Drops of Time.

AU, Twincest Not Related, Lemon, OC, Angst.

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  1. Gaf;
     
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    Eccomi! *sventola braccia per aria*
    Io in realtà ho sempre letto ma non ho commentato-i misteri della vita ò.ò-
    Comunque adesso sono qui e posso dirti che la storia si fa sempre più interessante e che te scrivi veramente bene, lasciatelo dire! ((:
    Vorrei sapere qualcosa di più sui personaggi ma penso che in futuro sapremo tutto, diamo tempo al tempo come si suol dire! -almeno credo sia così u.u-
    Aspetto il prossimo, sono curiosa di sapere come andrà avanti la scenetta e soprattutto cosa c'è fra questi due gruppi, insomma cosa è successo... ;D
     
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  2. »Chemma«
     
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    4. When it rains
    And when it rains on this side of town it touches everything
    Just say it again and mean it:
    we don't miss a thing.
    Paramore

    Prima Parte


    Che Bill fosse felice era ormai un dato di fatto, avrebbero potuto confermarlo le sue stesse guance che stavano facendo uno sforzo enorme per riabbassarsi, tanto che aveva riso. E così, i suoi amici avevano avuto la brillante idea di andarlo a trovare senza dirgli nulla, architettando un piano con Simone al fine di farlo morire precocemente d’infarto quando sarebbe rientrato a casa dopo la spesa e aver trovato i tre Berlinesi seduti comodamente sul divano. Che poi i piani fossero stati sconvolti era un’altra storia: Bill non sapeva neanche che quella città possedesse un parco di quel calibro e che oltretutto lo aveva superato un paio di volte. Quando però aveva riconosciuto la figura inconfondibile di Ashley, non ci aveva pensato un minuto di più prima di avvicinarsi a passo spedito, posare la busta della spesa su una panchina a caso e correre verso di lei, per poi saltarle letteralmente addosso. Ricordava di aver pianto per un motivo a caso, probabilmente era stato uno sfogo come tanti, e poi senza neanche rendersene conto si era precipitato tra le braccia di Brian a qualche metro di distanza.
    …E poi avrebbe voluto seppellirsi, perché era stato così preso dall’euforia che non aveva affatto notato Tom – o meglio, gli occhi di Tom nei quali si era perso –, che lo fissavano impassibili, freddi, nel loro calore. Se fossero stati amici, conoscenti o non totalmente estranei avrebbe detto che quella dipinta sul suo volto fosse stata delusione, ma chi era lui per influire sulle sue emozioni? Lui si era lasciato prendere dalla sua immagine, lo aveva sognato ripetutamente e si era fatto un’idea probabilmente sbagliata su di lui, cosa che lo aveva portato al desiderio di conoscerlo. Aveva lasciato la presa al collo di Brian e lo aveva visto rivolgersi al gruppo di fronte a lui, che poi aveva visto andare via. In pochi minuti aveva dimenticato l’accaduto, nella sua mente sembravano esserci solo i tre ragazzi con i quali si stava dirigendo verso casa e nulla di più.
    Si trovavano in camera di Bill, dove avevano sistemato le loro borse. Simone aveva saputo tenergli nascosto persino il fatto che si sarebbero trattenuti per quella notte, il che non poté che portare l’entusiasmo di Bill alle stelle. Il moro osservava Chris e Brian discutere ironicamente su chi avrebbe occupato il divano, e sorrise distrattamente, senza neanche notare di aver puntato lo sguardo sul materasso e quello di Ashley su di sé.
    «Hey?» lo chiamò lei, sporgendosi un po’ per entrare nella sua visuale, ottenendo l’ennesimo sorriso da parte sua. «Devo supporre che sei parecchio contento.»
    «Non puoi capire quanto, Ash.» si limitò a rispondere lui. L’amica sapeva dei giorni che aveva passato chiuso in casa da solo, ma non credeva sarebbe stato molto saggio ricordare a Bill quei giorni bui, non ora che poteva essere quanto meno sereno.
    Il moro le sorrise assottigliando gli occhi, di quel sorriso che lui stesso sapeva fosse sincero e che raramente riusciva a tirare fuori. Era lo stesso modo con cui lui e la ragazza riuscivano a capirsi, era sempre stato così, tra loro due: con uno sguardo.
    «Hey, piccioncini, ne avete ancora per molto o vogliamo darci una mossa?» intervenne Brian, che non avevano notato avesse appena finito di discutere con l’altro – li fissavano dall’alto, mentre loro se ne stavano comodamente stesi sul materasso.
    «Cosa vorresti fare, Bri? Sta piovendo a dirotto.» ribatté prontamente la ragazza. Bill rivolse uno sguardo fuori dalla finestra, non aveva neanche notato il temporale che ormai stava inveendo contro Lipsia. Le nuvole scure avevano occupato il cielo già da un po’, non avrebbe neanche saputo dire che ore fossero, comunque sapeva per ipotesi che la serata fosse già cominciata.
    «Oh, vorrete davvero starvene chiusi in casa? Io e Justin non abbiamo visto neanche mezza città!»
    Il moro si guadagnò un’occhiataccia da parte di Ashley che sembrava davvero intenzionata a non lasciare il suo comodo posto, ma sussultò quando Bill argomentò tranquillamente, quasi con stanchezza «So io dove potremmo andare.»

