Mayday.

« Se le tue labbra si sentono sole e secche, bacia la pioggia. »

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. ‚savannah
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (PinguSah_Ge @ 24/1/2011, 14:23)
    Allora come ben ti ho detto, non ti libererai facilmente di me!! Oh no che non lo farai!! xD
    Cmq davvero, io non so cosa dire! Il modo in cui scrivi è favoloso, riesci (per lo meno a me) a far arrivare ogni piccola sensazione anche la più insignifcante arriva chiarissima. Davvero, complimenti!! *-* Posta presto o rischio di impazzire!! xD

    Non sai quanto mi facciano piacere le tue parole, Sarah.
    Grazie mille!









    In questi giorni sto realizzando il video (anche se in ritardo) della FF.
    Mi sta prendendo un sacco di tempo, non lasciandomi quindi la possibilità di concentrarmi per scrivere il quarto capitolo.
    Entro fine settimana spero di aver finito entrambe le cose, ma non prometto nulla.
     
    Top
    .
  2. ‚savannah
     
    .

    User deleted


    E' veramente corto questo capitolo, lo so, ma non poteva succedere altro.
    Non ne sono nemmeno soddisfatta, ma è stato un parto farmi venire in mente qualcosa.

    Capitolo # 4


    Quante urla emise la mia anima in quel momento. Quante lacrime avrebbe voluto versare, se solo esse non avessero aumentato il suo dolore. Intesi quel suo richiamo come fonte di debolezza e insicurezza dimostrate, forse, quella volta e non molte altre nel corso della sua vita. Stava piangendo solamente quella notte, o lo faceva ormai da anni in silenzio? Aveva paura di amare. Temeva l’amore, il sentimento che, se funzionante, riflette la maggior meraviglia del mondo. In un tenebroso silenzio, in un’atmosfera crudele e fredda, sentivo i suoi affanni infrangersi contro la mia pelle, scambiando le sue lacrime per gocce di cicuta che, da lì a poco, avrebbero avvelenato ogni mia parte del corpo. L’abbraccio non si era ancora sciolto: provava compassione anche lui nei confronti di quel ragazzo dagli occhi vivi e lucenti rabbuiati da un dolore incessante. La mia mano destra, con movimenti lenti e delicati, stringeva il tessuto fresco della sua giacca, mentre quella sinistra gli accarezzava il collo concedendogli attimi di pace e tranquillità.

    - Stringi più forte. - sussurrò.

    Il tono implorante con il quale la sua voce uscì dalle labbra, mi fece inconsapevolmente stringere in una morsa più feroce le fibre dei suoi abiti. Fu lui a chiedermi di possederlo, di farlo mio, di colmare i miei vuoti con la sua presenza.

    - Guardami. -

    Nessun movimento colpì il suo corpo.

    - Tom.. guardami, per piacere. -

    Gli afferrai con entrambe le mani il viso ancora abbassato con la speranza che i miei occhi prosciugassero le tracce di pianto che solcarono il suo volto poco prima per poi posargli la falangetta dell’indice e del medio sotto al mento nel tentativo di farlo ubbidire alla mia richiesta. I suoi occhi arrossati acconsentirono, mentre alcuni tremolii facevano ancora rabbrividire le sue labbra.

    - Ascoltami per bene, senza per favore interrompermi prima che finisca. Stai chiedendo forza ad una persona che non ha mai amato, che non è mai venuta a contatto con le labbra di qualcuno, ma che considera l’amore il sol motivo per esistere. Ogni cellula del mio corpo richiama questo sentimento, sostituendolo al citoplasma di cui, in realtà, essa dovrebbe essere composta. Anticipo le mie scuse, nel caso i miei discorsi non funzionassero, nel caso non mi considerassi all’altezza di poter parlare senza aver prima sofferto a causa di questo sentimento carnivoro. L’amore ti fa sbandare, rendendoti cieco davanti a tutto. Per merito o a causa di esso, non distingui più il bene dal male. Rimani in una posizione dal carattere interrogativo, quasi come ti trovassi al bivio tra due strade, una in salita ed una in discesa. Una delle due ti tocca percorrerla, ma nessuna predizione futura ti indica se la scelta presa è la più giusta. Nessuno è lì a consolarti, ad alleviarti il dolore o ad alimentarti la gioia: sarà la sola destinazione a giudicare la tua decisione, il tuo coraggio. Inizialmente sei a contatto con solo l’ignoto. Ed è così che raffiguro l’amore: un sentimento inizialmente oscuro, che solo il tempo lo renderà infine luminoso. Con quest’ultimo termine, non intendo dire che porterà a soddisfazioni e premi, gioie e sorrisi. Portare alla luce significa far trasparire ciò che per lungo tempo è rimasto oscurato. Non possiamo giudicare la validità di un amore, prima ancora di cominciarlo. Ed è questo il mio più grande controsenso: non potrei permettermi davvero di cimentarmi in discorsi così articolati, ma vorrei tentare di farli giungere a te, alle sofferenze che questa sera ho visto emergere dai tuoi occhi silenziosi. Non importa che tu mi dica che a renderti timoroso dell’amore, ci sia alle spalle una relazione che il tempo ha ridotto in macerie. Hai sentito per lungo tempo ancora il suo profumo, le sue carezze, i suoi tocchi. L’hai sentita ancora viva dentro di te, nonostante lei ti avesse gettato via privandoti dei tuoi più veri sentimenti, così da farti sentire vuoto il corpo e incapace di apprezzare questo sentimento. Se non fosse così, non saresti tu ad aver timore dell’amore. Non ne parleresti semplicemente, ed è forse ciò che hai sempre fatto, ma intendo dire che non lo avresti fatto nemmeno con me. Ho imparato questa sera a leggerti negli occhi, e sei la prima persona dopo mio padre, con la quale riservo questa capacità. Nessuno di noi ha mai avuto potere maggiore rispetto a quello che possiede l’amore: le generazioni umane hanno sempre perso tutte le forze dinnanzi ad esso. Ha potenzialità nemmeno equiparabili alle nostre di resistenza, perciò ne siamo rovinosamente succubi. Nonostante sia pericoloso cadere dentro a questa trappola, non dimenticarti che sa essere anche favolosa. Si tratta solo di una questione di fiducia e volontà d’animo da parte di entrambi gli individui che di due anime, ne fanno una sola. Non significa nulla alzarsi al mattino col sorriso, perché nulla vieta la possibilità di addormentarsi con forti fitte dolorose dentro. E’ una questione di fortuna l’amore, ed è così crudele da non interpellarci nemmeno per chiedere approvazione o disaccordo. Succede, succede e basta. Non ti nascondo che dentro sto piangendo anche io nel vederti così, ne sto soffrendo terribilmente. Le avrei volute mie quelle lacrime, perché ho visto pochi ragazzi soffrire per amore. Ti sembrerà probabilmente stupido, ma la prima tua lacrima che ho sentito scendere lungo la mia spalla, l’ho sentita più umida di tutte le altre. E’ stata la prima tua confessione nei miei confronti, e sono dell’idea che non ce ne sarà mai un’altra così sincera. Sai quel detto che dice: “ Chiusa una porta, si apre un portone. “ ? Una volta caduti, rialzarsi è così difficile da poter sembrare addirittura impossibile. Ostini la tua mente a pensare che come ciò che hai perso, non ci sarà mai nient’altro. Ma è questo il più grande errore, il più grande sbaglio che porta a chiudersi in un malvagio dolore. Ci metterai tempo, ci rimetterai la tua felicità e i tuoi sorrisi, ci rimetterai mille altre cose, ma se non ti arrendi, alla fine troverai molto probabilmente ciò che cercavi. Con questo non voglio dire che è un dato di fatto perché, purtroppo, non c’è alcun dato scientifico che lo dimostri, ma devi tenere in considerazione che può accadere. Non hai ancora perso nulla, o forse, non hai mai trovato niente. Siamo giovani e abbiamo ancora innumerevoli anni davanti a noi per trovare ciò che non abbiamo o che ci hanno strappato. Non considerarti inferiore al resto del mondo sotto questo ambito: sai amare anche tu, te lo si legge in questi occhi nocciola. Devi solo fare attenzione a conservare tutte le tue forze per qualcuno che merita sul serio. Non avere timore di innamorarti, perché là fuori c’è qualcuna che vivrebbe dei tuoi respiri, delle tue promesse, del tuo amore. Il cuore è tuo, Tom. Ingranalo con le marce giuste, e parti. Arriverai dove nemmeno i tuoi pensieri giungerebbero. - Conclusi il discorso con un sorriso che tentai di far risultare rassicurante, non staccando ancora le mani dal suo viso.

