    Lo faceva sentire in soggezione e nudo come un verme; non si era mai sentito in quel modo prima di allora.
    Si distrasse un attimo, perché il biondino gli stava dicendo qualcosa che lui non riusciva a sentire, ma, quando tornò a guardare verso la console, i suoi occhi si sgranarono impauriti.
    Lui non c’era più, erano rimasti solo i suoi amici.
    Diede uno sguardo sulla folla, nella speranza di intravederlo lì attorno, ma non c’era, sembrava essere sparito all’improvviso.
    Perché se n’era andato? Lo aveva forse infastidito? Magari era uno di quei tipi a cui non piace essere fissati con insistenza, e lui era stato un vero cretino! Aveva mandato a monte il suo piano ancora prima di cominciare.
    Il sorriso che aveva avuto sulle labbra fino a quel momento si spense, e fece per allontanare i ragazzi, che continuavano a strusciarsi addosso a lui, ma sentì una voce alle spalle che intimava ai due di sloggiare.
    Ebbe come la sensazione che il tempo smettesse di scorrere e che tutti lì attorno si bloccassero, come se fossero state solo un sacco di statue dall’aspetto straordinariamente umano.
    Sentì qualcosa di caldo e piacevole colpirgli l’orecchio e, pochi secondi dopo, capì che si trattava delle sue labbra.
    «Ciao», gli disse, solleticandogli la pelle con il suo fiato caldo.
    Se non fosse stato troppo rimbambito da quella situazione, sarebbe sicuramente finito sul pavimento come un sacco di patate.
    «Ciao», gli rispose lui, continuando a dargli le spalle.
    Sperò che la sua voce non vacillasse troppo, rilevando la sua paurosa agitazione.
    «Stavi cercando me prima?», gli domandò il ragazzo, ed immaginò che in quel momento stesse sogghignando, quello che tutte a scuola chiamavano il suo “sorriso assassino”; ti bastava vederlo una volta per sentire le ginocchia piegarsi come due deboli fuscelli.
    Allora non se n’era andato, si era solo spostato per poter continuare ad osservarlo, senza però essere visto.
    «Mi dispiace», mentì Bill, sentendo crescere dentro di sé una smisurata quantità di audacia, «ma io non conosco nemmeno il tuo nome.»
    «A quello posso rimediare subito», rispose il ragazzo. «Mi chiamo Tom, e tu invece?»
    Il moro sorrise, ma non gli rispose. Non poteva rivelargli la sua vera identità, e poi, anche se l’avesse fatto, Tom non sapeva nemmeno chi fosse, ma preferiva mantenere quell’ombra di mistero.
    Lo sentì ridacchiare e quel suono lo fece vibrare come una corda di violino.
    «Ho capito, non me lo vuoi dire, preferisci mantenere il segreto.»
    «Sei un tipo sveglio», si complimentò Bill, mentre continuava a muoversi lentamente.
    «Oh, ti ringrazio», rispose Tom, con una nota di ironia nella voce. «E dimmi, hai ricevuto l’invito per questa festa?»
    «No», gli rispose sinceramente il moro, mostrandosi divertito. «Ora mi caccerai via? Ti ho rivelato il mio segreto.»
    Non lo sentì dire una sola parola e per un attimo temette che stesse seriamente prendendo in considerazione l’idea di buttarlo fuori; forse aveva osato troppo ed aveva dimenticato la regola numero uno: niente imbucati.
    Ma pochi secondi dopo avvertì qualcosa posarsi sui suoi fianchi, insinuandosi appena sotto al bordo della maglia.
    Dita bollenti e leggermente callose. Le sue dita.
    La vista gli si annebbiò leggermente; aveva preparato quel piano, calcolando ogni possibile ipotesi, ma non si era preparato psicologicamente a tutto quello.
    Le sue dita sulla pelle lo avevano sconvolto. Era come se una scossa elettrica si propagasse da lì sotto, arrivando fino al cuore.
    «Per questa volta farò un’eccezione.»
    «Ti ringrazio», gli rispose Bill, spingendosi appena contro di lui.
    Sentì la sua schiena colpirgli il petto; i tessuti delle loro maglie che si sfregarono.
    Quando provò ad allontanarsi fu Tom a riavvicinarlo a sé, non lasciando nemmeno un centimetro di spazio fra i loro corpi, eccessivamente accaldati in quel momento.
    Era così sbagliato saltargli addosso di fronte a circa cento persone?
    Sentiva ogni singolo senso all’erta, pronto a captare anche il più piccolo dettaglio.
    Una delle treccine del moro gli stavano solleticando il collo e sentiva il suo profumo invadergli polmoni e cervello, mandandolo in tilt.
    Le mani ruvide di Tom viaggiavano sul suo ventre glabro, e quelle carezze lo stavano portando al limite, oltre il quale vi era la pazzia.
    Poggiò il capo contro la spalla del ragazzo e socchiuse gli occhi, ma li riaprì di colpo e si ritrovò a boccheggiare in cerca d’aria quando sentì il naso di Tom scorrere contro la pelle del suo collo.
    «Hai un buon profumo», gli sussurrò il moro, e per Bill fu pura estasi.
    Aveva perso il contatto con il mondo; la sua mente viaggiava verso lidi lontani, immersi in scenari irreali e meravigliosi.
    «… E mi piacerebbe guardare i tuoi occhi.»
    I piedi del moro ritoccarono drasticamente terra con un tonfo.
    Era riuscito a gestire la situazione fino a quel momento, ma un faccia a faccia… Sentì un rivolo di sudore freddo colargli lungo la tempia. Provò a deglutire un paio di volte quel grosso groppo che gli si era formato in gola, ma furono tutti tentativi inutili.
    Una generosa quantità di paura gli attanagliò come una morsa la bocca dello stomaco, mentre il ragazzo, sempre tenendolo per i fianchi, lo faceva voltare verso la sua direzione.
    Bill tenne lo sguardo basso, ma, quando Tom gli sollevò il mento con le dita, fu costretto ad alzarlo, incrociandolo con quello del ragazzo.
    Cavolo, visto da così vicino era ancora più bello.
    Rimase a fissare il suo viso in silenzio, probabilmente con un’espressione da ebete, mentre Tom sembrava studiare il suo, come un antiquario che si trova di fronte ad un’opera d’arte.
    «I tuoi occhi sono fatti d’oro… stai attento o qualcuno potrebbe rubarteli.»
    Bill sbatté le palpebre, confuso. Stai attento? Allora lui sapeva?
    «Sai che sono un ragazzo?», gli domandò timoroso, pronto a ricevere una madornale batosta.
    «Sì», gli rispose Tom con un mezzo sorriso.
    «Ma… come?...»
    «Beh, la tua voce non si può definire molto… aggraziata, dunque ne ho dedotto che o eri un ragazzo o una ragazza con seri problemi ormonali, e poi è un po’ difficile non notare il tuo pomo d’Adamo, non trovi?»
    L’aveva scoperto; forse faceva ancora in tempo a scappare prima che gli ficcasse la testa dentro al water, ma le sue gambe non ne volevano proprio sapere di muoversi.
    «Perché sei ancora qui allora?», gli domandò, spostando tutto il suo gracile peso su una gamba sola.
    Tom lo osservò a poi sorrise. «Perché amo tutto ciò che è bello, e la bellezza per me non ha sesso.»
    Dunque si era avvicinato a lui non per conoscerlo, ma solo per… osservarlo? Come se fosse stato un qualsiasi oggetto da arredamento da mettere sopra ad una mensola.
