Mayday.

« Se le tue labbra si sentono sole e secche, bacia la pioggia. »

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  1. ‚savannah
     
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    Capitolo # 6



    Riaprii gli occhi quando il sole era oramai già alto in cielo. L’atmosfera solitaria della sera precedente, venne sostituita da un aggregarsi di corpi e voci fastidiose. Il mio corpo non si trovava più stretto a quello di lui, ma ben sì adagiato su una panchina color mogano ai lati della prua. Sopra a me, non scorgeva più il volto angelico del ragazzo, delineato da quei tratti nordici che, in poco tempo, mi fecero perdere la ragione, ma ben sì un cielo terso e sereno di tanto in tanto invaso dallo svolazzare di stormi di rondini. Aveva sciolto quel contatto di cui io mi nutrivo, sapendo che io, dormiente, non avrei potuto fermarlo? Aveva abusato della mia fragilità? Persa e vuota, il mio sguardo cominciò a cercare quello colpevole del moro. Storsi il naso, quando una scia di profumo inebriò il mio olfatto. Sentivo il profumo della pelle del moro ancora entro le narici, le quali consideravano nauseante ogni altro odore e fragranza che ne penetrava all’interno. La mia posizione creò disagio a qualche passante, ma nessuno di essi si prestò a chiedermi spiegazioni o a scacciarmi da lì. Rimasi distesa per non molti altri minuti, per poi mettermi a sedere assumendo un atteggiamento decisamente più umano e normale. Dentro alle vene serbavo scintille che, poco a poco, generarono fuoco dentro al mio intero corpo. Come aveva potuto andarsene? Come aveva potuto non asciugarmi le lacrime prima che qualcuno le vedesse? Mi ero data a lui come il marmo si dona allo scultore, come un pennello si pone tra le mani del pittore. Accavallai le gambe e appoggiai i gomiti sul ginocchio destro, in ricordo di come li appoggiai sulla balaustra della prua prima di vederlo la prima volta; io da lui non me ne ero ancora andata, io non l’avevo ancora lasciato. Un piccolo gesto mi fece tornare a quella soave voce che mi catapultò nell’udito quel giorno, facendomi vibrare le ossa tanto da renderle terribilmente deboli. I miei pensieri eran confusi perché la sola chiarezza che la mia mente scorgeva era la lucentezza dei suo occhi. E io, in quel momento, non avvertivo su di me il suo sguardo, una sua attenzione. Mi aveva spogliata di ogni protezione. Il mio animo era nudo. Un tocco sulla spalla mi riportò alla crudele realtà.

    - Signorina.. signorina tutto bene? - disse un giovane sulla ventina.

    Il modo in cui appoggiò dolcemente la sua mano su di me, provocò un rapido andamento di una forte scarica elettrica lungo la mia spina dorsale. Il giovane era di statura alta, con una struttura fisica decisamente esile che ai miei occhi, parve impossibile che le folate di vento che di tanto intanto si scatenavano sopra a noi passeggeri, non serbassero abbastanza forza da scaraventarlo a terra. Le sue mani erano grandi, con dita lunghe e affusolate. I suoi piccoli occhi erano dotati di un’azzurra iride, non molto lontana da somigliare alla lucentezza di un cristallo. Indossava abiti ricercati, con uno smoking emanante profumo di lavanda che a me risultò, comunque, sgradevole, ed un foulard vintage marchiato Burberry. Le sue maniere di cortesia erano tali da permettermi di dedurre da quale rango sociale egli potesse provenire, rango che non attirò mai la mia attenzione. Quel viso, quel corpo, quelle dolci maniere di presentarsi, non avevano nulla a che fare con il mio interessamento. L’unico bisogno che nutrivo era il sentirmi libera, o forse, di sentirmi ancora di qualcuno. Il mio padrone era scomparso, volato via. Sebbene in tutta quella faccenda non ci trovassi nulla di buffo e perdonabile, il suo allontanamento non lo attribuii ad un’azione volontaria. Lo associai più che altro ad una necessità, una necessità che era lì per spaccargli il cuore se non si fosse allontanato da me. Non ero abbastanza immatura da poterlo incolpare, non ero abbastanza indipendente per accettare il suo abbandono come dettaglio irrilevante.