    - Tu credi che ce la farò? -

    La voce non gli tremava più, ma fece fatica a pronunciare quella frase. Doveva riprendere il giusto controllo del respiro che faceva alternare le sue parole tra attimi di blocchi e fluidità, e questo gli fu difficile.

    - Sì, assolutamente sì. -
    - E.. e mi starai vicino? -
    - S.. sì. -

    Ricordo che sentii la necessità di accasciarmi al suolo e urlare, di sbattere talmente forte la testa da non riavere più indietro la capacità di ragionare. Non ero più io, perché dal primo giorno in cui lo vidi, avevo perduto me stessa. Lui era me, mentre io non esistevo più. Amavo l’irraggiungibile: ne ero talmente attratta che pure il suo viso tra le mie mani appariva distante. Chiuse le palpebre per qualche secondo inspirando nuova aria per farsi forza, così da permettermi di capire nel frattempo, un fugace istante, che avevo toccato l’amore.

    Tom sentì dentro un senso di beatitudine. Mentre in silenzio la ragazza parlava, assunse le parole da lei pronunciate come un severo dogma. Gli occhi gli bruciavano ancora, mentre dentro cominciò ad avvertire brevi brividi di passione. Le pupille di Evelyn gli riscaldarono l’animo, il tocco delle sue mani a contatto con il suo viso lo fecero sentire protetto, mentre la sua presenza gli rendeva deboli le gambe. Cominciò a tremare, reazione che per sua fortuna Evelyn non percepì. Quelli erano tremolii diversi dai precedenti, erano totalmente estranei a lui e alla sua nuova considerazione d’amore da tempo. Lentamente si voltò dando le spalle alla ragazza per riprendere controllo di se stesso. Fissando un punto indefinito e lontano, si portò la mano al petto sentendo il cuore battergli aggressivamente contro la gabbia toracica. Erano battiti non appartenenti al dolore appena manifestato dinnanzi a lei, erano palpitazioni a lei dedicate. Dedicate alla sua pacatezza, alla sua disponibilità, al suo modo di essere e fare. Dedicate all’unica ragazza che, dopo sette anni d’inferno, lo fece sentir vivo.
    Era lei, era lei che voleva. Era lei la sua rinascita.

    Edited by ‚savannah - 6/2/2011, 12:14
     
    Top
    .
  3. PinguSah_Ge
     
    .

    User deleted


    *-* Uuuuuh mi piace sempre di più questa storia!! *-*
    cmq il trailer di questa ff è bellissimooo!!! Soprattutto ehm ... perchè riprende Titanic (Noooo non è il mio film preferito nooooo xD)
    comunque ancora complimenti!!
     
    Top
    .
  4. ‚savannah
     
    .

    User deleted


    Capitolo # 5




    Sentiva l’anima sgretolarsi lentamente, sentiva il cuore sezionarsi in mille cavità. Buchi, spazi vuoti, ai quali il sangue progressivamente non giungeva più. Lentamente il suo vivere parve arrestarsi, le sue forze corporali bloccarsi nella staticità del suo volto che, assente, appariva come ancora agli occhi di lui. Era protagonista di reazioni insensate che la spaventavano, che le rendevano ogni respiro così complicato da volersi strappare i polmoni con le sue stesse mani. Ma lei, dopotutto, era felice. Gioiva all’ignoto, sorrideva alle lacrime degli occhi nocciola del ragazzo, ricordandosi di aver rappresentato, se pur per un solo momento, se pur per un solo irripetibile attimo, la sua unica valvola di sfogo. Ma nel frattempo, quel pianto umido e freddo, doloroso e frustante, impugnando sciabole affilate, uccise il suo sensibile animo. Era un acido che corrugava la sua serenità, riducendola in brandelli di sofferenza e rassegnazione. Viveva di stenti nel dolore dei suoi occhi. E’ possibile respirare nella morte? Voleva vivere d’amore. I tremolii a cavallo delle ginocchia, le sussurravano “ cedi “ e lei avrebbe avuto voglia di ascoltare quei quasi silenziosi consigli, se solo non avesse voluto scattare fotografie in bianco e nero a quel momento irremovibile dai suoi ricordi. Era colpa di quegli occhi nocciola, era colpa di quel dannato profumo che i pori della sua pelle emanavano, era colpa di quell’amabile senso di protezione che avvertiva tra le sue braccia, era colpa di quell’imprevedibile situazione che finì per ridurla succube di ogni sua azione, schiava di ogni suo gesto, morente davanti ad ogni suo sguardo. Era un ladro, pensò. Un ladro di cuori che masticava con apparente noncuranza, condendoli con residui di anime che il suo fascino risucchiava sgarbatamente. Evelyn non avrebbe mai pensato a quanto il primo amore sarebbe potuto esser così crudele, tanto da renderle annebbiata ogni risposta che dava al suo cuore. Perché hai abbandonato te stessa? Perché ti sei concessa ad un uomo? Perché lui ? Le palpitazioni cardiache le apparivano come assordanti suoni di campane in città, come i dolci ma forti richiami degli uccelli in alta montagna. Dovette premersi le mani alle orecchie per nascondere quel rumore, mutando il suo essere in quello di un finto sordo. La infastidiva tutto ciò che non rifletteva la sonorità della voce del ragazzo perché era la sola melodia che, in un silenzio cupo e doloroso, poteva esser suonata. Sebbene fosse una melodia cattiva e crudele. Sebbene fosse una melodia assassina.