    «E tu sei veramente molto bello.»
    «Ti ringrazio», gli disse Bill con un sorriso tirato, mentre si sottraeva al tocco del ragazzo.
    Era davvero stato così cretino da pensare che Tom gli si fosse avvicinato perché ci teneva a conoscerlo? Era stato attirato dalla sua bella figura, come tutti gli altri lì dentro; lui non voleva essere apprezzato solo per ciò che il trucco riusciva a fare, voleva che le persone si interessassero a ciò che aveva dentro a quell’involucro fatto di carne.
    E Tom non era il tipo; non si era guadagnato il soprannome di Sex Gott perché passava intere ore a chiacchierare con le ragazze con cui usciva.
    Si era fatto imbambolare dal suo bell’aspetto, ma il Tom di cui era innamorato lui non era il ragazzo che aveva di fronte a sé in quel momento, ma la figura che aveva creato dentro alla sua testa, una figura senza alcun difetto, che lo apprezzava per ciò che era, che restava per delle ore ad ascoltarlo, ma non era altro che una stupida ed infantile fantasia; il principe azzurro esisteva solo nelle favole.
    Sentì gli angoli degli occhi pizzicargli per l’umiliazione.
    «Scusami, ma ora devo andare», gli disse lui, ma sentì una mano del moro stringersi attorno al suo polso.
    «Come? Vai già via?»
    «Credo di essere rimasto fin troppo, e poi domani c’è scuola.»
    «Permettimi di convincerti a restare», insistette Tom, senza mollare la presa. «Vieni con me, ti mostro il giardino. E’ un posto sicuramente più tranquillo.»
    Bill parve riluttante all’idea, ma alla fine lo seguì.
    In fin dei conti cos’era un’ora in più passata con lui? Da domani avrebbe cominciato a dimenticarlo, anche se già sapeva che sarebbe stato dannatamente difficile e doloroso.
    Tom lasciò la presa sul suo polso e lo prese per mano, conducendolo verso la porta finestra che dava sul giardino.
    Quando Bill oltrepassò la soglia non poté fare a meno di pensare che fosse meraviglioso. Era immenso e pieno di piante, sembrava quasi di trovarsi nella giungla.
    L’acqua della piscina rifletteva la luce della luna, unica fonte di illuminazione lì fuori, oltre a quella che proveniva dall’interno dell’abitazione.
    Tom lo fece accomodare su un morbido sdraio bianco.
    Si avvicinò al grande barbecue in pietra ed aprì un piccolo frigo che si trovava lì sotto.
    «Ti va di bere qualcosa?», gli domandò, come un perfetto padrone di casa.
    Avrebbe preferito dirgli di no, quella birra era stata più che sufficiente, ma annuì comunque; gli sembrava da maleducati rifiutare.
    Tom tornò da lui con un cestello fra le mani, dal quale spuntava il collo di una bottiglia.
    «Spumante?», gli domandò lui, curioso.
    «Champagne», lo corresse il moro, mentre tentava di togliere il tappo.
    Quelli tenevano una bottiglia di champagne in giardino? E lui che ne vedeva una sola di spumante, pure di quelli sottomarca, solo la notte di Capodanno.
    «E’ tranquillo qui», commentò, mentre si guardava attorno.
    «Già, ho proibito l’accesso al giardino; voglio sempre avere un posto dove potermi rilassare un po’.»
    Finalmente Tom fece saltare il tappo, che atterrò ad un metro scarso da loro.
    «Mi dispiace, ma non ho trovato i bicchieri, ci toccherà bere direttamente da qui.»
    Avrebbero condiviso la stessa bottiglia; possibile che bastasse una cavolata simile per farlo agitare come una ragazzina?
    Il primo a servirsi fu Tom, il quale gli allungò poi la bottiglia.
    Ne bevve un solo sorso; nonostante fosse molto buono preferì non abusarne, o a casa ci sarebbe tornato a quattro zampe.
    «Allora… frequenti la mia stessa scuola?»
    «Forse», rispose vago Bill, facendogli un sorrisino.
    «Vuoi ancora fare il misterioso, dunque se ti chiedessi di levarti la maschera mi diresti di no, vero?»
    «Te l’ho detto, sei un ragazzo molto sveglio.»
    «Sei l’unico a pensarlo.»
    «Ma che dici? Sei il primo della tua classe ed i professori non fanno altro che elogiarti.»
    «Ah-ah», Tom lo indicò e fece un sogghigno. «Allora sai chi sono, prima mi hai mentito.»
    Diamine, che deficiente!
    Doveva fare attenzione a ciò che diceva o la sua copertura sarebbe saltata e lui si sarebbe ritrovato ad annegare in un mare di cacca.
    «E va bene, lo confesso. Sapevo già chi fossi.»
    «E volevi conoscermi?»
    Bill ringraziò la semi oscurità che coprì le sue guance in fiamme.
    «Perché mai lo pensi?», gli domandò lui, come se fosse esterno ai fatti.
    «Beh, non hai fatto altro che fissarmi.»
    «Anche tu mi stavi fissando», gli fece notare il moro. «Dunque, magari, quello che voleva conoscermi eri tu.»
    «Colpito», ammise il ragazzo, sollevando le mani in alto in segno di resa. «Hai ragione, volevo conoscerti.»
    Era possibile che il suo cuore fosse esploso in quel momento e si fosse sparpagliato in tutto il suo corpo? Perché riusciva a sentirlo anche nella punta dei piedi.
    «E come mai?»
    «Mi sembri un tipo interessante.»
    «Oh, lo sono», scherzò Bill, sollevando un angolo della bocca. «Ho una vita così interessante che potrebbero scriverci un libro, e sicuramente diventerebbe un best seller.»
    «E sei anche autoironico, è una qualità che apprezzo molto nelle persone.»
    Ok, forse il Tom dentro alla sua testa era più reale di quanto immaginasse.
    «Ti ringrazio, lo prendo come un complimento.»
    «Oh, ma lo è.»
    Cavolo, stava chiacchierando con Tom Kaulitz, lui era lì e ci stava chiacchierando. Se glielo avessero detto una settimana prima non ci avrebbe mai creduto.
    Gli era piaciuto dal primo giorno che l’aveva visto entrando al liceo, e insieme a lui molte altre persone sembravano averlo apprezzato. Nel giro di due mesi la sua popolarità era cresciuta a dismisura, tanto che anche i ragazzi dell’ultimo anno lo avevano voluto conoscere, sperando di diventarci amici.
    Oltre ad avere un bell’aspetto era un ottimo studente, ed eccelleva egregiamente anche nello sport.
    Se Bill avesse dovuto dare un nome alla perfezione le avrebbe dato quello di Tom.
    Ma, essendo così perfetto, era altrettanto irraggiungibile, per lo meno per un tipo come lui, classificato l’ultimo degli sfigati.
    Eppure non c’era qualcun altro con Tom quella sera, e quella situazione lo fece sentire una persona speciale, almeno per quelle poche ore.
    «Raccontami un po’ di te.»
    «Di me?», gli domandò Bill, sbalordito. «Non ho niente da raccontare; te l’ho detto, la mia vita non è così interessante.»
    «Non deve per forza essere interessante per essere raccontata.»
    «O… ok», il moro deglutì appena, torcendosi leggermente le mani. «Vivo insieme ai miei genitori, a scuola vado bene; non sono un supergenio, ma non faccio nemmeno così tanto schifo. Una volta finito il liceo mi piacerebbe viaggiare, oppure iscrivermi ad una scuola di moda.»