    - Oh sì, tutto perfettamente, ti ringrazio. - risposi, sfoggiando un sorriso palesemente finto.
    - Ne sono ben felice. Posso sapere il tuo nome? -
    - Mi chiamo Evelyn. - dissi, dopo esser caduta nella trappola del suo sguardo che riflesse nelle pupille l’immagine del moro.
    - Sono lieto di conoscerti, dolce Evelyn. Il mio nome è Philip. Sarei eccessivamente scortese se ti portassi con me a fare un giro per la nave? -
    - Nessun problema. Il tempo di darmi una sistemata e sarò qui. Dieci minuti massimo. - acconsentii per pietà, perché più la sua bocca proferiva parole dal lessico elevato, più il senso di fastidio accresceva sempre più.
    - Sei ammaliante in codesto modo. Il tuo sorriso è luce per i miei occhi. - esordì, ignorando l’iniziale pizzico di irritabilità che si trasformò in minima sopportazione in me.

    Lo guardai attonita, mentre il suo braccio sinistro si levò appena per farmi segno di congiungere il mio attorno al suo. Non che non amassi passeggiare a braccetto, o che provassi disgusto nel farlo con un uomo anzi che con un’amica, ma erano atteggiamenti troppo lontani dalla mia concezione di confidenza e, forse, non ero ancora pronta a confidargli niente più del mio nome. Capii con quella sua proposta, che cercare nei volti altrui i dettagli di qualcun’altro è sempre un terribile sbaglio. La diversità ci popola, mantiene vivo il mondo, e sebbene le somiglianze tra individui son sempre possibili, mai nessuna copia sarà identica all’originale. Una segnalazione stradale indica quale strada percorrere per giungere a destinazione, difficilmente ne indica due. Sta al conducente del veicolo, decidere se percorrere la strada illustrata, o abbandonarsi al suo senso di libertà e percorrerne altre impiegandoci più tempo. E, sì, probabilmente giungerà al traguardo ugualmente, ma non allo stesso modo di come l’avrebbe raggiunto se avesse preso la strada indicata. Vedrà la destinazione con occhi diversi. Quando una persona ci abbandona, il nostro peggior incubo o miglior desiderio, è quello di ritrovarla nelle fisionomie di altri individui, diventando cacciatori di dettagli e attenzioni che appartengono ad un crudo passato. Perso per sempre l’originale, troveremo copie fasulle, forse migliori rispetto ad esso, forse peggiori. Ed è questa la sottile fune su cui l’amore di ognuno di noi giace: sostituire qualcuno, significa accettare la sua assenza per sempre.

    * * *


    Con la schiena appoggiata alla balaustra della poppa, le mani incrociate dietro la nuca, era rimasto seduto lì per tutta la notte. Aveva trascorso le ore notturne riscaldandosi del calore del suo cuore che lo protesse dall’umidità che, altrimenti, si sarebbe scontrata sulla sue pelle facendolo rabbrividire. I suoi pensieri eran troppo vivi dentro la sua mente, per permettere al sonno di avventarsi sulle sue palpebre. Sentiva assente ogni protezione, ogni corazza che gli avrebbe permesso di difendersi dalla sua debolezza. Per lungo tempo, si era convinto di essere tanto forte quanto lo descrivevano i mas media, i vicini di casa, le male lingue del paese. Invece era debole, fottutamente debole. La prima volta che la vide il suo animo ebbe tremolii tremendi, e il suo cuore, sebbene non ancora completamente preso dalla sua figura, perse un battito. E quella strana sensazione, quell’inspiegabile sua reazione, la mise per iscritto sullo schermo del suo cellulare premendo invio per comunicarla al fratello. E ora, avendo lontana la spalla su cui piangere, estrasse dalla tasca dei suoi larghi pantaloni color jeans il cellulare. Non dovette prestare attenzione al tono di voce da usare perché, sebbene fosse mattino inoltrato, nessuno raggiunse la poppa. Poteva piangere, poteva urlare, poteva morire che nessuno se ne sarebbe accorto.

    - Pronto Tomi! - rispose euforicamente il fratello dall’altra parte del telefono.
    - Bill.. ho.. - si sentiva tremendamente stupido e indifeso.
    - Che cazzo è successo? - chiese ansioso.
    - Non ho ancora finito la frase e ti preoccupi? - rispose ridendo, dopo una lunga notte passata tenendo le labbra ben socchiuse.
    - Pensi che non sappia riconoscere dalla voce il tuo stato d’animo? Forza, spara. -

    Tom sapeva che il fratello aveva ragione. Sapeva che avrebbe dedotto il suo umore perfino da un suo sospiro.