    *


    Non sapeva in che modo ci era arrivato lì. Non sapeva chi avesse ordinato per lui il suo piatto preferito, tra l’altro non aveva neanche il portafoglio dietro, e non sapeva cosa stesse fissando da venti minuti buoni. Tom si sentiva solamente a pezzi, e non credeva fosse per via dell’allenamento terminato neanche un’ora prima. Ricordava di essere tornato a casa con Andreas e Georg, di aver fatto una doccia e di essersi perso tra le lenzuola del suo letto, ma come diamine ci era arrivato all’Oblivion in piena notte? O almeno credeva fosse notte, a giudicare dal colore del cielo. Forse era sonnambulo, forse lo avevano trascinato lì i suoi amici con tanto di guinzaglio e lui non aveva avuto modo di replicare, fatto stava che ora si trovava in uno stato di trance e riuscì ad uscirne solo grazie ad una scossa improvvisa che Kim si premurò di dargli.
    «Tom, sei tra noi? Mi senti?» domandò la bionda. Stava seriamente iniziando a dubitare della salute del suo amico, visto di solito era lui ad animare la serata, che quella volta era tutto fuorché animata.
    «Hm? Sì, sì che ci sono.» Le rivolse lo sguardo e lei poté notare il velo di stanchezza che gli offuscava la vista, ma che avrebbe voluto mandare via con quel sorriso tirato che si stava sforzando di mostrarle.
    «Cosa succede, Spì?»
    A giudicare dalla mancanza di appetito da parte dell’amico davanti ad un hamburger gigante, la cosa doveva essere relativamente grave. Lasciò la sua forchetta e si dedicò esclusivamente a lui.
    «Niente, davvero. Sono solo un po’ stanco, è stata dura oggi.» Improvvisò un sorriso e sembrò finalmente notare il piatto ancora pieno davanti a lui, per cui decise di rimediare.
    «Come vuoi...» sentì sussurrare da Kim. Forse gliene avrebbe parlato, forse avrebbe dovuto aspettare che quella sua inutile fissa passasse da sola. Cosa poteva essere mai, d’altro canto? Una cotta? Un interessamento particolare per un ragazzo con cui aveva parlato a stento due volte? Ancora una volta si trovava davanti un milione di domande e nessuna risposta, o meglio, una risposta c’era, ma non sapeva fino a che punto potesse definirsi tale.
    Bill, Bill, Bill… sempre e solo Bill, da quando aveva sentito Brian pronunciare il suo nome era l’unica cosa che sembrava occupare la sua testa. Chi era poi quel ragazzino per mandarlo in paranoia in quel modo? Uno sconosciuto, un estraneo, chissà che ci faceva poi a Lipsia, era sicuro di non averlo mai visto in giro e chissà se l’avrebbe mai rincontrato. Sentì il campanello del locale tintinnare, intravide qualche figura; non vi prestò molta attenzione, ma sentì chiaramente le risate dei nuovi arrivati ed una voce maschile particolarmente squillante.
    «Vaffanculo, Bill
    Ecco, vaffanculo Bill, probabilmente era quella la risposta a tutti i suoi problemi. Aspetta... cosa? Dio, o quel nome lo perseguitava – o peggio, lui lo perseguitava, che era la cosa più probabile, per tutte le volte che lo aveva incontrato involontariamente. Sentì ancora quella voce, questa volta decisamente troppo vicino a lui. Si voltò con disinteresse trovandola poi alle sue spalle, apparteneva ad un ragazzo all’incirca della sua età che riconobbe dopo un po’ come quello che aveva visto al parco quella mattina stessa. Il suo sguardo fu catturato dalla biondina che si stava apprestando a sedersi accanto a lui, la sua amica che aveva notato per via di un corsetto rosa e nero e i capelli biondo ossigenato, e poi constatò che, sì, Bill lo perseguitava davvero.

    *


    «Questo posto è una figata, è decisamente adatto a te, Bì.» argomentò Ashley, dandosi un’occhiata in giro. Il ragazzo non lo avrebbe mai immaginato così, visto da dentro, dal momento in cui l’unica volta che aveva notato la presenza del locale in quella cittadina era stato per pochi minuti, per giunta dall’esterno, e a dirla tutta, la volta scorsa la sua attenzione non era stata catturata propriamente dal locale. Lasciò vagare anche lui lo sguardo in giro, soffermandosi sulle pareti di una tonalità piacevole di beige, che si intonava perfettamente con i tavolini al centro della sala e ai divanetti marroni sui quali erano seduti loro, combacianti con le pareti arricchite da qualche quadro qua e là. Anche il bancone lungo che divideva la sala in due ricordava molto i vecchi pub americani, gli piaceva molto quel posto. Tra l’altro, quella sera non era molto affollato, giusto qualche coppietta o qualche solitario che cenava in silenzio, e un gruppetto di ragazzi seduti di fronte a loro, e…
    «E merda
    Sussultò, sentendosi improvvisamente irrequieto. Oltre le spalle di Chris, al tavolo parallelo al loro, Tom sedeva di fronte ad una ragazza dai capelli magnificamente ambrati, poteva però vederlo in volto e questo bastò a renderlo nervoso. O quasi.
    «Bill? Cosa c’è che non va?» domandò Chris, vedendolo improvvisamente teso e con lo sguardo fisso su di sé, ignorando l’ipotesi che stesse fissando qualcosa o qualcuno alle sue spalle. Si voltò impercettibilmente, notando quella specie di rapper che aveva catturato la sua stessa attenzione quella mattina, e poi si dedicò nuovamente verso l’amico di fronte a lui.
    «C-cosa?»
    Bill impiegò qualche secondo in più per riportare lo sguardo sull’amico, apparendo quasi ipnotizzato, ma poi sembrò riprendersi. Ashley lo guardava interrogativo al suo fianco, mentre le chiacchiere di Brian e Justin, che sedevano alle estremità opposte del tavolo, lo infastidivano.
    «Buonasera ragazzi, volete ordinare?» la voce della cameriera alla sua sinistra giunse irritante alle sue orecchie, in quel momento, l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era il sorriso di Tom che avrebbe voluto fosse rivolto a lui. Quando poi quest’ultimo si voltò casualmente nella sua direzione, vedendo la sua espressione cambiare all’improvviso, Bill avrebbe voluto sprofondare sotto il tavolo o in qualche abisso senza ritorno.

    *


    «…E comunque il Cat Balance* ci serve solo per l’auto controllo, ma per ora dovremmo soffermarci sul Kong Vault**, soprattutto tu, Tom. Hey, Tom?» Gustav lo fissò interrogativo dall’altro capo del tavolo, incrociando le braccia sotto il mento. Il moro fissò accigliato Kim, perché era sicuro che fosse stata lei a dargli quel colpo neanche troppo delicato sulla gamba destra, notando poi che quattro paia di occhi lo stavano fissando, probabilmente con meno interesse di quanto ne avesse impiegato lui per guardare Bill.
    Fece un cenno col capo a Gustav, che si premurò di ripetere il discorso chilometrico che a quanto pareva aveva preparato esclusivamente per lui, ma che faticò a seguire. ‘Dovresti fare così, devi imparare questo, devi migliorare, devi mangiare meglio’… sempre le solite cose.
    «Sembri agitato, Tom. Qualcosa non va?» domandò pacatamente Georg, interrompendo il suo discorso con Evan. Leggeva preoccupazione nei suoi occhi, perché sapeva le cose che avrebbe fatto Tom per quel maledetto stage annuale. Malediva quei quattro giorni che gli avrebbero tolto più energia vitale di quanta ne possedeva, più di quanta ne stava impiegando per prepararsi al meglio. Tom entrava sempre troppo a fondo nelle cose, nelle sfide, lui stesso sapeva che era un male, ma non poteva farne a meno. Era ciò per cui viveva, se la sua vita avesse contato di meno probabilmente avrebbe dato anche quella per il Parkour.
    «Niente, veramente. Sono solo stanco, tutto qui.» Proferì lui, mettendocela tutta per apparire tranquillo. Se l’era scelto lui tutto quello, quindi non avrebbe potuto semplicemente dire a Gustav di evitare di parlare di parkour per più di dieci minuti. Allo stesso modo, stava scegliendo lui di lasciarsi distrarre da uno sconosciuto che a quanto pareva lo attirava incondizionatamente, quindi non credeva gli restasse molto da fare se non resistere. Aveva già dimenticato la sua presenza, tanto che si premurò all’istante di controllare cosa stesse facendo qualche metro più in là. Lo vide ridere con la biondina alla sua sinistra, mentre il ragazzo che aveva di fronte doveva aver fatto qualche battuta azzardata che lo aveva fatto avvampare. Trovò adorabile il rosso che aveva tinto le sue guance, chissà come sarebbe stato al contatto, avrebbe potuto posarvi sopra le sue labbra calde, e… Aspetta. Cosa?!
    «Ma quello è quello!» esclamò Kim, con un tono abbastanza alto da farsi sentire da chiunque nel locale e probabilmente anche fuori.
    «Quello chi?» esclamò divertito Evan, mentre qualcuno lì vicino ridacchiava.
    «Kim, taci.» Tom tentò di chiuderle la bocca con la mano, ma sapeva che era una battaglia persa in partenza. Nessuno poteva far tacere Kimberly Melcher. Nessuno.
    «Quello lì per cui Tom ha una cotta pazzesca e a cui pensa notte e giorno e che lo manda in paranoia perché è amico con quegli stronzi Berlinesi con cui sta mangiando al tavolo vicino al nostro!» esclamò tutto d’un fiato, senza preoccuparsi del fatto che avrebbero potuto tranquillamente sentirla, tanto dell’entusiasmo che stava utilizzando. E se anche non l’avessero sentita, notandola, si sarebbero sicuramente chiesti perché diamine li stesse spudoratamente indicando.
    Tom la guardò stralunato. Avrebbe voluto sprofondare in una voragine lì sotto all’istante, e non uscirne più, magari. «Ricordami di stampare i volantini, quelli del Liebertwolkwitz*** ancora non lo sanno.»
    Il ragazzo dalle treccine scure lanciò più di un’occhiata fugace al gruppo accanto, c’era qualche possibilità che non avessero sentito nulla, sembravano presi da tutt’altro. O meglio, Bill sembrava preso da tutt’altro: guardava Brian alla sua destra con un’espressione indecifrabile sul volto, sembrava concentrato a capire un concetto particolarmente difficile che gli stava mozzando il respiro. Quando poi notò la biondina di nome Ashley – aveva sentito Bill richiamarla non una volta–, fissarlo con la mascella contratta, il cuore gli si ghiacciò nelle vene.