    «Ti piace la moda?»
    Diamine, la sua linguaccia! Quella era una delle cose che doveva tenere per sé, visto che, a chiunque l’avesse raccontato prima di quel giorno, l’avevano poi preso in giro, etichettandola come un’aspirazione da finocchio.
    «Sì, molti dei vestiti che indosso li ho disegnati io stesso.»
    «Notevole», si complimentò Tom. «A me piacerebbe studiare fotografia, sono un vero patito, ma mio padre non vuole sentire ragioni, per lui dovrei fare l’avvocato o il giudice e pretende che mi iscriva a legge.»
    «Ma si parla del tuo futuro, dunque dovresti essere tu a decidere, no?»
    Il moro scoppiò a ridere e Bill sentì un brivido percorrergli la schiena.
    «Non conosci mio padre, lui deve sempre pianificare tutto, ed ogni cosa deve essere perfetta. Io mi faccio letteralmente il culo per essere il primo in tutto a scuola, solo perché mi obbliga a farlo, e sono anche certo che sarà lui a dirmi con chi dovrò sposarmi e quanti figli fare.»
    Bill rimase sbalordito dalle sue parole; aveva sempre pensato, e non sono lui, che la vita di Tom dovesse essere tutta rosa e fiori, invece quella era solo una semplice facciata, dietro vi era molto di più; un padre che negava al proprio figlio la libertà di scelta.
    «Mi dispiace, non… non lo sapevo.»
    «Non lo sa nessuno, lascio semplicemente che gli altri credano ciò che vogliono, così che possano dirmi alle spalle che non merito tutto ciò che ho. Se dicessi la verità peggiorerei solo le cose.»
    «Non preoccuparti, non dirò niente ad anima viva», gli assicurò il moro, «anche perché non avrei nessuno a cui dirlo.»
    «Che intendi dire?», gli domandò il ragazzo, inclinando appena il capo.
    «Niente, niente», gli rispose Bill, scuotendo il capo. «Fa finta che non abbia aperto bocca. Comunque ti parlano alle spalle solo per invidia; cavolo tu sei Tom Kaulitz, sei…» Quella parola gli morì in gola, insieme al coraggio di dirla di fronte al diretto interessato.
    «Sono?», insistette il moro, incuriosito.
    Bill si mordicchiò appena il labbro, mentre annegava in quel mare di delizioso cioccolato.
    «…perfetto.»
    «Ti ringrazio per il complimento.»
    In quel momento avrebbe tanto voluto avere un defibrillatore a portata di mano, perché il sorriso che il ragazzo gli aveva rivolto aveva causato un arresto cardiaco al suo povero cuore.
    Ma quel momento vene interrotto da un rumore strano, come il ruggito di un leone.
    «Cos’è stato?»
    Bill abbassò il capo, arrossendo fino alla punta del capelli.
    «Il mio stomaco», confessò imbarazzato. Per il nervoso non aveva mangiato niente a casa, ma il suo stomaco stava cominciando a protestare giustamente.
    «Hai fame?», gli domandò il moro, piuttosto divertito.
    «Un pochino…»
    «Nel frigo dovrebbero esserci ancora le fragole che ha lasciato mia madre.»
    «Guardo io», si offrì lui, mentre si alzava dallo sdraio.
    Si avvicinò al minifrigo e si piegò in avanti, recuperando una piccola ciotola, la quale conteneva delle enormi fragole intrise nel cioccolato.
    Sollevandosi buttò casualmente uno sguardo verso il vetro di una delle vetrate, e notò che Tom sembrava molto interessato a… qualcosa.
    E, calcolando la traiettoria, quel qualcosa era lui, o meglio una parte di lui.
    Si sollevò del tutto, voltandosi verso il ragazzo, che lo stava guardando con un sorrisino, per niente angelico.
    «Mi… stavi fissando il sedere?», gli domandò, stupendosi lui stesso di avergli fatto quella domanda.
    Tom rise nuovamente e sollevò appena le spalle.
    «Mi ci è caduto l’occhio, lo ammetto.»
    Oddio, gli aveva appena confessato che gli aveva fissato il sedere!
    Ma Bill non provò imbarazzo, sentì qualcosa di strano dentro di sé, qualcosa che non c’era mai stato.
    «E’ da maleducati.»
    «Ehi! Io sono solo una povera vittima della situazione», si discolpò il moro. «E’ solo colpa tua, visto che vai in giro con quei pantaloni.»
    Beh li aveva comprati apposta, ma questo non glielo poteva mica confessare.
    «Ah no, non fare lo scarica barile dando la colpa a me, sei tu quello che è stato beccato in flagranza di reato.»
    «La prego signor giudice, mi perdoni», gli disse in tono divertito il moro, «le prometto che farò il bravo da oggi in poi, niente più occhiatine.»
    «Sarò clemente», gli disse Bill, usando un tono di voce serio. «Per questa volta passi, e si ritenga fortunato.»
    Entrambi i ragazzi scoppiarono a ridere, mentre Bill si risiedeva sullo sdraio.
    «Sei sicuro che tua madre non si arrabbierà?»
    «Nah, e poi adesso è fissata con le diete, in fin dei conti la stai solo aiutando.»
    «Mangiane una anche tu», propose al ragazzo, «o mi sentirò in colpa.»
    «E va bene.»
    Bill afferrò una di quelle succulente fragole, e vide Tom fare lo stesso.
    Le addentarono nel medesimo istante, ed il moro sentì le papille gustative in festa.
    «Sono deliziose», disse, leccandosi le labbra. «Non ho mai assaggiato niente di più buono in vita mia, lo giuro.«
    Non si era accorto che gli occhi di Tom non avevano smesso di osservare la sua bocca nemmeno per un istante.
    «Non so come faccia tua madre a stare a dieta quando può avere queste meraviglie; sono… paradisiache!»
    «Io conosco qualcosa di più buono…»
    «Più di queste?», gli domandò Bill. «Impossibile! Credo che niente potrebbe batterle.»
    «Se vuoi te lo posso dimostrare.»
    «Vediamo.»
    Tom afferrò la ciotola delle fragole, che si trovava fra lui ed il moro, e la sistemò alla sua destra.
    Bill sembrò non accorgersi nemmeno del fatto che si era avvicinato.
    Lo vide prendere una delle fragole e staccarne la punta di cioccolata con i denti; ciò che successe dopo fu così veloce da fargli domandare se era accaduto per davvero.
    Tom lo aveva afferrato per il mento, avvicinandolo maggiormente al proprio viso; aveva poi spinto il pezzetto di fragola dentro alla sua bocca con la punta della lingua, facendo sfiorare appena le loro labbra.
    «Allora?», gli domandò il ragazzo con un mezzo sorriso.
    Lui era rimasto lì, con bocca ed occhi spalancati, quasi avesse appena visto un fantasma passargli di fronte.
    Aveva veramente fatto ciò che aveva fatto? Era tutto reale? Avrebbe tanto voluto darsi un pizzicotto ad un braccio per vedere se era sveglio, ma si trattenne.
    Masticò quel piccolo pezzetto di fragola e le sue papille gustative ebbero un orgasmo di gruppo.
    «Ti piace?», gli chiese Tom, abbassando appena il tono della voce, come se non volesse farsi sentire da nessuno, ma chi lo avrebbe mai udito con tutto quel fracasso?
    Bill annuì piano, ancora sotto shock.
    «Te l’avevo detto che c’era qualcosa di molto più buono.»