    L’aria cominciò a pizzicare freddamente sulla pelle dei due giovani, aumentando i brividi che infierirono sulla loro epidermide sin dall’inizio di quell’intima situazione. Intima, per non esser mai stata svelata prima da parte sua. Intima, per essersi manifestata con silenziose lacrime sincere che scorrevano su una pelle di verità e purezza. Divenne il loro segreto, il sigillo del loro amore che ancora non li aveva uniti. Eran pochi metri a separare i loro corpi, in quella notte ormai fonda, ma entrambi consideravano quella lieve distanza come intralcio ai loro sensi. Nessuno dei due era più in grado di stare lontano dall’altro. Le loro sensazioni morivano nei gesti dell’altro. Le loro anime camminavano per mano su un sottile filo spinato al quale eran stati posti agli estremi amore e passione. Se fossero caduti, avrebbero incontrato l’impossibilità di vivere l’uno dell’altro, gli sarebbero stati negati sulla pelle i sospiri, i tocchi, le promesse. Sarebbero stati uccisi dall’assenza dell’altro. Dovevano uscirne perciò vincitori, perché si trattava della loro sopravvivenza. Avrebbero percorso la finezza di un filo sottile stringendosi forte, o sarebbero caduti lasciandosi maltrattare da un malvagio dolore?

    Nessuno decise di muoversi per primo, sebbene entrambi avessero una confessione da fare. Nascondevano i battiti cardiaci dietro alla loro gabbia toracica che, ogni qual volta i loro sguardi si scambiavano messaggi d’intesa, desiderava sgretolarsi per smascherare le loro vere intenzioni. Per vederli arrossire alla vista del loro cuore impazzito. Evelyn avvertì l’allontanamento di Tom, come un volontario distacco dai suoi futili consigli, dalle sue superflue sicurezze. Si sentì morire, ancora una volta. Lui aveva la capacità di renderle a brandelli ogni sua forza e sicurezza. Si sentiva colpevole di ogni sua sofferenza, di ogni sua freddezza, di ogni sua noncuranza. Rinacque, quando lo vide voltarsi nuovamente verso di lei, strappandole un sorriso di riconoscimento. In quel momento, il vento si alzò, stuzzicando maggiori brividi sul corpo della ragazza, che reagì iniziando a sfregarsi le mani sulle braccia nude.

    - Aspetta, ti dò la mia giacca. - disse Tom, avvicinandosi al suo corpo.
    - Ma io non ho freddo! - risposi, tentando di convincermene davvero.
    - Oh, felice di averla tra noi, Superwoman. - scherzò.

    Con rapidi movimenti, si tolse la giacca. Notai le sue braccia dotate di evidenti muscoli rimanere scoperte sotto a quella temperatura fin troppo bassa oramai. Feci attenzione alla delicatezza con la quale alcuni nei, al tempo della sua nascita forse, si posarono sulle sue braccia. Incominciai a studiarne la forma, la consistenza, la perfetta posizione che essi occupavano sui suoi avambracci. Mi affiancò appoggiando la giacca sulle mie spalle, sistemandomela meglio successivamente, rimanendo poi fermo dietro di me. Il calore che sentii invadere la mia pelle fu come il bruciore dei raggi solari in piena estate. Fu quasi come sentire la sua epidermide coricata sul mio. Sentii la sua protezione avvolgermi in un’aurea indistruttibile. Il suo calore era la mia dimora, era le mura entro le quali potevo confessarmi.

    - Va un po’ meglio? -
    - Lo ammetto: enormemente. -

    Momenti di silenzio squarciarono le nostre parole.
    Le sua braccia cinsero i miei fianchi in una forte morsa, e il suo viso si appoggiò alla mia spalla sinistra. Il suo respiro urtava contro la mia gota sinistra, riscaldandola maggiormente rispetto al calore dell’emozione che in quel momento provai. Vidi le sue dita della mano destra intrecciarsi con quelle della sinistra, poggiandole poi sul mio ventre. Aveva mani bellissime. Esse eran leggermente rovinate sui polpastrelli, particolare che mi fece trovar certezza che all’interno della band era lui il chitarrista. Quanto mi sarebbe piaciuto sentire una sua composizione, vederlo seduto su uno sgabello in una stanza solitaria rimaner concentrato nel tentativo di tener il ritmo sbattendo la punta del piede a terra. Quanto avrei voluto scorgere nell’angolo della sua stanza la sua chitarra, immaginandomi quelle corde vibrare per merito dei suoi tocchi. Silenziosamente, incominciammo a guardare il cielo sereno.

    - Amo guardare il cielo, sai? - dissi, correndo il rischio di esser presa in giro per il mio sconfinato romanticismo.
    - E’ veramente bellissimo. -
    - Mi dà senso di libertà, di spensieratezza. -
    - Guarda quella stella là. Non è magnifica? - disse, indicando un punto lontano in cielo.
    - Ma io non ved.. -

    Mi pizzicò il naso mentre guardavo la stella inesistente, e apprezzai quel gesto come un bambino afferra gioioso il suo regalo da sotto l’albero di natale. Mi voltai per ridargli indietro un colpetto sulla spalla, ma lui iniziò a correre. Mi tolsi le scarpe col tacco, appoggiai la giacca a terra, e diedi me stessa per vendicarmi scherzosamente nei suoi confronti. La sua risata rimbombava nell’atmosfera, mentre malediva i suoi pantaloni troppo larghi per permettergli di correre agilmente come avrebbe voluto fare. Tentavo di stargli dietro urlandogli mille parole che avrei voluto gli giungessero come segnale della mia più sincera felicità.