    *Cat Balance:Ovvero equilibrio del gatto. è un tipo di movimento molto preciso che richiede totale concentrazione. Quando viene eseguito correttamente si raggiunge un buon livello di controllo. Ed è anche bello a vedersi. Si effettua su superficie molto strette come ringhiere o muretti e simula il passo di un gatto che si muove con passo sinuoso e felpato.

    Note: ommamma, già il quarto çwç sono solo 4 capitoli più avanti, e penso sia grave, ma come vi ho già detto ho avuto un blocco per circa due settimane, che poi ho risolto in un momento di disattenzione in classe u.u e quindi eccomi qui.
    Sul capitolo ho diversi accorgimenti da darvi. Prima di tutto è diviso in due parti per formalità, la seconda spiega pienamente il motivo della canzone scelta e poi capirete perchè mi piace relativamente quanto scritto XD non mi ricordo se l'ho già detto nell'altro post, comunque sappiante che Justin non ha nessun ruolo principale, in quanto il gruppo di Bill è composto da Ash, Brian e Chris, quindi Justn è solo una comparsa, e se vi interessa saperlo l'ho dovuto inventare perchè mi serviva qualcuno che scarrozzasse quei tre disgraziati fino a Berlino XD e ovviamente per tutto il casino del terzo capitolo dell'incontro con il gruppo di Tom eccetera. Comunque, l'ultima cosa di cui mi sono resa conto ora, rileggendo molto velocemente, è che molte cose non sono descritte come avrei voluto, ma personalmente mi ricordano tanto delle scene da film (prendete ad esempio Kim che esclama "MA quello è QUELLO!".. XD), ma non ho potuto fare a meno di inserirle e mi dispiace avervi solo confuso le idee, ma prendendo ad esempio quella che ho preso come esempio (?) ci stava troppo. XD
    Non so dirvi con precisione quando sarà il prossimo aggiornamento, rimanete sintonizzati u.u e grazie per il supporto a voi anime pie che ci siete sempre XD
     
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  3. Linnet;
     
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    Chemma, ti confesso che desidero leggere la tua storia con tutta me stessa ed è già da un po' che ci ronzo intorno, senza, però, avere neanche il tempo di commentare! ): Maledetta scuola! :(
    Già posso anticiparti che il tuo modo di scrivere mi attira molto, la trama anche sembra davvero intrigante.
    Assolutamente devo trovare il tempo di leggerla.
    E' una promessa! (:
    Non ti libererai presto di me! ù.ù
    Bacio <3 e appena riesco commento!
    Simo
     
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  4. lime !
     
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    Tom mi fa...uhm tenerezza? Si, direi che tenerezza è la parola giusta !
    Avrei voglia di entare nella storia e spupazzargli le guance e non mi sento nemmeno di incolpare Bill, perchè capisco che cosa vuol dire trasferirsi da una città all'altra e cercare di ricostruire tutto (anche se io ero più piccola ed avevo uno spirto di adattamento maggiore rispetto a Bill *fine OT*)
    Che altro dire? Uhm, Ashley D:
    Non so ancora cosa pensare di lei, ovviamente, indi per cui attenderò per esprimere un giudizio *RIOT*
    A Kim invece farei una statua !
    E pure a te chemma *w* La storia mi piace sempre più, non è troppo ne veloce ne troppo lenta ed il tuo modo di scrivere è assolutamente piacevole !
    Aspetto con ansia il prossimo capitolo *w*
     
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  5. »Chemma«
     
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    *si emoziona*
    ma grazie Simo *-* e non ti preoccupare, che la storia non scappa (purtroppo per voi )
    Ashley è particolare anche per me :/ e Tom... beh, Tom è come io immagino/vorrei fosse realmente se non fosse stato una celebrità >_< e anche l'ideale di ragazzo tutto carino e coccoloso
    Che dire, grazie ve lo ripeterò all'infinito :cazzomuoiodifelicitààà!:
     
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  6. »Chemma«
     
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    Seconda Parte
    So why can't you stay just long enough to explain ?



    Avevano parlato del più e del meno come al solito, dagli argomenti più intrattabili a notizie di cui avrebbero potuto fare tranquillamente a meno, come delle novità da Berlino, che novità non erano.
    Per un po’ era riuscito a distrarsi, ripensare ai quattro anni trascorsi al liceo nella sua città lo aveva fatto sorridere fino ad un certo punto – precisamente fino a quando si era ricordato dell’incontro con Tom e al suo sogno ricorrente. Aveva quindi puntato lo sguardo sul moretto davanti a sé, trovandolo impegnato in una discussione che avrebbe evitato volentieri, a giudicare dalla sua espressione afflitta. Era riuscito a distogliere lo sguardo da quel tavolo maledetto e aveva creduto che la questione fosse finita lì, non sapendo che stesse appena iniziando.
    «Allora, è lui?» aveva chiesto Ashley sotto voce, avvicinandosi di più a Bill senza farsi notare.
    «Lui chi?» stava iniziando a sudare freddo. Calmati Bill, calma.