    Dio, dovevano dargli tutta la forza del mondo intero per impedirgli di saltargli addosso in quel preciso istante.
    Diamine, sapeva che era sexy, ma non così esageratamente sexy!
    E lui era un cretino che lo fissava a bocca aperta; Tom doveva averlo anche notato, perché le sue labbra si erano arricciate in un piccolo sogghigno.
    «Tutto bene?
    «I… Io… io credo… credo di sì», balbettò il moro, completamente nel pallone.
    «Sei arrossito», gli fece notare il ragazzo.
    Bill si portò le mani sulle guance bollenti, abbassando lo sguardo sulle proprie ginocchia. Che figuraccia tremenda!
    «Non te ne devi vergognare, è bello vedere qualcuno che riesce ancora ad arrossire.»
    «Ma è comunque imbarazzante», pigolò lui.
    «Non devi provare imbarazzo con me.»
    Certo, la faceva facile lui! Non aveva di fronte il ragazzo di cui era innamorato dal primo giorno di liceo.
    «Vorrei tanto avere la mia macchina fotografica in questo momento», gli confessò il ragazzo.
    «Per quale motivo?», gli domandò Bill, incuriosito.
    «Mi sarebbe piaciuto farti una foto, saresti un soggetto perfetto.»
    Ed ecco che la sua faccia riassumeva la tonalità di un pomodoro maturo.
    «Tu però lo stai facendo apposta!»
    Tom ridacchiò appena. «Ero sincero, non volevo farti arrossire. Non ho mai visto nessun altro come te.»
    Questo gli faceva tristemente capire che Tom, a scuola, non sapeva nemmeno che lui esistesse; ma se ne sorprendeva per caso?
    «L’avrai già detto ad un sacco di persone…»
    «Non è una tecnica di rimorchio, sto dicendo la verità; il tuo viso, o meglio ciò che riesco a vedere, è praticamente perfetto. Saresti un modello molto ambito.»
    «Io non sono affatto un modello», ridacchiò il moro, scuotendo i capelli corvini.
    «Ti sottovaluti.»
    «Senza questa maschera non penseresti lo stesso di me.»
    «Vogliamo provare?»
    Tom lo fissò intensamente negli occhi, ubriacandolo con il proprio sguardo, mentre afferrava i bordi inferiori della maschera scura.
    Riuscì a scoprire solo una piccola porzione di naso, prima che Bill gli afferrasse le mani, bloccandolo.
    «No, ti prego…»
    «Ti vergogni di mostrarmi il tuo viso?», gli domandò il ragazzo, confuso.
    Sì…
    «E’ solo che devo rimanere avvolto nel mistero», mentì lui con un sorrisino, «altrimenti questo momento andrebbe in frantumi.»
    «Va bene, non toccherò più la tua maschera se tu non vorrai.»
    «Grazie…»
    Rimasero in silenzio per alcuni minuti, entrambi in ascolto degli schiamazzi degli invitati, che sembravano divertirsi parecchio.
    Forse aveva rovinato tutto; gli aveva dimostrato che in realtà non era altro che un ragazzino insicuro, poi non aveva nemmeno provato a baciarlo per davvero. Magari pensava che lo avrebbe rifiutato, ma non si sarebbe mai sognato di farlo, anche se aveva un po’ paura a dire il vero. L’unica cosa che aveva provato a baciare in quegli anni era stata la sua mano per fare le prove, ma mai un altro ragazzo.
    Temeva di non essere all’altezza; Tom poi aveva baciato un sacco di ragazze, dunque aveva un bel po’ di esperienza alle spalle. Lui ci avrebbe solo fatto una pessima figuraccia.
    Sospirò sconsolato e sollevò lo sguardo, spaventandosi appena quando vide che Tom lo stava fissando intensamente.
    Oh cielo, aveva qualcosa addosso?
    Si passò una mano fra i capelli, ma non ne pescò nessun insetto strano; allora perché lo guardava a quel modo? Dio, gli stava facendo venire i brividi.
    «C… c’è qual… qualcosa che non… non va?», gli domandò timidamente, riuscendo a stento a sostenere il suo sguardo.
    Tom socchiuse appena le palpebre e scosse il capo.
    «Mi chiedevo…»
    «Che cosa?», gli disse Bill, esortandolo ad andare avanti. Sentiva una strana sensazione di ansia dentro di sé, come se fosse in attesa di qualcosa.
    «Se io ora facessi una cosa… tu te la prenderesti?»
    «Io non… non credo.» A lui bastava che non lo riempisse di botte o insulti, per il resto avrebbe accettato qualsiasi cosa.
    Tom si leccò appena le labbra, e Bill rimase ammaliato da quel gesto, soprattutto quando la punta della lingua aveva sfiorato il labret che aveva sull’angolo sinistro.
    Rimase ad osservarlo per tutto il tempo, e ciò che vide fu il suo viso che si avvicinava; vicino, sempre più vicino.
    Si ritrovò a scrutare quelle iridi di cioccolato che fissavano le sue, mentre le loro labbra si erano sfiorate per alcuni secondi, che a lui erano sembrate intere e meravigliose ore.
    Quando il ragazzo si staccò sentì già la mancanza di quella pressione calda e piacevole.
    «Volevo sapere che gusto avessero», gli sussurrò, facendogli venire la pelle d’oca.
    «E… e di cosa… sanno?», gli domandò lui, con la stessa intensità di voce, mentre non riusciva a smettere di fissarlo, quasi una forza invisibile lo costringesse a farlo.
    «Non ne sono sicuro, dovrei… assaggiarle meglio.»
    Tom attese pochi secondi, aspettandosi una qualche possibile protesta da parte del moro, la quale non arrivò, prima di afferrargli il labbro inferiore fra le proprie, sfiorandolo appena con la punta della lingua, come se fosse stata una goccia di gelato che scivolava dispettosa lungo il cono.
    Bill sentì il proprio respiro azzerarsi ed il suo cervello andare in totale black out.
    «Fragola e cioccolato», gli rispose il ragazzo, allontanandosi di poco. «Proprio come un frutto delizioso.»
    Oddio, oddio, oddio, se quello era un altro dei suoi sogni non voleva essere svegliato proprio sul più bello.
    «Ti piace?», gli domandò, ormai alla mercé dei suoi occhi, come se ne fosse rimasto ipnotizzato,
    «Da impazzire.»
    Sentiva il suo fiato caldo sfiorargli il viso e l’aria divenne elettrica. Tutto, ogni oggetto o animale presente lì fuori, sembrava in attesa. I grilli avevano smetto di frinire, il vento di soffiare, c’era solo una gran calma.
    Stavano respirando uno l’aria dell’altro, frementi di desiderio.
    Fu Tom il primo ad aprire le danze.
    Posò delicatamente una mano sulla guancia di Bill, facendo scontrare nuovamente le loro labbra; ma le sue erano dischiuse ed assaporavano quelle del moro, quasi volessero impossessarsi di tutto il loro dolce sapore.
    Bill si ritrovò in cima ad un baratro; la testa che gli dava mille suggerimenti ed il suo corpo che ormai era arrivato al limite.
    Avvertì la mano di Tom scivolare dietro al suo collo e la sua lingua percorrere incavo fra le labbra ancora serrate.
    Era una specie di invito quello?
    Anya gli aveva insegnato due regole fondamentali del bacio: occhi chiusi e bocca aperta.
    E così fece; abbassò le palpebre e dischiuse piano le labbra, sentendo la lingua del moro che si faceva strada fra di loro, andando a cercare la sua, che ancora si nascondeva timida.