    - Giuro che me la pagherai! -
    - Sono troppo furbo per cadere ai tuoi trucchetti! -
    - Mi sottovaluti, caro Tom! -

    Ad entrambi fu difficile scambiarsi discorsi, in quanto la fuga dall’altro rendeva i nostri respiri affannosi. Ci fermammo dopo interi minuti passati a ridere e vivere di quelle sottigliezze che, in quel momento, bastarono ad entrambi per annebbiare le preoccupazioni. Raggiungendo il centro della prua, appoggiò le ginocchia a terra, prima di sdraiarsi a terra completamente allargando le braccia in segno di rassegnazione. Mi avvicinai a lui vedendo il suo torace alzarsi e abbassarsi e il suo fiato condensarsi rapidamente nell’aria. Mi distesi lungo il suo fianco sinistro, appoggiando la testa sul suo petto. Una decisione affrettata, della quale mi sarei potuta pentire, ma che in quel momento considerai la più giusta da fare. Ero stanca di dover contenere emozioni che non facevano altro che morirmi nell’animo ogni volta che tentavo di esternarle. Ero stanca di contenere il bisogno di lui. Sentii la sua mano sinistra appoggiarsi delicatamente sui miei capelli e dar vita a movimenti tranquilli, mentre a contatto col mio orecchio, giungeva il suo cuore ancora vivo di battiti incontrollati. Il silenzio decise di non lasciarci in mano a parole che avrebbero rovinato la dolcezza dei nostri corpi vicini. Appoggiai una mano sul suo ventre, percependo gli addominali ben scolpiti su di esso. Sarei potuta morire uccisa dal rumore del suo cuore, dalla passione dei suoi tocchi, dalla nascosta malvagità del silenzio.

    - Credevo di aver dei polmoni più resistenti, son sincero. - esordì, con voce ancora affaticata.
    - Lo credevo anche io. - dissi, sentendo la sua disapprovazione manifestarsi tirandomi una ciocca di capelli.

    Perché il tempo non si fermò? Perché il momento in cui tutto sarebbe finito era sempre più vicino?
    Volevo ancora abbandonarmi a lui, volevo ancora nutrirmi delle sue carezze.
    Silenzio.

    - T.. Tom.. -
    - Sì? -
    - Ho paura. -
    - Di cosa? -
    - Io.. mio padre.. -
    - Continua. -
    - Mio padre è.. non so se.. -
    - Evelyn, ti prego. Mi stai facendo preoccupare. -
    - Mio padre è la persona più importante della mia vita. Mi ha cresciuta, mi ha accudita sostituendo la figura di mia madre che è stata assente sin dai primi momenti. Ricordo i pomeriggi trascorsi sulle altalene del parco giochi di fronte a scuola, quando gli strattonavo la maglietta dal basso pregandolo di comprarmi il cornetto alla vaniglia. Lui tirava fuori dalle tasche qualche spicciolo, e mi diceva di andare da sola a prenderlo. Dovevo abituarmi a parlare con gli altri, sosteneva. Ero troppo timida per andarci, così rinunciavo ogni volta a quello che, in fin dei conti, era solo uno sfizio. Papà mi sorrideva dall’alto, e mi stringeva forte attorno a sé. Tornava stremato a casa dopo il lavoro, e mi chiedeva quale cartone animato preferissi vedere. Mi faceva sedere sulle sue ginocchia, per cantarmi la sigla dei cartoni Disney. Sopportava i miei pianti notturni meglio di qualunque altro, e mi riponeva sotto le coperte raccontandomi storie da lui inventate. Non ne ho mai sentita una di quelle popolari, le ho sempre ascoltate di sua invenzione. Ha formato la mia adolescenza alternando i sì e i no, proprio come un genitore dovrebbe fare. Mi ha sempre confidato tutto, mi ha sempre compresa. E’ sempre stato parte della mia quotidianità ed ogni volta che dovevo allontanarmi da lui, mi veniva un magone atroce. E ora, corro il rischio di allontanarmi da lui per sempre. Mio padre è malato, Tom. Gli è stata diagnosticata una grave forma di leucemia. I medici hanno detto che non gli restano più di cinque mesi di vita. Non ho la certezza di essere abbastanza forte da reggere un peso simile, ho paura di non esser l’appiglio adatto a cui lui ora deve aggrapparsi. Ho paura di rimanere sola, ho paura di rimanere viva in un ambiente morto. Sto crollando. -

    Si alzò mettendosi a sedere, costringendomi a togliere il capo dal suo torace, e prese il mio viso tra le mani. Le sue erano ormai fredde, ma quando vidi il suo sguardo penetrare nel mio, le sentii bollire su di me. I suoi muscoli facciali erano tirati, e i suoi occhi diventarono rabbiosi quando videro i miei arrossarsi e le mie labbra tremare.

    - Sei forte, Evelyn, e supererai anche questo enorme ostacolo. Sarà difficile, forse ti sembrerà impossibile, ma ne uscirai intera. Lui è ancora lì al parco a guardarti giocare, lui ti sta ancora raccontando le favole prima che tu ti addormenti, lui è ancora lì a crescere sua figlia se pur lontana. Lui non smetterà mai di vivere dentro di te. Tu sarai il suo unico appiglio, la sua unica speranza, il suo ultimo saluto. Rimarrete sempre insieme, perché non sarà di certo una malattia a strappartelo via. -
    - Quando lui se ne andrà, io sarò sola. Sarò nel salone di casa a riguardare le sue fotografie vivere tra le mie mani, e le sue carte di lavoro non avrò il coraggio di spostarle dalla scrivania. Non posso farcela da sola, non posso. -

    Ero indebolita al sol pensiero di quell’abbandono al quale, un giorno, avrei dovuto rassegnarmi. Ero in procinto di perdere tutto, ma non potevo perdere ciò che avevo appena trovato. Avrei preferito scontare mille pene di morte, piuttosto che invecchiare in mancanza della loro presenza.

    - Posso farti mio? Mi stanno togliendo dalle mani mio padre, non posso far sì che mi tolgano anche te. -

    Prese il mio corpo tra le sue braccia, e mi parve di esser cullata da braccia angeliche. Avvicinò le sue labbra alla mia fronte, e rimase immobile per interminabili attimi. Le mie lacrime cominciarono a sgorgare dai miei occhi come acque torrenziali mentre, segretamente, il mio cuore si fondeva col suo.

    - Io voglio essere tuo. -


    ***


    E’ scientificamente provato, che l’imperterrito movimento e la fatica rendono difficile il respiro. E noi umani, abbiamo perciò bisogno di piccole soste in cui fermarci, in cui depositare i residui del dolore che graffiano le pareti di un’anima perforata, squamata. Ho fame d’affetto, ho fame d’amore. Essa costituirà uno stato di permanente e immutabile insaziabilità. Lo stomaco sussurra, ho fame del tuo amore. E se senza acqua non si vive, ho sete della sonorità della tua grossa voce. La dolce rugiada sulle foglie, rende sfuocata la loro vera identità. Le invade con gocce trasparenti, coprendo il loro verde vivo. Ma è giunta perfino al mio corpo, bagnandolo di una solitudine marcia, di un affetto che mi strappa la pelle. Avvolto dalle lenzuola di seta di un soffice letto, potresti afferrarmi il viso voltandolo verso il tuo mediante gesti delicati, timorosi. E se questo non dovesse bastare, potrei sempre dissetarmi delle tue lacrime, sostituendole alle vitamine alimentari, così da non farti soffrire. Ti sentirei, ti avvertirei, ti curerei, ti avrei. Perché ti nascondi? Stringimi forte, prima di andartene un’altra volta. Ancora, ancora. Toglimi il fiato, uccidimi, ma prima stringimi.