    «Il tipo che mi hai detto di aver sognato. Quello carino con le treccine.» Ashley sorrise ammiccante, sorseggiando la sua Coca Cola, e vide Bill avvampare. Aveva decisamente fatto centro.
    «Lui.»
    Le aveva detto di averlo sognato per due settimane, anche se aveva accuratamente evitato di spiegargli i minimi dettagli. Ora però avrebbe voluto delle risposte, e non sapeva che poteva averne milioni, persino di domande che non si era mai posto. La biondina lo guardò in attesa e si avvicinò se possibile ancora di più, loro due erano ormai un tutt’uno con il divanetto.
    «Aha, capito.» Annuì dopo un po’. «E lui ti piace, ci credo… com’è che hai detto che si chiama?»
    «Tom.»
    «Tom? Tom Kaulitz?» il sorriso malefico di Brian spaventò a morte Bill quasi facendolo sbiancare. Ricordò quella stessa mattina, quando lo aveva visto parlare con loro. Ora sì che era fottuto. «Lo conosci?»
    Brian sbuffò in una risatina. «Chi non lo conosce? È il miglior traceur di Lipsia o della Germania orientale, volendo.» proferì con tranquillità, ghignando tristemente sulla sua stessa affermazione, pur sapendo che non si trattasse proprio di una bugia.
    «Cosa… in che senso?» domandò confuso.
    Cercò di fare mente locale, all’improvviso ricordò di quanto Brian avesse parlato con loro di quell’attività che da tempo lo appassionava. Una volta era stato addirittura ad un suo ‘allenamento’ ed era rimasto a dir poco scioccato dall’agilità con cui tutti quei ragazzi si muovevano da una parte all’altra – lui come minimo si sarebbe spezzato. Immaginò Tom in quelle vesti, e tutto sommato ce lo vedeva parecchio, a partire dal suo stile alternativo quanto il proprio, e da quel momento non riuscì ad immaginarlo diversamente. Era perfetto così. E ora avrebbe voluto uccidersi solo per averlo pensato, cosa che lo portò ad arrossire furiosamente.
    «Okay, quindi?» aggiunse in fretta, improvvisamente interessato a tutto ciò che riguardava quella strana arte e soprattutto a sapere qualcosa in più di quel Tom, visto che Brian sembrava più che preparato sull’argomento.
    «Quindi cosa?»
    «Cosa sai di lui? Ha una crew come la tua a Berlino, giusto? E tu come fai a conoscerlo se abitate così lontano?» chiese tutto d’un fiato quasi vergognandosene, ma si premurò di scacciare quel pensiero mettendosi in ascolto con le mani sotto il mento, con tanto di sorriso angelico e ciglia sfarfallanti.
    Brian ne rise compiaciuto e pensò che una storia come la loro sarebbe stata interessante da ascoltare.
    «Il gruppo di Tom Kaulitz è tutto lì, sono solo loro sette. Occasionalmente si aggiungono molti altri ragazzi, ma se si tratta di allenamenti e cose del genere sono molto riservati. Come gruppo sono decisamente uniti e pacifici, finché non si tratta di mettersi in gioco» il narratore cercò di nascondere un sorriso triste fissando un punto impreciso sul tavolo, perso in chissà quale ricordo. «Comunque hanno ottimi rapporti con tutti i traceur – beh a parte noi, a quanto pare. Per questo sono famosi in un certo qual modo.»
    Brian osservò ognuno di loro, facendo un cenno a Bill di seguire il suo sguardo, notando Justin che seguiva silenziosamente il loro discorso.
    «Quello che vedi lì è Georg Listing, ventitré anni, è il loro capo gruppo. Significa essere un punto di riferimento per i ragazzi e prendersi la responsabilità di qualsiasi cosa vi accada all’interno o ai singoli membri. Spettava a Tom esserlo, ma ha ritenuto opportuno lasciare al maggiore l’incarico.»
    Bill, totalmente interessato, fece sbrigativamente cenno di proseguire, mentre anche gli altri si mettevano in ascolto, dal momento che la sua storia dell’orrore era diventata pressoché un sussurro.
    «Lei è la sua ragazza, Rachel Beck.» La ragazza con i capelli ambrati e i lineamenti marcati.
    «La ragazza di chi?» Bill non si rese conto di aver alzato la voce, pentendosene subito dopo. Nessuno sembrava averlo notato, però; il chiacchiericcio di sottofondo aveva fortunatamente coperto la sua fenomenale uscita da fidanzatina gelosa.
    «La ragazza di Georg. È una delle poche traceuses di queste zone. La biondina invece è Kimberly Melcher, la migliore amica di Tom. È un soggetto a parte.» Bill l’aveva sentita parlare ogni tanto, aveva constatato di avere in comune con lei scatti spaventosamente lunatici che consistevano nell’aumento improvviso del tono di voce in un discorso particolarmente esaltante e nella loro solarità non indifferente. Ispirava simpatia già solo osservandola, sembrava fatta apposta per essere legata in quel modo a Tom – cosa che stranamente non lo infastidiva, anzi.
    «Il moretto di fronte a Kim è Andreas Gühne.» Bill notò che Tom era stato accuratamente ignorato, dal momento in cui Brian stava procedendo in base ai loro posti intorno al tavolo, ma magari l’amico gli stava riservando un gran finale o qualcosa del genere. «È un tipo piuttosto riservato, non so dirti molto di lui, solo che è un osso duro e che è tra i più forti se si parla di resistenza. Non è il più veloce, quel primato spetta ad Evan Bellamy» indicò il ragazzo seduto accanto a Kimberly, quello dai capelli neri e rossi di cui non aveva neanche notato la presenza. «Di lui so poco e niente, è entrato nel gruppo di Kaulitz solo l’anno scorso, ma da quanto ne so è amico con Kim e Andreas.»
    Fine della storia dell’orrore, pensò Bill con rammarico, davanti al silenzio che era improvvisamente piombato tra di loro. Chris sbadigliò, ma Bill voleva sapere chi fosse il ragazzo con gli occhiali a capo tavola. E poi, ovviamente, voleva il suo finale a sorpresa. Justin parlò per la prima volta da quando avevano iniziato a cenare.
    «Gustav Schäfer, ventidue anni, ex traceur.» Bill sussultò, vedendo la sua mascella serrarsi. «Ha avuto un incidente l’anno scorso nel quale si è fratturato il ginocchio. Non pratica più Parkour, ma avendo una certa esperienza alle spalle – ha iniziato a undici anni insieme a Listing – si è offerto come ‘insegnante’, diciamo, ovviamente solo per il suo gruppo. Quest’anno ha in mano la totale organizzazione dello Stage, in quanto si svolgerà qui a Lipsia.»
    Aveva parlato lentamente, quasi con timore, Bill lo aveva notato. Fissava Brian in cerca di una risposta che non avrebbe avuto, neanche aveva notato i suoi occhi fissi, troppo preso ad osservare un punto indefinito nei pressi della porta del locale.
    «È lì che ci siamo conosciuti, io e Tom, due anni fa ad Hannover. Il Traceur National Stage è un evento annuale al quale partecipano tutti i gruppi di traceur da ogni città della Germania; quest’anno è stata scelta Lipsia come sede.» Un tuono interruppe il silenzio, seguito da un lampo che squarciò il cielo, e Bill sussultò, guardando fuori dalla finestra, per poi tornare a concentrarsi sulla storia.
    «Per concludere...» altro lampo fece tremare la vetrata al loro fianco. «Tom Kaulitz ha diciannove anni e dicono sia uno dei migliori traceur degli ultimi sei anni » Brian sorrise alla sua stessa affermazione. «Ha scoperto il Parkour a undici anni grazie all’amico Listing. Da quel momento non ha lasciato nessuno dei due. Che abbia deciso di dedicare ad esso la sua vita, lo vedi dal modo in cui si muove, dal più piccolo passo al trick più difficile. Non si sa molto della sua vita precedente, alcuni dicono che sia orfano, altri che è scappato di casa o cose del genere. Per ora vive in centro con Listing e Gühne, ma dicono voglia iscriversi all’università di Berlino.» Sospirò, guardando il moretto lì vicino che poteva solo supporre che stessero parlando di lui, e probabilmente non se ne sarebbe stupito.
    «E…?»
    «Uhm…» Brian dubitava che a Bill potesse interessare la sua carriera da traceur. «È una persona molto determinata, se deve fare qualcosa ci riesce ad ogni costo. Per dirti: una volta si è fratturato entrambi i polsi, ma il giorno dopo era in campo ad allenarsi per la velocità. Ammirevole, direi.» Nelle sue parole c’era una sincerità che lo fece sorridere, mentre sorseggiava la propria birra. «Andavamo d’accordo fino all’anno scorso, fin quando..» Si bloccò senza preavviso, perso in chissà quale ricordo.
    «Fin quando non hanno saputo accettare la sconfitta», proseguì Justin per lui – infondo, non era una bugia, la sua.
    «La gara che avete vinto ad Amburgo?» azzardò Bill, sorpreso. Aveva un ricordo non troppo vago della festa che aveva dato Brian in occasione della loro vittoria.
    «Sì, quella. Era un buon amico, comunque. Ha carattere, è carismatico, sincero, fedele… con le persone a cui tiene di più, quella Kim, ad esempio, è molto possessivo, forse più di te.» Justin non comprese appieno il tentativo di sviamento del discorso, ma lasciò correre le cose.
    «Non è stato mai fidanzato veramente, comunque, e non sembra interessato a coinvolgere nessuno nella sua vita – one night stand, presente? Probabilmente solo una traceuses sarebbe in grado di conquistargli il cuore. Io credo che tu avresti qualche possibilità, però.»
    Bill odiò il ghigno dell’amico, ma decise di ignorarlo. La sua faccia d’angelo tradiva le aspettative, dunque. Non poté comunque fare a meno di trovarlo interessante.
    Il discorso sembrava essere stato chiuso dall’ennesimo tuono che minacciava la città, ma per Bill era stato già un successo ciò che aveva appreso nell’arco di quindici minuti su Tom e su parte della sua vita. Si stava ormai rassegnando al fatto che non avrebbe potuto mai farne parte, e per un attimo si chiese perché infondo avrebbe dovuto; la cosa comunque sembrava non urtarlo particolarmente in quel momento. Appartenevano a due mondi talmente diversi che stentava ad immaginarlo: Tom era un traceur che viveva appieno la sua vita per la sua attività, alla quale doveva la sua corporatura tonica, e dalla pelle abbronzata al punto giusto da somigliare ad un perfetto Californiano; Bill un ragazzo piuttosto fuori dal comune con mille progetti e nessuna certezza, dalla bellezza androgina e il corpo slanciato e lineare e la pelle quasi lattea. Due mondi sconosciuti, due poli della calamita. Bill aveva dimenticato, però, che due poli opposti si attraggono. E non solo quelli magnetici.