    Era così strano… Aveva sempre provato ad immaginare come sarebbe stato il suo primo bacio, e tutto ciò che sentiva erano una miriade di sensazioni sparate a mille dentro al suo cervello.
    Tentò di non ragionare troppo e di seguire l’istinto, ed anche i movimenti del ragazzo.
    Sfiorò la sua lingua con la propria e sentì Tom ritrarsi poco dopo. Aveva forse sbagliato qualche passaggio?
    «Hai… il piercing alla lingua?»
    «E’… è un problema per caso?» Oh cavolo, e lui che se lo aveva fatto perché tutti lo ritenevano fico; magari a Tom dava fastidio in qualche modo.
    «Oh no… niente affatto», gli sussurrò, prima di riprendere a baciarlo.
    Ora sì che capiva il perché tutte le ragazze con cui Tom era stato sembravano vivere sopra ad una soffice nuvoletta rosa; era bravo, dannatamente bravo.
    Non era come uno di quelli che hanno una frusta al posto della lingua, che sembrano dei formichieri intenti a farti una visita gratuita alle tonsille; no, lui si muoveva con lentezza. Il suo bacio era come un tango: passionale e altrettanto letale.
    Ti faceva desiderare che il tempo si fermasse in quell’istante per non dover più smettere.
    E lui non voleva smettere; non gli fregava niente del fatto che avesse bisogno di ossigeno per sopravvivere, sarebbe morto felicemente in quel momento.
    Avvertì il corpo del moro scontrarsi contro il proprio, spingendolo verso il basso.
    Bill obbedì docilmente, sdraiandosi sull’imbottitura e sistemando le gambe sopra allo sdraio, fra le quasi si insinuò il moro per stare più comodo.
    Incrociò le braccia dietro al collo di Tom e questo comportò il fatto che il ragazzo gli si spalmasse praticamente addosso, e a lui quella situazione piaceva parecchio; la sensazione del peso del suo corpo sul proprio era eccitante.
    Sollevò una mano per accarezzargli una guancia, ma sentì le labbra del moro storcersi appena.
    «Che… che succede?», gli domandò con un leggero fiatone.
    «Il tuo anello», gli rispose Tom.
    Accidenti, forse lo aveva graffiato involontariamente.
    Se lo sfilò dal dito, poggiandolo poi per terra.
    «Così va molto meglio», gli sussurrò il moro, baciandogli un angolo della bocca.
    Bill sorrise in totale estasi e si lasciò sfuggire un basso gemito quando avvertì le labbra di Tom scendere verso il suo collo niveo.
    Prese a succhiargli la pelle, sollevandola leggermente con i denti, ma senza fargli male.
    Ogni volta che sentiva la sua lingua sfiorarlo, il cuore sembrava fargli una tripla capriola e batteva all’impazzata.
    «Hai anche un buon sapore», gli disse il ragazzo, facendolo ridacchiare appena.
    Stava incredibilmente bene, ogni sua paura sembrava solo un lontano ricordo; Tom sapeva esattamente come farlo sentire a proprio agio, sapeva quali corde tastare.
    Si ritrovò a fissare il cielo con la bocca semi aperta, quando il moro prese a mordicchiargli il lobo, sfiorandogli delicatamente il sottile strato di pelle che si trovava dietro al padiglione.
    Gli girava la testa e davanti ai suoi occhi apparvero dei piccoli puntini bianchi ad intermittenza.
    Ormai non aveva più il controllo del suo corpo; ogni muscolo fremeva di puro piacere e sembrava avvolto dalle fiamme.
    Sollevò appena il bacino e sentì Tom gemergli nell’orecchio.
    Era il suono più bello che avesse mai sentito prima di allora…
    Il moro tornò a cercare le sue labbra, che avvolse bramosamente con le proprie.
    Quel bacio se lo sarebbe ricordato per tutta la sua intera esistenza; era un marchio permanente dentro alla sua testa.
    Sentiva la lingua di Tom stuzzicare la sua con carezze profonde e lascive, gli sfiorava il palato, giocherellava con il suo piercing; lo stava letteralmente facendo impazzire.
    Ma avvertì i suoi polmoni svuotarsi di colpo quando sentì il bacino del moro sfregare contro il suo, mentre lo teneva ben fermo dai fianchi.
    Fu come se nel suo cervello fosse scoppiata una bomba atomica.
    Era… era stato dannatamente eccitante!
    Aprì lentamente gli occhi e vide quelli di Tom cercare i suoi; le sue iridi sembrarono brillare, proprio come due diamanti.
    Anche lui stava pensando che quella situazione era strana e bellissima nello stesso momento?
    Anche lui stava pensando che avrebbe voluto sentire la sua pelle nuda sulla propria?
    Anche lui stava pensando che sarebbe stato meraviglioso fare l’amore sotto a quel cielo stellato?
    Vide le sue labbra incurvarsi in un dolce sorriso, e non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
    Sollevò di poco il viso, baciandolo con delicatezza, e per la prima volta lo sentì tremare leggermente.
    Ma, come in ogni favola, arriva il momento per la bella principessa di dover fare ritorno al proprio castello, e Bill avvertì il proprio cellulare squillare, mandando in frantumi quell’atmosfera irreale.
    Lo afferrò con una certa fatica, e vide che era sua madre quella che lo stava chiamando.
    «Ehi mamma», la salutò, scostando lo sguardo da quello di Tom, un po’ imbarazzato. «Come? Proprio adesso? Non puoi… Sì, lo so che domani c’è scuola, ma io… Mamma per favore!... ok… Sì, sto uscendo», mise fine a quella telefonata con uno sbuffo.
    «Devi andare?», gli chiese Tom, intento a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli.
    Bill rabbrividì appena ed annuì. «Sì, mia madre mi sta aspettando qui fuori.»
    «Ho capito…»
    Il moro si sollevò da lui, lasciandolo libero di muoversi.
    Sentì il proprio corpo incredibilmente freddo senza quello di Tom sopra di sé; era come se gli avesse prosciugato tutto il calore, ed era una sensazione così brutta.
    Si diede una rapida sistemata a capelli e vestiti, prima di rimettersi in piedi, ma avvertì la mano del moro chiudersi attorno al suo polso.
    «Ci… ci possiamo rivedere?»
    L’incertezza nella sua voce ed i suoi occhi imploranti gli fecero andare in frantumi il cuore, provocandogli un grosso groppo all’altezza della gola.
    Lui non poteva…
    «E’ meglio che tu non sappia che io sia veramente», gli rispose con un triste sorriso, mentre si liberava con gentilezza dalla sua presa. «E’ stato tutto bellissimo, me lo ricorderò per sempre… Addio Tom.»
    Corse via quando sentì le lacrime infrangere quell’invisibile barriera, percorrendogli le guance ormai esangui.
    Sua madre non gli disse nulla quando lo vide arrivare in quello stato, perché sapeva che c’erano anche lacrime che lei non poteva né vedere né asciugare in quel momento.
    Si limitò a rimboccargli le coperte una volta arrivati a casa e a cullarlo fino a quando non lo vide addormentarsi fra le sue braccia.
    Aveva sognato quella notte, me era arrivato il momento di rimettere i piedi per terra, tornando alla dura e triste realtà.