    Edited by ‚savannah - 9/2/2011, 16:23
     
    Top
    .
  5. ‚savannah
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (PinguSah_Ge @ 4/2/2011, 14:43)
    *-* Uuuuuh mi piace sempre di più questa storia!! *-*
    cmq il trailer di questa ff è bellissimooo!!! Soprattutto ehm ... perchè riprende Titanic (Noooo non è il mio film preferito nooooo xD)
    comunque ancora complimenti!!

    Grazie infinite come sempre! [:
     
    Top
    .
  6. Ioly21
     
    .

    User deleted


    E' un capitolo davvero molto commovente!!!!
    Evelyn e Tom sono estremamente dolci!
    Complimenti :)
    SPOILER (click to view)
    La parola epidermide è di genere femminile non mascile :)
     
    Top
    .
  7. ‚savannah
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (Ioly21 @ 8/2/2011, 23:28)
    E' un capitolo davvero molto commovente!!!!
    Evelyn e Tom sono estremamente dolci!
    Complimenti :)
    SPOILER (click to view)
    La parola epidermide è di genere femminile non mascile :)

    Ti ringrazio tanto. :*

    SPOILER (click to view)
    E grazie anche per la correzione, ahah!
     
    Top
    .
  8. ‚savannah
     
    .

    User deleted


    Capitolo # 6



    Riaprii gli occhi quando il sole era oramai già alto in cielo. L’atmosfera solitaria della sera precedente, venne sostituita da un aggregarsi di corpi e voci fastidiose. Il mio corpo non si trovava più stretto a quello di lui, ma ben sì adagiato su una panchina color mogano ai lati della prua. Sopra a me, non scorgeva più il volto angelico del ragazzo, delineato da quei tratti nordici che, in poco tempo, mi fecero perdere la ragione, ma ben sì un cielo terso e sereno di tanto in tanto invaso dallo svolazzare di stormi di rondini. Aveva sciolto quel contatto di cui io mi nutrivo, sapendo che io, dormiente, non avrei potuto fermarlo? Aveva abusato della mia fragilità? Persa e vuota, il mio sguardo cominciò a cercare quello colpevole del moro. Storsi il naso, quando una scia di profumo inebriò il mio olfatto. Sentivo il profumo della pelle del moro ancora entro le narici, le quali consideravano nauseante ogni altro odore e fragranza che ne penetrava all’interno. La mia posizione creò disagio a qualche passante, ma nessuno di essi si prestò a chiedermi spiegazioni o a scacciarmi da lì. Rimasi distesa per non molti altri minuti, per poi mettermi a sedere assumendo un atteggiamento decisamente più umano e normale. Dentro alle vene serbavo scintille che, poco a poco, generarono fuoco dentro al mio intero corpo. Come aveva potuto andarsene? Come aveva potuto non asciugarmi le lacrime prima che qualcuno le vedesse? Mi ero data a lui come il marmo si dona allo scultore, come un pennello si pone tra le mani del pittore. Accavallai le gambe e appoggiai i gomiti sul ginocchio destro, in ricordo di come li appoggiai sulla balaustra della prua prima di vederlo la prima volta; io da lui non me ne ero ancora andata, io non l’avevo ancora lasciato. Un piccolo gesto mi fece tornare a quella soave voce che mi catapultò nell’udito quel giorno, facendomi vibrare le ossa tanto da renderle terribilmente deboli. I miei pensieri eran confusi perché la sola chiarezza che la mia mente scorgeva era la lucentezza dei suo occhi. E io, in quel momento, non avvertivo su di me il suo sguardo, una sua attenzione. Mi aveva spogliata di ogni protezione. Il mio animo era nudo. Un tocco sulla spalla mi riportò alla crudele realtà.

    - Signorina.. signorina tutto bene? - disse un giovane sulla ventina.

    Il modo in cui appoggiò dolcemente la sua mano su di me, provocò un rapido andamento di una forte scarica elettrica lungo la mia spina dorsale. Il giovane era di statura alta, con una struttura fisica decisamente esile che ai miei occhi, parve impossibile che le folate di vento che di tanto intanto si scatenavano sopra a noi passeggeri, non serbassero abbastanza forza da scaraventarlo a terra. Le sue mani erano grandi, con dita lunghe e affusolate. I suoi piccoli occhi erano dotati di un’azzurra iride, non molto lontana da somigliare alla lucentezza di un cristallo. Indossava abiti ricercati, con uno smoking emanante profumo di lavanda che a me risultò, comunque, sgradevole, ed un foulard vintage marchiato Burberry. Le sue maniere di cortesia erano tali da permettermi di dedurre da quale rango sociale egli potesse provenire, rango che non attirò mai la mia attenzione. Quel viso, quel corpo, quelle dolci maniere di presentarsi, non avevano nulla a che fare con il mio interessamento. L’unico bisogno che nutrivo era il sentirmi libera, o forse, di sentirmi ancora di qualcuno. Il mio padrone era scomparso, volato via. Sebbene in tutta quella faccenda non ci trovassi nulla di buffo e perdonabile, il suo allontanamento non lo attribuii ad un’azione volontaria. Lo associai più che altro ad una necessità, una necessità che era lì per spaccargli il cuore se non si fosse allontanato da me. Non ero abbastanza immatura da poterlo incolpare, non ero abbastanza indipendente per accettare il suo abbandono come dettaglio irrilevante.

    - Oh sì, tutto perfettamente, ti ringrazio. - risposi, sfoggiando un sorriso palesemente finto.
    - Ne sono ben felice. Posso sapere il tuo nome? -
    - Mi chiamo Evelyn. - dissi, dopo esser caduta nella trappola del suo sguardo che riflesse nelle pupille l’immagine del moro.
    - Sono lieto di conoscerti, dolce Evelyn. Il mio nome è Philip. Sarei eccessivamente scortese se ti portassi con me a fare un giro per la nave? -
    - Nessun problema. Il tempo di darmi una sistemata e sarò qui. Dieci minuti massimo. - acconsentii per pietà, perché più la sua bocca proferiva parole dal lessico elevato, più il senso di fastidio accresceva sempre più.
    - Sei ammaliante in codesto modo. Il tuo sorriso è luce per i miei occhi. - esordì, ignorando l’iniziale pizzico di irritabilità che si trasformò in minima sopportazione in me.