    *


    Erano appena le sei, ma Bill aveva potuto appurare quanto quella giornata fosse stata vuota fino a quel momento già dai primi minuti in cui si era ritrovato solo sul divano a guardare la tv. Poteva sentire qualche nota proveniente dalla sala insonorizzata di Gordon, sicuramente quando il patrigno dimenticava di chiudere per bene la porta; per il resto, senza la voce squillante di Ashley, le risate di Brian e Chris, o perfino la presenza di Justin o Simone, quella casa era improvvisamente troppo grande e troppo silenziosa per lui.
    Quando Simone entrò in cucina per posare i sacchetti della spesa sul tavolo, non si sorprese quasi affatto nel vedere Bill stringere possessivamente una vaschetta di gelato, guardandolo come se desiderasse affogarci dentro.
    «Hey, you!» lo salutò la donna, sorridendogli con tanto di occhiolino. Giurò che Bill si stesse strozzando, ignorando il fatto che non fosse per via del cucchiaio decisamente colmo di fredda crema al cioccolato, ma lasciò correre la cosa.
    «Sta sera io e Gordon andiamo fuori a cena, vuoi venire con noi?» domandò, più per informazione che sperando in una risposta affermativa. Nonostante avesse notato la traccia di nostalgia che si era rimpossessata degli occhi di Bill da quando i quattro Berlinesi erano andati via, si era potuta accertare di persona che Bill stesse effettivamente meglio, non poteva essere più che felice per questo.
    «Veramente pensavo di andare a fare foto da qualche parte. C’è una bella luce oggi.»
    Vide Simone sorridergli, probabilmente fiera del fatto che il suo ragazzo avesse preso da lei la sua naturale passione per l’arte.
    «Okay, ma torna prima che faccia buio.» Lo salutò lasciandogli un bacio sulla guancia, per poi dirigersi di sopra.