    *



    Bill osservò il proprio riflesso allo specchio e cercò di applicare uniformemente il correttore sul succhiotto che spiccava sul suo collo.
    Nonostante si fosse messo una leggera sciarpa quel giorno, non voleva che occhi indiscreti gli facessero domande alle quali lui non voleva rispondere.
    Ma quel piccolo segno rossastro era la prova tangibile di ciò che aveva vissuto e sarebbe rimasto per sempre lì, anche una volta scomparso.
    «Cavolo, si vede ancora», sbuffò il ragazzo, storcendo appena il naso.
    Beh non poteva fare miracoli dopotutto.
    Si risistemò la sciarpa attorno al collo, facendo attenzione a coprirlo completamente.
    Aprì poi il rubinetto per sciacquarsi le mani, ma sentì il cuore schizzargli in gola quando udì uno dei cubicoli dietro alle sue spalle aprirsi.
    La terra sotto ai suoi piedi si sgretolò quando vide che era stato Tom ad aprire la porticina, ed in quel momento era lì fermo che lo fissava.
    Il suo sguardo lo fece rabbrividire.
    «T... Tom», mormorò, accorgendosi subito dopo di averlo chiamato con il suo nome. «C… cioè si… signor Kaulitz, deve… deve usare il… lavandino?»
    Il moro non gli rispose e si avvicinò a lui.
    Bill gli fece spazio, scordandosi addirittura di asciugarsi le mani.
    Tenne lo sguardo basso e si mordicchiò il labbro. E pensare che solo poche ore prima quello stesso ragazzo, che ora lo stava palesemente ignorando, lo aveva baciato con dolcezza.
    Gli veniva da piangere e fece dietrofront, incamminandosi verso la porta, prima che Tom lo potesse vedere.
    «Ehi tu», lo chiamò il moro.
    Bill venne quasi colto da un infarto sentendo la sua voce; si stava rivolgendo proprio a lui.
    Magari voleva usarlo come un asciugamano oppure dargli un pugno solo per divertirsi un po’.
    Deglutì a fatica e si voltò lentamente verso il ragazzo.
    «S…sì?»
    Vide Tom cercare qualcosa dentro alla tasca dei suoi jeans, avvicinandosi nuovamente.
    Sentì un rivolo di sudore freddo percorrergli la schiena lungo la spina dorsale.
    «Tu…» gli disse serio.
    Oddio ora lo avrebbe picchiato; come glielo spiegava a sua madre quel nuovo livido?
    Strinse gli occhi, preparandosi al peggio.
    Ma non sentì nessun pugno colpirgli lo zigomo, avvertì solo qualcosa di freddo posarsi sul palmo della sua mano.
    Aprì lentamente una palpebre ed il suo cuore perse un battito quando vide che si trattava del suo anello, lo stesso anello che aveva indossato la sera prima per la festa.
    Sgranò appena gli occhi, puntando poi lo sguardo in quello di Tom.
    Lui sapeva?
    Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ma fu Tom a parlare prima di lui.
    «Lo hai dimenticato ieri sera, ho pensato che lo rivolessi indietro; è quello che indossi sempre, non è vero?»
    Quella frase lo colpì come una secchiata d’acqua ghiacciata in pieno viso.
    Come faceva a sapere che quello era il suo anello preferito?
    «I… io… grazie», balbettò incredulo il ragazzo.
    «Prego… Bill.»
    Rimase a guardarlo mentre usciva dal bagno, lasciandolo lì da solo.
    Conosceva il suo nome, sapeva chi era; la sera prima, allora, gli aveva mentito.
    Com’era possibile?
    E solo allora un timido pensiero fece capolino nella sua testa; che avesse sbagliato tutto fino a quel momento?
    Tom lo conosceva bene il suo nome.
    Tom lo osservava con un sorriso quando lo vedeva litigare con il suo armadietto perché non si apriva mai.
    Tom lo ascoltava canticchiare quando credeva di essere da solo.
    Tom lo aveva notato il primo giorno di scuola; quel ragazzino pallido ed impaurito, ma dagli occhi color dell’oro.
    Tom arrossiva quando si accorgeva che lui lo stava guardando in corridoio o in cortile.
    Se Bill avesse saputo tutte quelle cose non si sarebbe stupido di sentire il cuore del moro scoppiare di gioia quando lo aveva visto entrare nel suo salotto, cercandolo con lo sguardo, attirando a tutti i costi la sua attenzione.
    Non avrebbe trovato difficile credere che i suoi sentimenti non percorrevano una strada a senso unico, ma venivano segretamente ricambiati, come segretamente lui li aveva tenuti nascosti fino a quel momento.
    Era stato un vero idiota; lui stesso si era tappato gli occhi di fronte ai segnali che Tom gli lanciava, nella speranza che li recepisse.
    A Tom lui piaceva.
    Tom…
    «Tom!», urlò il suo nome, aprendo di scatto la porta del bagno.
    Corse, corse e sentì il cuore leggero come le ali di una farfalla.
    Corse verso quella nuova e meravigliosa consapevolezza che stava sbocciando dentro di lui.
    Chi dice che i sogni debbano durare solo una notte?