    Lo guardai attonita, mentre il suo braccio sinistro si levò appena per farmi segno di congiungere il mio attorno al suo. Non che non amassi passeggiare a braccetto, o che provassi disgusto nel farlo con un uomo anzi che con un’amica, ma erano atteggiamenti troppo lontani dalla mia concezione di confidenza e, forse, non ero ancora pronta a confidargli niente più del mio nome. Capii con quella sua proposta, che cercare nei volti altrui i dettagli di qualcun’altro è sempre un terribile sbaglio. La diversità ci popola, mantiene vivo il mondo, e sebbene le somiglianze tra individui son sempre possibili, mai nessuna copia sarà identica all’originale. Una segnalazione stradale indica quale strada percorrere per giungere a destinazione, difficilmente ne indica due. Sta al conducente del veicolo, decidere se percorrere la strada illustrata, o abbandonarsi al suo senso di libertà e percorrerne altre impiegandoci più tempo. E, sì, probabilmente giungerà al traguardo ugualmente, ma non allo stesso modo di come l’avrebbe raggiunto se avesse preso la strada indicata. Vedrà la destinazione con occhi diversi. Quando una persona ci abbandona, il nostro peggior incubo o miglior desiderio, è quello di ritrovarla nelle fisionomie di altri individui, diventando cacciatori di dettagli e attenzioni che appartengono ad un crudo passato. Perso per sempre l’originale, troveremo copie fasulle, forse migliori rispetto ad esso, forse peggiori. Ed è questa la sottile fune su cui l’amore di ognuno di noi giace: sostituire qualcuno, significa accettare la sua assenza per sempre.

    * * *


    Con la schiena appoggiata alla balaustra della poppa, le mani incrociate dietro la nuca, era rimasto seduto lì per tutta la notte. Aveva trascorso le ore notturne riscaldandosi del calore del suo cuore che lo protesse dall’umidità che, altrimenti, si sarebbe scontrata sulla sue pelle facendolo rabbrividire. I suoi pensieri eran troppo vivi dentro la sua mente, per permettere al sonno di avventarsi sulle sue palpebre. Sentiva assente ogni protezione, ogni corazza che gli avrebbe permesso di difendersi dalla sua debolezza. Per lungo tempo, si era convinto di essere tanto forte quanto lo descrivevano i mas media, i vicini di casa, le male lingue del paese. Invece era debole, fottutamente debole. La prima volta che la vide il suo animo ebbe tremolii tremendi, e il suo cuore, sebbene non ancora completamente preso dalla sua figura, perse un battito. E quella strana sensazione, quell’inspiegabile sua reazione, la mise per iscritto sullo schermo del suo cellulare premendo invio per comunicarla al fratello. E ora, avendo lontana la spalla su cui piangere, estrasse dalla tasca dei suoi larghi pantaloni color jeans il cellulare. Non dovette prestare attenzione al tono di voce da usare perché, sebbene fosse mattino inoltrato, nessuno raggiunse la poppa. Poteva piangere, poteva urlare, poteva morire che nessuno se ne sarebbe accorto.

    - Pronto Tomi! - rispose euforicamente il fratello dall’altra parte del telefono.
    - Bill.. ho.. - si sentiva tremendamente stupido e indifeso.
    - Che cazzo è successo? - chiese ansioso.
    - Non ho ancora finito la frase e ti preoccupi? - rispose ridendo, dopo una lunga notte passata tenendo le labbra ben socchiuse.
    - Pensi che non sappia riconoscere dalla voce il tuo stato d’animo? Forza, spara. -

    Tom sapeva che il fratello aveva ragione. Sapeva che avrebbe dedotto il suo umore perfino da un suo sospiro.

    - Hai presente Evelyn? La ragazza di cui ti ho parlato? -
    - Sì. -
    - Beh, ecco.. si è confidata con me ieri sera. Mi ha, non lo so, mi ha fatto capire che sono una certezza per lei. L’ho tenuta su di me tutto il tempo, ascoltandola e assorbendo dentro il suo dolore nel tentativo di curarla. Eravamo solo noi due seduti al centro della prua di notte, e mi sentivo carico di responsabilità che in quel momento nemmeno lei mi aveva chiesto di avere. Era come se sentissi la necessità di darle ciò che la gente che le sta accanto non le ha mai dato. E io ne ero.. ne ero felice. Poi l’ho fatta distendere su di me, tenendola tra le mie braccia, e mentre vedevo le lacrime scenderle dal viso, mi sentivo morire. Davvero, era come se qualcuno mi avesse strappato improvvisamente il cuore dal petto. Poi, ho fatto la cazzata più grande che potessi fare. Mentre ancora dormiva, l’ho messa su una panchina e l’ho lasciata.. sola. Sola cazzo, capisci? Me ne sono andato perché mi sentivo debole, debole dentro. Non mi sentivo abbastanza forte da vederla piangere anche nel sonno. Sono stato egoista con lei, lei che mi ha dato l’anima ieri sera. Me ne sto qui in poppa, seduto a terra da ieri notte, mentre lei è dalla parte opposta, in prua. Non ho il coraggio di avvicinarmi a lei, perché se le dessi come motivazione il fatto che me ne sono andato da lei perché stavo male nel vederla piangere, mi prenderebbe a pugni. E non farei altro che darle ragione. Mi sento schifosamente sporco nell’anima. Fatto sta che non ho nemmeno la forza per alzarmi in piedi, e credo che questo sia dovuto al fatto che senza di lei, non vado. Non funziono. - disse tutto d’un fiato, sorprendendosi che il fratello non avesse messo in atto la mania di interrompere i suoi discorsi.
    - Senza di lei ti senti quasi vuoto, e hai paura che lei ti prenda a pugni? Tom, svegliati. Stai diventando più paranoico di me. -
    - Bill, non è questione di provare un sentimento in più o uno in meno. Lei quando si è svegliata e ha visto che non ero lì accanto, avrà pensato che mi sono approfittato di lei, ma soprattutto, della sua fragilità. Ho mandato a puttane tutto. Ho lasciato andare via colei che volevo fare finalmente mia. -
    - Vattela a riprendere. -
    - Con che dignità? Con quale motivazione se lei nemmeno sa che sta diventando tutto per me? -
    - E tu sai cosa sei per lei? Sei o no mio fratello? Sei o no quello che mi aiuta sempre? Aiuta anche te stesso una buona volta. -
    - Non sono niente, se non una certezza di una notte. -
    - Se ha mandato in tilt il cuore di uno come te, qualcosa di veramente speciale agli occhi tuoi l’avrà pur fatto -
    - Perché pensi che Franziska non l’abbia fatto? -
    - Quella non mi è piaciuta sin dall’inizio, ed era stronza anche quando stavate assieme. Io Evelyn non l’ho mai vista, ma sento che è diversa. -
    - Come Evelyn non è nessuna, Bill. -
    - Visto che stai diventando anche romanticone, chiudi la chiamata e saluta il tuo caro fratellino dicendo: ‘ Vado a fare mio ciò che mi spetta. ‘ Voglio ricevere una tua chiamata in cui mi annunci la data delle nozze e che tra non molto, diventerò zio. -
    - Idiota. -
    - Buona conquista, Tomi. Il cellulare è sempre acceso, lo sai. -
    - Grazie Bill, ti terrò aggiornato. Saluta mamma e tutti gli altri. -

    Sebbene il cuore gli facesse ancora male, quella chiamata lo fece leggermente rinascere. La paura risiedeva dentro lui, e la forza di farsi avanti gli mancava. Ma non c’era niente di più grande che il dolore della sua assenza. Non c’era niente che volesse più di lei.