    Non aveva idea di dove potesse trovare un posto che lo avesse ispirato abbastanza, e poteva dire di star vagando senza meta da una mezz’ora piena. La cosa positiva di Lipsia era che c’erano un bel po’ di spazi verdi, erano abbastanza rilassanti per potervi passare del tempo anche in solitudine, per cui decise istantaneamente che si sarebbe fermato al primo che avrebbe incontrato. Bill cercò di aggrapparsi ad un pensiero qualsiasi, il minimo ricordo, la più grande preoccupazione, ma scoprì solamente di avere la mente vuota – o quasi. Da quando i quattro Berlinesi se n’erano andati, due giorni prima, non aveva avuto molto a cui pensare, dal momento in cui i suoi pensieri correvano da soli a tutto ciò che aveva appreso da Brian quella sera all’Oblivion. Qualcosa che si traduceva in ‘Tom’, ‘Parkour’, ‘Stage’ e così via. In quel momento non fu molto lieto di non riuscire a concentrarsi neanche su Tom, vedeva solo la strada lunga davanti a sé e sapeva di doverla percorrere, punto. Il ricordo dei suoi sogni ricorrenti su un sentiero simile a quello gli passò davanti senza bruciargli la vista, gli provocò un brivido, ma nulla di più. Ringraziò per un attimo l’apatia che si era fatta di nuovo strada in lui, quella stessa che lo portò a non fargli provare particolare interesse per ciò che stava succedendo lì intorno. Così facendo, neanche si rese conto di essere arrivato in prossimità del parco in cui aveva incontrato Ashley e Chris, due giorni prima, ma quel ricordo lo fece sorridere. Ormai stanco di camminare, decise che si sarebbe fermato da qualche parte nei dintorni, notando poi senza dispiacere che il luogo non era molto frequentato, come la volta precedente.
    Si diede un’occhiata intorno e lasciò quasi casualmente che la sua Nikon catturasse un’immagine a caso, riscoprendosi poi privo di ispirazione e soprattutto di energia. Che fosse un tipo fragile era palese, ma alle volte si sorprendeva lui stesso di quanto lo stancassero i minimi sforzi. Probabilmente fu il peso dei suoi diciannove anni a gravare sulle sue spalle, per cui decise di giustificarsi concedendosi una pausa per poi iniziare con mille buoni propositi appesi ovunque a dei fili invisibili.
    ...Era sicuro che fosse passata più di mezz’ora. Le aveva provate di tutte pur di trovare un punto d’inizio, qualcosa che facesse scoppiare la scintilla che avrebbe acceso la sua ispirazione, ma niente. Non era bastato fissare la luce che passava dalla chioma dell’albero sopra di lui, così come osservare i bambini correre lì nei dintorni o la gente passargli davanti, o qualche uccello solitario che se la spassava lì sopra i rami, ma niente. Quelle che aveva ritrovato sul piccolo schermo della macchina fotografica erano solo immagini casuali e intatte, quasi senza senso per lui, per cui anche se aveva deciso di tenerle non vi dava nessun valore particolare.
    Ad interrompere il silenzio religioso che aleggiava nella sua testa fu uno schiamazzo alle sue spalle, poté sentire chiaramente i commenti che lo seguirono, e si chiese come avesse fatto fino a quel momento a non sentire assolutamente nulla. La sensazione di non aver voluto guardare qualcosa, ma averla ormai impressa nelle retine era un senso che Bill conosceva bene: quando infatti la prima cosa che vide, voltandosi, fu Tom sull’orlo delle lacrime per le troppe risate, desiderò morire seduta stante. Riconobbe poi il resto del gruppo al completo, mentre continuavano qualche dibattito di cui non colse l’argomento, ma non gli interessò più di tanto. Quando poi vide Tom spiccare un salto dall’altra parte del muretto che aveva davanti, Bill capì di aver trovato un soggetto decisamente interessante.

    *


    Mancavano a stento una ventina di metri per raggiungere Kim, quando la prima goccia di pioggia gli sfiorò la guancia, ma non se ne curò davvero. Non avrebbe perso quella sfida con Evan neanche morto, pensiero che lo spinse ad allungare il passo, lasciandosi il moretto un paio di metri più indietro. Tom superò velocemente una panchina, poggiando dapprima i palmi sullo schienale per poi darsi una spinta che portò le sue gambe ben più oltre dell’ostacolo, e poi ricominciò a correre. Scorse Gustav, seduto sul muretto, che appuntava accuratamente tutto, come al solito, Kim piegata scompostamente sulle caviglie, assolutamente in stile Spiderman – e Tom si chiese perché quel nomignolo ridicolo fosse stato appioppato proprio a lui –, ma non trovò il resto del gruppo. Sentì la presenza di Evan alla sua sinistra, ma il suo precisissimo Monkey Vault* gli permise di superare in fretta il muretto sul quale si trovavano Gustav e Kim, portandolo a vincere la gara. Il biondo fermò il tempo che scorreva sul cronometro e Kim balzò in piedi, scendendo dal muretto con una delle sue eleganti verticali.
    «Quattro minuti e cinquantotto, Tom vince e Evan tre secondi e mezzo di ritardo» proferì Gustav, appuntando tutto sul suo prezioso block notes.
    «Dai Ev, non te la prendere», aggiunse Kim, notando la rigidità dell’amico che fingeva di fissarsi i piedi, riprendendo fiato. La biondina gli lasciò due lenti colpetti sulla testa, di quelli che di solito si riservano ai cani, riuscendo però a farlo sorridere. Tom li raggiunse, e sorridendo ad Evan, gli si avvicinò per far scontrare le loro nocche.
    «Tre secondi non sono niente, Ev. Ce la farai.» Il vincitore lo guardò serio, ma un sorriso gli dipingeva il volto, stonando con il cielo scuro e l’aria cupa che stava preannunciando un temporale.
    «Sarà meglio andare, ragazzi, sta per venire giù qualcosa di grosso. Ci vediamo domani alla stessa ora dietro la scuola – Tom, avvisa tu Andreas, domani gareggia con Rachel. Mi raccomando, ora che tornate a casa.. niente corse sotto la pioggia»
    «È pericoloso, sì» conclusero i tre in coro. Prima che si congedassero con il loro saluto speciale, aveva già iniziato a piovere.