    - Hai presente Evelyn? La ragazza di cui ti ho parlato? -
    - Sì. -
    - Beh, ecco.. si è confidata con me ieri sera. Mi ha, non lo so, mi ha fatto capire che sono una certezza per lei. L’ho tenuta su di me tutto il tempo, ascoltandola e assorbendo dentro il suo dolore nel tentativo di curarla. Eravamo solo noi due seduti al centro della prua di notte, e mi sentivo carico di responsabilità che in quel momento nemmeno lei mi aveva chiesto di avere. Era come se sentissi la necessità di darle ciò che la gente che le sta accanto non le ha mai dato. E io ne ero.. ne ero felice. Poi l’ho fatta distendere su di me, tenendola tra le mie braccia, e mentre vedevo le lacrime scenderle dal viso, mi sentivo morire. Davvero, era come se qualcuno mi avesse strappato improvvisamente il cuore dal petto. Poi, ho fatto la cazzata più grande che potessi fare. Mentre ancora dormiva, l’ho messa su una panchina e l’ho lasciata.. sola. Sola cazzo, capisci? Me ne sono andato perché mi sentivo debole, debole dentro. Non mi sentivo abbastanza forte da vederla piangere anche nel sonno. Sono stato egoista con lei, lei che mi ha dato l’anima ieri sera. Me ne sto qui in poppa, seduto a terra da ieri notte, mentre lei è dalla parte opposta, in prua. Non ho il coraggio di avvicinarmi a lei, perché se le dessi come motivazione il fatto che me ne sono andato da lei perché stavo male nel vederla piangere, mi prenderebbe a pugni. E non farei altro che darle ragione. Mi sento schifosamente sporco nell’anima. Fatto sta che non ho nemmeno la forza per alzarmi in piedi, e credo che questo sia dovuto al fatto che senza di lei, non vado. Non funziono. - disse tutto d’un fiato, sorprendendosi che il fratello non avesse messo in atto la mania di interrompere i suoi discorsi.
    - Senza di lei ti senti quasi vuoto, e hai paura che lei ti prenda a pugni? Tom, svegliati. Stai diventando più paranoico di me. -
    - Bill, non è questione di provare un sentimento in più o uno in meno. Lei quando si è svegliata e ha visto che non ero lì accanto, avrà pensato che mi sono approfittato di lei, ma soprattutto, della sua fragilità. Ho mandato a puttane tutto. Ho lasciato andare via colei che volevo fare finalmente mia. -
    - Vattela a riprendere. -
    - Con che dignità? Con quale motivazione se lei nemmeno sa che sta diventando tutto per me? -
    - E tu sai cosa sei per lei? Sei o no mio fratello? Sei o no quello che mi aiuta sempre? Aiuta anche te stesso una buona volta. -
    - Non sono niente, se non una certezza di una notte. -
    - Se ha mandato in tilt il cuore di uno come te, qualcosa di veramente speciale agli occhi tuoi l’avrà pur fatto -
    - Perché pensi che Franziska non l’abbia fatto? -
    - Quella non mi è piaciuta sin dall’inizio, ed era stronza anche quando stavate assieme. Io Evelyn non l’ho mai vista, ma sento che è diversa. -
    - Come Evelyn non è nessuna, Bill. -
    - Visto che stai diventando anche romanticone, chiudi la chiamata e saluta il tuo caro fratellino dicendo: ‘ Vado a fare mio ciò che mi spetta. ‘ Voglio ricevere una tua chiamata in cui mi annunci la data delle nozze e che tra non molto, diventerò zio. -
    - Idiota. -
    - Buona conquista, Tomi. Il cellulare è sempre acceso, lo sai. -
    - Grazie Bill, ti terrò aggiornato. Saluta mamma e tutti gli altri. -

    Sebbene il cuore gli facesse ancora male, quella chiamata lo fece leggermente rinascere. La paura risiedeva dentro lui, e la forza di farsi avanti gli mancava. Ma non c’era niente di più grande che il dolore della sua assenza. Non c’era niente che volesse più di lei.