    * * *


    Io, intanto, avevo accettato l’invito di Philip. Ci eravamo scambiati dialoghi in cui a me non toccava parlare molto, che portarono come conseguenza discorsi lunghi e articolati da parte del ragazzo. Ostinata era la sua terribile mania di rivolgermi la parola mediante l’uso di parole che, al mio orecchio, risuonavano come assurdità in un discorso colloquiale come quello. Non disprezzavo il rango sociale al quale apparteneva, ma la convinzione che lui aveva nel credermi così ingenua da seguirlo solo perché dentro alle tasche disponeva di milioni di quattrini. Non tolleravo gli atteggiamenti di chi metteva in mostra la propria ricchezza credendo che potesse fare di chiunque, pane per i propri denti. La ricchezza per me non aveva nessun valore a confronto dell’amore. Ma io ero lì per dimenticare una magnifica notte, un contatto che sentivo ancora effettuarsi sulla mia pelle. Gli ero rimasta accanto per tutto il tempo, senza esser ceduta alla richiesta di infilare il mio braccio sotto al suo. Terminata la visita alla parte interna, ed essendo partiti dalla prua, ci dirigemmo verso la poppa. Salimmo le scale che portavano ad essa, sprofondando nel silenzio che vi abitava. La voce di Philip era come una radio priva del tasto ‘ spegni ‘ : i discorsi riguardo il potere dinastico che regnava nel castello londinese in cui abitava, riguardo le giovani ragazze che egli conquistò nel corso dei suoi, alla fine, pochi anni, riguardo il disprezzo che aveva verso i poveri, si ripetevano tra loro ininterrottamente. Sapevo perfino le pause che era costretto a fare per riprendere fiato, la prima parola che subito dopo le seguiva. Mi stava cominciando a dare il voltastomaco la sua presenza. Andammo avanti, mentre con lo sguardo fissavo la punta dei miei piedi ancora scalzi, quando fui risvegliata da una parola che mi arrivò all’udito come se fosse stata pronunciata a kilometri da me.

    - Come scusa? Non ti ho seguito. Puoi ripetere? - dissi, per accertarmi che ciò che avevo udito non fosse stata una mia fantasia.
    - Quello sarà certamente un individuo imbucatosi qui sopra per caso. Quello è un barbone. Fai attenzione all’aspetto trasandato che ha e agli abiti che coprono il suo corpo, non ti sembra ridicolo? Senza soldi pensa di permettersi una vita lussuosa come questa? Dovrebbero vivere tutti per strada quelli come lui, dovrebbero vivere le peggiori pene perché sono costoro che rovinano la società. Non ti sembra anche ridicolo la solitudine in cui sta? Nessuno gli si avvicina perché tutti temono e devono temere la loro innocenza. Nascondo un’immensa malvagità, e non sanno fare altro che chiedere elemosina. Loro devono soffrire. - esordì.

    Il solo sollievo che provai, era nel pensare che non tutti i benestanti ragionassero così. Avevo ascoltato il suo discorso senza alzare lo sguardo, quasi come volessi esser cieca a quella situazione. Ma in quel momento, avrei preferito esser sorda.

    - Io credo tu ti stia sbagliando su molte cose, Philip. Prova a riflettere su ciò che hai detto e poi dim.. - fui interrotta da un colpetto che mi diede sul braccio, indicandomi qualcosa in lontananza.
    - E’ quello che dovrebbe fare anche quell’idiota che sta seduto là in fondo. - esordì, lasciandomi attonita.

    Le parole che poco prima mi sembrarono assurdità, diventarono bestemmie quando alzai lo sguardo. Notai Tom ancora seduto con la schiena appoggiata alla balaustra. Fu come sprofondare in un profondo e buio abisso. Fu come perdere i sensi improvvisamente. Cominciai a sentire il fuoco invadermi le gote, cominciai a sentire rabbia verso Philip e debolezza guardando il moro. Quest’ultimo, non essendosi accorto della presenza che si era fatta avanti, si sentii disturbato e alzò lo sguardo tanto da permettergli di accorgersi di ciò che gli stava accadendo attorno. Rimase immobile, avvertendo il cuore cominciare a battergli contro la gabbia toracica all’impazzata non appena la vide. Erano lontani, ma terribilmente vicini. Si stavano abbracciando col pensiero, si stavano promettendo amore eterno senza proferir parola. Nessuno dei due conosceva i sentimenti e le intenzioni degli altri, nessuno si faceva avanti per primo. Stavano lottando contro un amore per il quale avrebbero potuto vivere tranquillamente. Tom, guardò quella scena con dolore. Guardò la vicinanza con la quale il ragazzo stava accanto ad Evelyn con occhi rabbiosi. Chiuse le mani a pugno, facendo emergere maggiormente le vene lungo tutto il dorso. Il suo respiro si fece più forte, e cominciò a provare odio verso quella sconosciuta figura.

    - Philip, io non credo di poterti permettere di rivolgerti in questo modo a persone che nemmeno conosci. - dissi, mantenendo ancora la calma.
    - Devono morire. -

    Quelle parole furono lame di coltello conficcate nel cuore. Esse diedero vita ad immagini che mi fecero salire le lacrime agli occhi. Diedero forma ad un destino che non avevo mai preso in considerazione, non credendo possibile riguardasse anche lui. Chiunque fosse stato responsabile di un suo dolore, chiunque avesse portato complicazioni alla sua incolumità, chiunque gli avesse tolto il respiro, avrebbe dovuto agire allo stesso modo su di me. Tenendoci ancora per mano, ce ne saremmo andati assieme.