    …Due mesi dopo…



    Gli esami di maturità si stavano inesorabilmente avvicinando ogni giorno di più; il suo cervello era ormai completamente andato, sventolava bandiera bianca, ma per fortuna c’era una piacevole distrazione che gli evitava di impazzire del tutto.
    Camminava per il corridoio con il quaderno di storia incollato al naso; nel frattempo pregava, accantonando per un attimo il fatto che fosse ateo, nella speranza di non essere interrogato. La sera prima aveva avuto ben altro a cui pensare, ed il libro di storia era rimasto sul pavimento per diverse ore, abbandonato a se stesso.
    Con quel fracasso non sarebbe riuscito a memorizzare nemmeno una data; i suoi tentativi di assimilare almeno qualche nozione, per lo meno di che diavolo avesse parlato durante la lezione la sua professoressa, vennero interrotti da qualcuno.
    Sentì un braccio avvolgergli la spalla e delle morbide labbra poggiarsi sulla sua tempia.
    «Devo studiare», mugolò lui, sventolando il quaderno con aria affranta.
    «Buongiorno anche a te», lo salutò Tom con un finto broncio. «Io sto bene, grazie per l’interessamento.»
    «E dai», gli disse, pungolandogli appena il fianco con un dito, «lo sai che potrei essere interrogato, e poi è colpa tua se non ho studiato niente.»
    Tom arricciò le labbra in un sogghigno, ed il moro ebbe l’impulso di gettare all’aria il quaderno, sbattendolo contro ad un muro.
    «Tu non hai specificato che materia dovessi studiare.»
    «E tu hai ben pensato che fosse anatomia pratica, non è vero?»
    Il ragazzo scrollò le spalle come se niente fosse. «E’ colpa mia se in quella ho il massimo dei voti?»
    «Il massimo…pft.» Bill roteò gli occhi al soffitto, divertito. «Al massimo un sei… meno, meno.»
    «Ah si? Non mi sembrava un sei meno meno quando continuavi a dirmi oh sì Tom, sì, più forte ti prego, spingi più forte.»
    Il moro sentì le gote prendergli fuoco e premette una mano contro la bocca del ragazzo, sentendolo poi ridere di gusto. Si guardò poi attorno, per controllare se qualcuno lo aveva sentito.
    «Sei veramente uno stronzo quando fai così.»
    «Ed è questo che ti fa impazzire piccolo.»
    «Non chiamarmi piccolo», sbuffò Bill, gonfiando appena le guance. «Sono pur sempre più grande di te.»
    «Di un solo mese.»
    «E’ sempre un mese, dunque porta rispetto ragazzino.»
    Tom lo osservò per alcuni secondi, scoppiando nuovamente a ridere; sentirlo gli provocò un profondo brivido lungo la schiena.
    Lo vide scuotere il capo ed afferrargli il viso, baciandolo lì nel bel mezzo del corridoio, incurante delle occhiatacce che gli altri stavano lanciando loro.
    «Adesso ho matematica», lo avvisò il ragazzo, sistemandosi la spallina dello zaino. «Ci vediamo all’intervallo, e segui le lezioni, non passare il tempo a pensarmi.»
    Tom sorrise e Bill rimase ad osservarlo mentre si allontanava.
    Cavolo, erano già passati due mesi da quel giorno, eppure gli sembrava solo ieri.
    Ancora si rivedeva corrergli incontro, Tom che si voltava sentendolo urlare il suo nome, e lui che gli saltava addosso, facendo finire entrambi per terra. L’aveva poi baciato senza lasciargli il tempo di dire nulla; ma in fin dei conti c’era davvero stato il bisogno di dire qualcosa?
    Avevano cominciato ad uscire per alcune sere, ed il moro si era rivelato un vero gentiluomo. Una volta, quando lo stava riaccompagnando a casa, di fronte alla porta gli aveva fatto la fatidica domanda, e quando aveva raggiunto la sua camera, due lunghissime ore dopo, si era messo ad urlare e a saltare sul letto come un pazzo, ma non era riuscito a contenersi, avrebbe volentieri gridato al mondo intero la sua felicità.
    Le cose erano andate di bene in meglio; si divertivano un sacco insieme, c’era sempre qualcosa di nuovo da fare, ed amava particolarmente quando si ritrovavano sul letto del moro, con lui che gli accarezzava i capelli con dolcezza, cullandolo fino a farlo addormentare, il più delle volte.
    Ma amava ancora di più fare l’amore con lui, e quel pensiero lo faceva sempre arrossire per l’imbarazzo. Tom sapeva essere un amante premuroso e passionale allo stesso tempo, ed ogni volta era come arrivare a toccare il Paradiso con la punta delle dita.
    Erano stati i due mesi più belli della sua vita; ogni cosa gli sembrava migliore, anche gli insulti che le persone continuavano a rivolgergli.
    Si era sentito mortificato quando avevano urlato a Tom che era diventato esattamente come lui, ma il moro si era limitato a sorridere, commentando che non tutti, purtroppo, erano dotati di un cervello che non avesse la sola funzione di un fermacarte; quel giorno lo aveva ammirato come non mai e si era ripromesso che non sarebbe stato più male per ciò che gli altri gli dicevano.
    Ma stare con Tom aveva anche portato nuovi amici nella sua vita; i pochi che gli erano rimasti accanto anche dopo aver scoperto che stava con un ragazzo.
    Ed ora non vedeva l’ora che gli esami finissero per poter passare tutta l’estate insieme a lui, prima del loro trasferimento a Berlino, dove si sarebbero iscritti all’università.
    Il moro gli aveva anche proposto di affittare un piccolo appartamento, solo per loro due, e lui si era messo a piangere come un vero cretino, ma Tom lo aveva baciato con dolcezza, dicendogli che quello era il tipo di sì che si aspettava di ricevere.
    «Bill ti muovi?», lo chiamò Anya, ferma sulla soglia della classe.
    «Arrivo», gli rispose con un gran sorriso.
    Chi se lo sarebbe mai aspettato che, un giorno, tutto quello sarebbe potuto accadere ad uno come lui? Era proprio vero, la vita alle volte può sorprenderti, proprio quando meno te lo aspetti.