    * * *


    Io, intanto, avevo accettato l’invito di Philip. Ci eravamo scambiati dialoghi in cui a me non toccava parlare molto, che portarono come conseguenza discorsi lunghi e articolati da parte del ragazzo. Ostinata era la sua terribile mania di rivolgermi la parola mediante l’uso di parole che, al mio orecchio, risuonavano come assurdità in un discorso colloquiale come quello. Non disprezzavo il rango sociale al quale apparteneva, ma la convinzione che lui aveva nel credermi così ingenua da seguirlo solo perché dentro alle tasche disponeva di milioni di quattrini. Non tolleravo gli atteggiamenti di chi metteva in mostra la propria ricchezza credendo che potesse fare di chiunque, pane per i propri denti. La ricchezza per me non aveva nessun valore a confronto dell’amore. Ma io ero lì per dimenticare una magnifica notte, un contatto che sentivo ancora effettuarsi sulla mia pelle. Gli ero rimasta accanto per tutto il tempo, senza esser ceduta alla richiesta di infilare il mio braccio sotto al suo. Terminata la visita alla parte interna, ed essendo partiti dalla prua, ci dirigemmo verso la poppa. Salimmo le scale che portavano ad essa, sprofondando nel silenzio che vi abitava. La voce di Philip era come una radio priva del tasto ‘ spegni ‘ : i discorsi riguardo il potere dinastico che regnava nel castello londinese in cui abitava, riguardo le giovani ragazze che egli conquistò nel corso dei suoi, alla fine, pochi anni, riguardo il disprezzo che aveva verso i poveri, si ripetevano tra loro ininterrottamente. Sapevo perfino le pause che era costretto a fare per riprendere fiato, la prima parola che subito dopo le seguiva. Mi stava cominciando a dare il voltastomaco la sua presenza. Andammo avanti, mentre con lo sguardo fissavo la punta dei miei piedi ancora scalzi, quando fui risvegliata da una parola che mi arrivò all’udito come se fosse stata pronunciata a kilometri da me.

    - Come scusa? Non ti ho seguito. Puoi ripetere? - dissi, per accertarmi che ciò che avevo udito non fosse stata una mia fantasia.
    - Quello sarà certamente un individuo imbucatosi qui sopra per caso. Quello è un barbone. Fai attenzione all’aspetto trasandato che ha e agli abiti che coprono il suo corpo, non ti sembra ridicolo? Senza soldi pensa di permettersi una vita lussuosa come questa? Dovrebbero vivere tutti per strada quelli come lui, dovrebbero vivere le peggiori pene perché sono costoro che rovinano la società. Non ti sembra anche ridicolo la solitudine in cui sta? Nessuno gli si avvicina perché tutti temono e devono temere la loro innocenza. Nascondo un’immensa malvagità, e non sanno fare altro che chiedere elemosina. Loro devono soffrire. - esordì.

    Il solo sollievo che provai, era nel pensare che non tutti i benestanti ragionassero così. Avevo ascoltato il suo discorso senza alzare lo sguardo, quasi come volessi esser cieca a quella situazione. Ma in quel momento, avrei preferito esser sorda.

    - Io credo tu ti stia sbagliando su molte cose, Philip. Prova a riflettere su ciò che hai detto e poi dim.. - fui interrotta da un colpetto che mi diede sul braccio, indicandomi qualcosa in lontananza.
    - E’ quello che dovrebbe fare anche quell’idiota che sta seduto là in fondo. - esordì, lasciandomi attonita.

    Le parole che poco prima mi sembrarono assurdità, diventarono bestemmie quando alzai lo sguardo. Notai Tom ancora seduto con la schiena appoggiata alla balaustra. Fu come sprofondare in un profondo e buio abisso. Fu come perdere i sensi improvvisamente. Cominciai a sentire il fuoco invadermi le gote, cominciai a sentire rabbia verso Philip e debolezza guardando il moro. Quest’ultimo, non essendosi accorto della presenza che si era fatta avanti, si sentii disturbato e alzò lo sguardo tanto da permettergli di accorgersi di ciò che gli stava accadendo attorno. Rimase immobile, avvertendo il cuore cominciare a battergli contro la gabbia toracica all’impazzata non appena la vide. Erano lontani, ma terribilmente vicini. Si stavano abbracciando col pensiero, si stavano promettendo amore eterno senza proferir parola. Nessuno dei due conosceva i sentimenti e le intenzioni degli altri, nessuno si faceva avanti per primo. Stavano lottando contro un amore per il quale avrebbero potuto vivere tranquillamente. Tom, guardò quella scena con dolore. Guardò la vicinanza con la quale il ragazzo stava accanto ad Evelyn con occhi rabbiosi. Chiuse le mani a pugno, facendo emergere maggiormente le vene lungo tutto il dorso. Il suo respiro si fece più forte, e cominciò a provare odio verso quella sconosciuta figura.