    - Vattene, Philip. Vattene adesso. - dissi con voce strozzata.
    - Perché? Io.. mi dis.. -
    - Non farmelo dire un’altra volta. Vattene ora. -

    Ci voltammo entrambi, e lo vidi scomparire oltre il mio sguardo. Le gambe cominciarono spaventosamente a tremarmi, e sentii le mie forze diventare quasi nulle. Sapevo che se mi fossi voltata avrei scorto il corpo del moro, e io, diventavo cagionevole dinnanzi a lui. Allora andai incontro al dolore. Ma non mi ci avvicinai a passi lenti e tranquilli, cominciai a correre verso il suo corpo che intanto si era sollevato da terra preparando due braccia allargate pronte ad accogliermi tra loro. Erano i passi dell’amore. Il vento intanto si alzò, scompigliandomi i capelli che furono da ostacolo alla mia vista durante il mio rapido tragitto. Stringevo tra la punta delle dita della mano destra l’orlo del lungo abito rosa che ancora indossavo, e con l’altra mano evitavo che esso da sopra non mi cadesse lasciandomi scoperto il seno. Una volta raggiunto, avvolsi le mie braccia attorno al suo corpo e affondai il mio viso nella morbidezza del suo petto. Ricominciai a ricevere protezione da due braccia delle quali non dimenticai la sicurezza che riuscivano ad infondere in me, ricominciai a sentire una maggiore pesantezza sul mio corpo sentendo il suo sguardo fissarmi. Il suo capo si posizionò sull’incavo della mia spalla, e restammo in silenzio a contemplarci, il tempo di inspirare l’uno il profumo dell’altro. Eravamo soli, ancora una volta. Dipendenti dalle attenzioni e sentimenti dell’altro, ma non dal resto del mondo, dalle ore del tempo. Sentivo il suo respiro infrangersi sulla mia pelle come fosse un soffio vitale, aggiungendo le note e il ritmo del battere accelerato del suo cuore per creare una sublime melodia. Tom chiuse gli occhi strizzandoli fortemente per ricacciare indietro le lacrime che nacquero nel sentire il corpo della ragazza tra le sue braccia, stringendo con forza eccessiva l’abito che ella indossava, quasi come avesse timore di vederla scomparire improvvisamente dalla sua presa.

    - Dimmi solo perché te ne sei andato. - ruppi il silenzio con una frase che mi costò quasi la vita proferire. La mia voce gli arrivò soavemente per essersi scontrata contro il tessuto della sua soffice maglietta.
    - E’ stata colpa delle lacrime che ti colavano anche durante il sonno. Sono stato terribilmente egoista, ma mi facevano male. Mi faceva male sapere di non esser stato in grado di bloccarle prima, o addirittura, di non avergli impedito di scendere. -
    - E non hai preso in considerazione che andandotene avresti peggiorato la situazione? -
    - Pensavo ce l’avresti fatta anche senza di me. -
    - Tu sai cosa significa lasciarti andare? -

    Sentii stringermi in una morsa soffocante che più stretta era, più ossigeno mi donava. In quel momento, Tom si morse con il labbro superiore quello inferiore e inspirò quanta più aria gli fu possibile. Avvertì il suo battito cardiaco accelerare ad una velocità mai raggiunta prima d’ora, preparandosi ad un collasso imminente. Si sarebbe portato una mano vicina al petto per raccogliere i pezzi del proprio cuore nel caso fosse improvvisamente scoppiato, se solo ad occupare quella posizione non ci fosse stato il volto di Evelyn. Sentendo le sue mani stringermi maggiormente, feci lo stesso su di lui. Diventammo così i tasselli di un mosaico amoroso.

    - Hai il cuore che ti batte all’impazzata. - sussurrai.

    Tom si sentii colpevole di averle permesso di percepire ogni sua più nascosta emozione attraverso quell’organo che men di tutti mente. Ma dato che ogni verità era già ormai stata svelata, l’unico modo per discolparsi era confessarle tutto.

    - Sono innamorato, Evelyn. - ammise.
     
    Top
    .
  9. ‚savannah
     
    .

    User deleted


    Come ho scritto anche in firma, fino al 25 non ci sarò.
    Non riuscendomi a collegare e non portandomi dietro il pc, mi sarà impossibile postare il prossimo capitolo entro quella data. Farò in modo di abbozzare qualche idea nelle ore di viaggio, e di scriverla su un foglio per velocizzarmi a pubblicare il capitolo successivo il prima possibile non appena ritornerò. Mi farebbe piacere tornare e trovare nuove lettrici, sarebbe un bellissimo regalo di ben tornata. Un bacio a tutte, lettrici e non. ♥
     
    Top
    .
  10. PinguSah_Ge
     
    .

    User deleted


    Eh io mi accorgo solo ora che hai postato??!! Waw *-* Diooo è stupendo anche questo capitolo! Hai un modo di scrivere favoloso a dir poco! *-*
     
    Top
    .
  11. ‚savannah
     
    .

    User deleted


    Sono riuscita a ricavarmi qualche minuto per collegarmi dalla Francia.
    In questi giorni ho pensato molto alla mia FF, e allo svolgimento che vorrei far prendere ad essa. Come avevo scritto, come avevo promesso a voi ma soprattutto a me stessa, in questi giorni avrei buttato giù le idee per il prossimo capitolo. Riflettendo su un paio di cose, ho preso in considerazione, però, il fatto di non portare a termine questa FF. I motivi sono semplici: pur amando la trama che avevo dato a questo racconto, non mi sento più in grado di continuarlo nel modo in cui vorrei. Era un'idea che mi balenava nella mente già da qualche tempo, ma volevo accertarmi che non fosse un breve momento di insicurezza e sconforto. Non é da me lasciare le cose a metà, e questa decisione é sorprendente anche per me. Ora mi concentrerò per trovare una trama a mio parere abbastanza buona per dare il via ad un'altra FF. Ho bisogno di scrivere ed é per questo che voglio ricominciare come si deve. Ringrazio comunque tutte coloro che con i loro commenti mi hanno resa felice e soddisfatta del mio lavoro.
    Un bacio a tutte quante,
    Aly.
     
    Top
    .
  12. PinguSah_Ge
     
    .

    User deleted


    Ehi posso solo dirti che se non te la senti più di proseguire questa FF hai fatto benissimo a lasciare, perchè so che continuando potresti starci male e non penso sia il caso! :)
    Aspetterò con ansia un altro bel lavoro come questo :)
     
    Top
    .
  13. nölovæ-
     
    .

    User deleted


    AVVISO: stiamo spostando nel Cestino tutte le Fan Fiction che non non sono più state aggiornate da prima del 1 marzo 2011. L'ultimo aggiornamento di questa FF risale al 13/2/2011, pertanto la FF verrà spostata nel Cestino (:
    Un saluto,
    Bebs
     
    Top
    .
27 replies since 9/1/2011, 22:53   590 views
  Share  
.