    Tom capì che Kim amava la pioggia nel momento in cui, offrendole un posto nella sua felpa enorme, aveva preferito starsene sotto l’acqua, tendendo il collo verso l’alto, come a voler raccogliere più gocce possibili, senza importarsene del trucco sciolto. La biondina lo precedeva di qualche passo, stavano parlando tranquillamente come se la pioggia fitta non li stesse davvero inzuppando – ma d’altro canto si erano già bagnati, correre per ripararsi sarebbe stato un controsenso –, quando Kim aveva improvvisamente interrotto la sua piroetta, fissando un punto alle spalle di Tom, che continuava il suo discorso.
    «Tom, ma quello non è, uhm.. Bill?»
    Non aveva avuto il tempo di recepire affondo il messaggio, che si era già voltato. Bill, a qualche metro di distanza da loro, cercava di conservare il più in fretta possibile dei fogli in una cartella che si affrettò a cacciare nella borsa. I suoi capelli si erano già inumiditi, appiccicandosi un po’ ovunque, provò ad immaginarlo bagnato come un gattino e la scena lo fece sorridere.
    «Hey, allora? Che fai, vieni o no?» La ragazza lo raggiunse, seguendo il suo sguardo. Il moretto si stringeva il busto, pressandosi il più possibile contro l’albero – che poi, non aveva mai sentito quanto fosse imprudente rimanere sotto gli alberi durante un temporale? –, mentre guardava con una smorfia di rammarico la pioggia che cadeva fitta lì intorno, ignaro del fatto che da lì a poco avrebbe attraversato anche le foglie. Quando Tom lo vide letteralmente indietreggiare, tremante, alla vista di un lampo che squarciò il cielo, non poté più restare semplicemente a guardare.
    «Perché non gli dai un passaggio? In quella felpa ci stareste perfettamente. Che poi, dico io, come ti ritrovi una felpa del genere in estate?» lo precedette Kim, totalmente disinteressata al fatto che fosse un tutt’uno con la pioggia. Per un attimo dimenticò Brian, lo Stage e due sere fa all’Oblivion, quando lui e Bill si erano di nuovo casualmente incontrati. Non aveva motivo di odiare Bill per colpa di Brian e Justin e quel gruppo di traceur da strapazzo.
    «A me non sembra proprio estate » Kim immaginava cosa stesse dicendo quel sorriso sghembo sul volto di Tom «ci vediamo domani, piccola.»
    Per fortuna o sfortuna che fosse, Bill non lo aveva notato, mentre aveva camminato verso di lui, dal momento in cui gli dava le spalle.
    «Hey.»Tom trovò la gola secca, nel momento in cui dovette cercare le parole giuste.
    Bill sussultò, voltandosi di scatto. Non poteva credere a quella voce, né tanto meno alla figura incappucciata che ora si trovava davanti. Pensò che sarebbe stato saggio dire qualcosa, rispondere al saluto, tanto per iniziare, ma non ci riuscì. Se avesse voluto, avrebbe proseguito il ragazzo che era andato a cercarlo, e magari lui avrebbe parlato solo se necessario, evitando così qualche gran bella figuraccia.
    «Io, ecco.. mi chiedevo se ti servirebbe un passaggio. Non smetterà presto di piovere.»
    Bill lo guardò interrogativo. Aspettava esitante che il ragazzo gli si avvicinasse, lasciando la presa sui lembi del suo cappuccio per prendergli il volto tra le mani, baciarlo e infine sussurrargli di aprire gli occhi. Dopo di che si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto che non era che l’ennesimo incubo, ma tutto ciò non accadde.
    «Io..» non fu molto impegnativa come parola da pronunciare, ma si meravigliò di aver trovato la forza per farlo. Saltò letteralmente sul posto nel momento in cui un tuono fece tremare il terreno e spezzò l’atmosfera delicata, per cui chiuse gli occhi e svuotò la mente che era impazzita tutta in una volta.
    «Ok.» Sperò che due lettere non bastassero a far trasparire il tremore della sua voce.
    Bill credeva che avrebbe guardato con più tranquillità un alieno che il ragazzo davanti a lui. Ok, aveva accettato di essere accompagnato a casa da lui, un estraneo che avrebbe potuto, chessò, picchiarlo o violentarlo in un qualsiasi momento. Sì, un estraneo che aveva ritratto fino a consumare la matita, di cui aveva parlato, che aveva sognato di baciare infinite volte, e che aveva una certa fama tra tutti i traceur della Germania. Niente incontri casuali o maledizioni del genere, questa volta era stato davvero lui a cercarlo – doveva essere per forza un film horror, peggio della storia che gli era stata raccontata da Brian su Tom e il suo gruppo.
    Tom sperò che allargare le sue braccia per fare maggiore spazio all’interno della felpa fosse un messaggio più che chiaro per Bill per ciò che lo aspettava. Di fatto, lui lo guardò stranito, e per un attimo pensò che sarebbe scappato a gambe levate.
    «Sicuro che per te non è un problema?»
    «Assolutamente.» Rispose Tom, cercando di contenere la voce tremante e il sorriso sghembo che non si adattava alla situazione. Ma come gli era venuto in mente? Beh, lui voleva solo essere gentile, in fondo non erano proprio estranei, ma si domandava cosa potesse pensare Bill. Non era sicuro che il moro non lo conoscesse, comunque non poteva saperlo con certezza.
    Quando Bill, ancora stretto nel suo stesso abbraccio, lo affiancò, entrando nella felpa, Tom notò quanto fosse effettivamente magro e.. profumato. Quel profumo dolce, mischiato alle gocce di pioggia, fu un effluvio talmente inebriante che gli azzerò qualsiasi altra capacità. Bill tossicchiò leggermente, fissandosi le scarpe, rumore che bastò a spezzare la piccola parete che stava dando vita a quella bolla di sapone nella quale Tom si sarebbe chiuso per sempre con lui, dimenticando il mondo. Gli avvolse la spalla con la felpa blu, posandovi una mano sopra e stringendola lievemente; dopo di che tirò il cappuccio sulla testa del moro e si incamminò verso l’uscita del parco. Il traceur sapeva di non poter resistere a lungo beandosi solo di quel dolce profumo, voleva di più, qualcosa che si traduceva come il suono della sua voce, che ricordava a stento da quelle poche volte in cui si erano parlati direttamente.
    «Dov’è che abiti?» Continuava a fissare il suo profilo, dannatamente vicino, mentre lo sguardo del ragazzo alla sua sinistra vagava tra la strada bagnata e la punta delle sue scarpe.
    «BalzacStraße. La conosci?»
    «Direi proprio di sì, io abito all’angolo sulla sinistra.» Tom non poté fare a meno di sorridere a quella scoperta. Si chiese se il Destino li stesse benedicendo o cosa.
    Lo notò, poi, lo sguardo di Bill fisso sul suo profilo, nel momento in cui il traceur aveva abbassato lo sguardo per mascherare il proprio. Il moro non poté che trovare adorabile il modo in cui gli angoli di quelle labbra carnose e sicuramente morbide si incurvavano verso l’alto, specie quello adornato dal piercing.
    «Io sono Tom, comunque. Ma scommetto che Brian Stuck ti abbia parlato di me.» Aggiunse con una risata triste che svanì sul nascere.
    «Io.. ecco...» Bill avvampò. Ora sì che era fottuto. Cercò di riacquistare lucidità il più in fretta possibile, ma si ritrovò comunque a parlare senza ragionare. «Non molto, in realtà. Solo che sei un traceur famoso.» Beh, era una mezza verità. O un quarto.
    «Ah, davvero?» Tom non riusciva a spiegarsi il perché non riuscisse a smettere di sorridere. Forse era quella situazione stramba, o il fatto che Stuck parlasse di lui senza sparare cazzate, o il fatto che si trovasse praticamente abbracciato ad un ragazzo che scoprì di aver bramato a lungo.
    «E com’è che ti trovi qui a Berlino, uhm..»
    «Bill» aggiunse in fretta il moro, certo che l’altro non lo sapesse. «I miei genitori hanno deciso di trasferirsi per lavoro. Gordon... mio padre, ora lavora alla Rock Academy.» Chissà quanto importava a Tom del lavoro di Gordon – Bill sapeva solo che le parole erano uscite così, come la pioggia che stava scorrendo a fiumi sul marciapiede.
    «Che figata.» Era la risposta più stupida che avesse mai potuto dare, ma finché bastò a far sorridere il ragazzo al suo fianco, non poté propriamente rimpiangerlo.
    Il silenzio che piombò di punto in bianco era decisamente imbarazzante. Entrambi guardavano fisso davanti a loro, solo ogni tanto Bill si premurava di guardare dove mettesse i piedi o che la sua borsa fosse al sicuro dall’acqua, non voleva che i suoi preziosi disegni andassero perduti. Ora, però, dopo dieci minuti pieni solamente del rumore della pioggia o dei loro passi, Bill sentiva il bisogno di sentire di nuovo la sua voce che lo avrebbe fatto impazzire, oltre al suo profumo e al suo calore, che lo stavano mandando fuori di testa.
    «Piove sempre così tanto qui? È da quando sono arrivato che non succede altro.»
    «In realtà no. È la prima volta che capita, e tutto sommato mi dispiace solo perché con la pioggia non ci si può allenare.» Come lui, Tom amava la pioggia. E Bill credeva di stare per adorare la luce che stava facendo brillare i suoi occhi. Non avrebbe trovato una sola parola per descriverli, ma mentre stava per rispondere all’affermazione del ragazzo, quello lo precedette.
    «Eccoci qui.» E non si era neanche reso conto di trovarsi davanti la soglia di casa Trümper.
    Tom si premurò di accompagnarlo fin sopra, aspettando che cercasse le chiavi nell’enorme borsa che fortunatamente non aveva tenuto sulla spalla che li aveva tenuti uniti. Quando il moro la infilò nella toppa, si rese conto di essersi preso qualche minuto di troppo per osservarlo, e ora chissà cosa stava pensando di lui. Si affrettò quindi a tirarlo fuori dall’indumento – d’altro canto, l’ingresso era al coperto, ma lui aveva preferito ignorarlo –, e si allontanò all’improvviso.
    Bill sentì improvvisamente freddo, cosa che lo spinse a guardarsi indietro, mentre spingeva in fretta la porta, spalancandola.
    «Ok, beh.. è stato un piacere parlare con te.» Sempre più intelligente Tom, davvero. Meritevole di lode.
    Bill non sapeva cosa dire. Fu forse per questo che balbettò senza preavviso il nome dell’altro, facendo quindi riportare il suo sguardo su sé stesso, cosa che lo fece arrossire.
    «Ecco..» si guardò intorno in cerca di un diversivo.
    Ma Tom cosa? Continuava a ripetersi, qualcuno nella sua mente stava urlando, impedendogli di ragionare. Spostò lo sguardo talmente in fretta che neanche si rese conto che quello che stava fissando fosse il portaombrelli. «Prendi. Quella felpa è zuppa, ormai.»
    Tom credeva che avrebbe guardato con più tranquillità un alieno che Bill davanti a lui che gli porgeva un ombrello. Cercò i suoi occhi, infischiandosene nell’ombrello nel momento in cui li trovò, per poi afferrare l’oggetto con lentezza come fosse una reliquia.
    «Grazie.»
    Quando Tom sorrise e i suoi zigomi si alzarono, riducendo i suoi occhi in due fessure brillanti, Bill desiderò solo morire.
     