    “Fai della tua vita un sogno, e di un sogno, una realtà.”



    Antoine-Marie Roger de Saint-Exupery



    Note finali: Questa cappero di OS è stata un parto O__O ci son stata dietro una settimana, è giuro sul manzo che mi taglio le dita se penso anche solo lontanamente di volerne scrivere un'altra, porca paletta. Comunque si può ritenere la mia prima os fluff? XD spero non faccia poi così cacca come in realtà penso.

    Edited by Redda - 5/9/2010, 11:43
     
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  2. ;Ema.
     
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    io non ho parole, è così.. originale, bella e.. spettacolare.
    mi sono immaginata ogni minima parte di questa storia, da un Bill fremente e agitato davanti alla porta della villa fino ai loro baci passionali.
    uno di quei film stile "cenerentola", ma ancora più emozionante e coinvolgente.
    è sempre bello leggere di sogni che si realizzano, perchè, anche se in parte, riguardano anche la nostra vita.
    *w* bravissima ♥
     
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  3. Silvy___YEAH!
     
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    Che beeella.
    Ok,ci ho messo SECOLI a leggerla tutta...ma è stupenda **
    Come tutto quello che scrivi..bravissima :nghè:
    Commovente...non so che dire.
    E' stato come guardare un film...
    aaaww.. romantico **

    Edited by Silvy___YEAH! - 24/5/2010, 15:39
     
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  4. Redda
     
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    Danke *w* mi sono maledetta da sola per sta os XD non finiva più, però è pur sempre la prima volta che scrivo qualcosa di tanto lungo *si fa i complimenti da sola*
    E' sempre bello vedere un sogno che si realizza, soprattutto se è un sogno a cui tieni particolarmente
     
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  5. Silvy___YEAH!
     
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    Sìsì..complimenti XDD
    Quanta pazienza :nonèbellissimo?:
     
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  6. Redda
     
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    XD mi sono accorta di averne tanta, veramente tanta
     
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  7. ~ F r @ n c y *
     
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    Devo davvero dirlo?! Devo davvero rispondere?
    Niente di nuovo da dire. Tu sei un genio! L'originalità e l'eleganza fatta persona! Hai unito un racconto meraviglioso ad una scrittura perfetta!
    Tom e Bill sono incredibilmente dolci da come li descrivi tu. Perfetti, reali.
    Ribadisco, sei un mito. Mi è piaciuta un sacco 'sta OS! *____*
     
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    Sono semplicemente senza parole... quando mi passa tutto ti giuro che faccio un commento decente.
     
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  9. Redda
     
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    Grazie mille (:
    E dire che a me sembra sempre di scrivere qualcosa di scontatissimo e magari anche noioso >.< Dunque se dovesse accadere sarete libere di farmelo notare, anzi no vi obbligo u_u
     
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  10. ~ F r @ n c y *
     
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    Praticamente impossibile credo, ma lo faremo! xD
     
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  11. Redda
     
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    Non si può mai sapere XD
     
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  12. Voguee.
     
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    aaw, ma è bellissima sai? **
     
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  13. Redda
     
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    ma ti ringrazio (:
     
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  14. aissha75
     
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    bellisima...intrigante....onirica... ma a me ha lasciato l'amaro in bocca... ed è solo colpa miia.... perchè tu sei bravissima e la storia è molto bella.. ma io ormai non sogno da tanto tempo.. e non credo piu' che i sogni si possano realizzare da ancora piu' tempo...ve leggere favole come questa.. bhè mi fa ancora + voglia di non raccontare la favole a mia figlia... le belle favole come questa non esistono.. danno solo false illusioni e la frase che riporti
    “Fai della tua vita un sogno, e di un sogno, una realtà.”

    per la mia esperienza si tramuta sempre in

    “Fai della tua vita una lotta prima che diventi un incubo, e dimentica quel sogno non diventerà mai una realtà.”
    scusatemi per il commento poco carino.. ho scritto solo quello che penso....
    grazie comunque per i bei momenti che mi hai dato...
    ora torno al mio incubo...

     
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  15. Redda
     
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    Poco carino? E perché dovrei considerarlo poco carino? Hai espresso ciò che pensi ed è ciò che conta.
    Anche io ormai ho praticamente smesso di seguire i miei sogni, ne ho ancora uno nel cassetto, è rimasto solo quello, ma ormai mi sono data un ultimatum perché non voglio continuara a vivere nell'illusione che possa accadere. Se succede ben venga, altrimenti me ne farò una ragione.
    Di sogni riesco solo a scriverne, ma non a viverli come facevo una volta. Sono cresciuta con l'idea che niente andrà mai come voglio, il lieto fine lo si può solo leggere e lo vivono pochi "eletti", ma per il resto gli altri vivono in un mondo utopico, aggrappandosi a false speranze per riuscire ad andare avanti.
     
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21 replies since 24/5/2010, 12:58   1104 views
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