    - Philip, io non credo di poterti permettere di rivolgerti in questo modo a persone che nemmeno conosci. - dissi, mantenendo ancora la calma.
    - Devono morire. -

    Quelle parole furono lame di coltello conficcate nel cuore. Esse diedero vita ad immagini che mi fecero salire le lacrime agli occhi. Diedero forma ad un destino che non avevo mai preso in considerazione, non credendo possibile riguardasse anche lui. Chiunque fosse stato responsabile di un suo dolore, chiunque avesse portato complicazioni alla sua incolumità, chiunque gli avesse tolto il respiro, avrebbe dovuto agire allo stesso modo su di me. Tenendoci ancora per mano, ce ne saremmo andati assieme.

    - Vattene, Philip. Vattene adesso. - dissi con voce strozzata.
    - Perché? Io.. mi dis.. -
    - Non farmelo dire un’altra volta. Vattene ora. -

    Ci voltammo entrambi, e lo vidi scomparire oltre il mio sguardo. Le gambe cominciarono spaventosamente a tremarmi, e sentii le mie forze diventare quasi nulle. Sapevo che se mi fossi voltata avrei scorto il corpo del moro, e io, diventavo cagionevole dinnanzi a lui. Allora andai incontro al dolore. Ma non mi ci avvicinai a passi lenti e tranquilli, cominciai a correre verso il suo corpo che intanto si era sollevato da terra preparando due braccia allargate pronte ad accogliermi tra loro. Erano i passi dell’amore. Il vento intanto si alzò, scompigliandomi i capelli che furono da ostacolo alla mia vista durante il mio rapido tragitto. Stringevo tra la punta delle dita della mano destra l’orlo del lungo abito rosa che ancora indossavo, e con l’altra mano evitavo che esso da sopra non mi cadesse lasciandomi scoperto il seno. Una volta raggiunto, avvolsi le mie braccia attorno al suo corpo e affondai il mio viso nella morbidezza del suo petto. Ricominciai a ricevere protezione da due braccia delle quali non dimenticai la sicurezza che riuscivano ad infondere in me, ricominciai a sentire una maggiore pesantezza sul mio corpo sentendo il suo sguardo fissarmi. Il suo capo si posizionò sull’incavo della mia spalla, e restammo in silenzio a contemplarci, il tempo di inspirare l’uno il profumo dell’altro. Eravamo soli, ancora una volta. Dipendenti dalle attenzioni e sentimenti dell’altro, ma non dal resto del mondo, dalle ore del tempo. Sentivo il suo respiro infrangersi sulla mia pelle come fosse un soffio vitale, aggiungendo le note e il ritmo del battere accelerato del suo cuore per creare una sublime melodia. Tom chiuse gli occhi strizzandoli fortemente per ricacciare indietro le lacrime che nacquero nel sentire il corpo della ragazza tra le sue braccia, stringendo con forza eccessiva l’abito che ella indossava, quasi come avesse timore di vederla scomparire improvvisamente dalla sua presa.

    - Dimmi solo perché te ne sei andato. - ruppi il silenzio con una frase che mi costò quasi la vita proferire. La mia voce gli arrivò soavemente per essersi scontrata contro il tessuto della sua soffice maglietta.
    - E’ stata colpa delle lacrime che ti colavano anche durante il sonno. Sono stato terribilmente egoista, ma mi facevano male. Mi faceva male sapere di non esser stato in grado di bloccarle prima, o addirittura, di non avergli impedito di scendere. -
    - E non hai preso in considerazione che andandotene avresti peggiorato la situazione? -
    - Pensavo ce l’avresti fatta anche senza di me. -
    - Tu sai cosa significa lasciarti andare? -

    Sentii stringermi in una morsa soffocante che più stretta era, più ossigeno mi donava. In quel momento, Tom si morse con il labbro superiore quello inferiore e inspirò quanta più aria gli fu possibile. Avvertì il suo battito cardiaco accelerare ad una velocità mai raggiunta prima d’ora, preparandosi ad un collasso imminente. Si sarebbe portato una mano vicina al petto per raccogliere i pezzi del proprio cuore nel caso fosse improvvisamente scoppiato, se solo ad occupare quella posizione non ci fosse stato il volto di Evelyn. Sentendo le sue mani stringermi maggiormente, feci lo stesso su di lui. Diventammo così i tasselli di un mosaico amoroso.

    - Hai il cuore che ti batte all’impazzata. - sussurrai.

    Tom si sentii colpevole di averle permesso di percepire ogni sua più nascosta emozione attraverso quell’organo che men di tutti mente. Ma dato che ogni verità era già ormai stata svelata, l’unico modo per discolparsi era confessarle tutto.

    - Sono innamorato, Evelyn. - ammise.
     
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