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  7. bikeey_
     
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    Oh mamma ç_ç Questi ragazzi sono troppo teneri ♥ Vorrei che continuasse così per sempre çwç
    ho recuperato u.u
    beh, che dire.. mi piacciono molto Ashley e Kim, sembrano davvero simpatiche *w* e Tom è così dolce.. no ok, adesso basta ò_ò Bill ovviamente mi piace più di tutti MUFNEYFBEWHBJDNBEWDUYEVFGE ma adesso non è il momento giusto per parlarne u.u e nemmeno il posto giusto quindi addio.

    SPOILER (click to view)
    Martì, amore bello çwç niente cavalli ♥
     
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  8. lime !
     
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    Bene bene bene *o*
    Devo dire che questo capitolo mi serviva proprio! Finalmente sto iniziando ad inquadrare per bene tutti i personaggi e ancora finalmente riusciva ad avere un primo e vero approccio diretto tra Bill e Tom *WW*
    La pioggia d'estate è la cosa migliore che ci sia (ma questo non c'entra, limona òwò)
    Fino ad ora le personalità secondarie che più mi incuriosiscono sono Brian e Gustav, spero ci siam ancora da raccontare su di loro!
    Nel mentre aspettiamo dei passi avanti tra i due piccioni v.v
    Sempre brava chemma *o*
     
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  9. »Chemma«
     
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    CITAZIONE (bikeey_ @ 6/11/2010, 18:03) 
    Oh mamma ç_ç Questi ragazzi sono troppo teneri ♥ Vorrei che continuasse così per sempre çwç
    ho recuperato u.u
    beh, che dire.. mi piacciono molto Ashley e Kim, sembrano davvero simpatiche *w* e Tom è così dolce.. no ok, adesso basta ò_ò Bill ovviamente mi piace più di tutti MUFNEYFBEWHBJDNBEWDUYEVFGE ma adesso non è il momento giusto per parlarne u.u e nemmeno il posto giusto quindi addio.

    SPOILER (click to view)
    Martì, amore bello çwç niente cavalli ♥

    questa me la incornicio *O* no, ok, dai XD grazie mille Masi ♥
    Anch'io ho adorato la pioggia d'estate, se non ricordo male questo capitolo l'ho scritto fuori al balcone mentre pioveva ma questo non è importante D:
    Brian e Gustav sono tra i più ambigui, credo.. sei sempre così attenta, Limona *stima*
    grazie mille ♥
     
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  10. bikeey_
     
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    CITAZIONE (»Chemma« @ 7/11/2010, 08:24) 
    CITAZIONE (bikeey_ @ 6/11/2010, 18:03) 
    Oh mamma ç_ç Questi ragazzi sono troppo teneri ♥ Vorrei che continuasse così per sempre çwç
    ho recuperato u.u
    beh, che dire.. mi piacciono molto Ashley e Kim, sembrano davvero simpatiche *w* e Tom è così dolce.. no ok, adesso basta ò_ò Bill ovviamente mi piace più di tutti MUFNEYFBEWHBJDNBEWDUYEVFGE ma adesso non è il momento giusto per parlarne u.u e nemmeno il posto giusto quindi addio.

    SPOILER (click to view)
    Martì, amore bello çwç niente cavalli ♥

    questa me la incornicio *O* no, ok, dai XD grazie mille Masi ♥

    image AHAHAHHAHAHAHAHAHAHAHA
    chiudiamo qui la discussione che è meglio! u.u ♥
     
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  11. Gaf;
     
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    *______* mamma mia che cosa bellissima!
    L'hai descritta troppo bene questa scena!
    E io ne posso essere solo contenta, c'è troppa tenerezza! **
    Sono fatti l'uno per l'altro *sospira* mi
    Piace! Scrivi presto!
    SPOILER (click to view)
    farò un commento che si possa
    Chiamare tale prima o poi questo non esprime nemmeno la metà di ciò che penso u.u
     
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  12. »Chemma«
     
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    XD grazie Giu *-*
    oggi ho provato a scrivere in classe, ma con tutti quei rompiballe che volevano leggere mi è stato impossibile ._. entro questa settimana spero di concluderlo quel benedetto capitolo, mentre il quinto probabilmente arriverà la settimana prossima >.<
     
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  13. »Chemma«
     
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    5. Strange
    All I feel is strange in your perfect world.
    Tokio Hotel & Kerli



    Non voleva spiegarsi il perché, non sapeva come né quanto sarebbe durato, ma Bill continuava a sentire l’odore della pioggia e… sì, il profumo di Tom. Più di quello della pioggia, in realtà. Stava di fatto che i nei giorni successivi, nonostante il sole avesse battuto su Lipsia come a voler ricompensare ogni singolo acquazzone, nella testa di Bill c’era ancora l’immagine della pioggia davanti a lui, mentre si stringeva a Tom, camminando al suo fianco. Stranamente non aveva ancora avuto l’occasione di sognarlo di nuovo, ma il ricordo del loro ultimo incontro continuava a passargli davanti agli occhi. Insomma, Tom era in ogni modo sempre presente – se non nei suoi sogni lo era al di fuori, occupando totalmente i suoi pensieri, in particolar modo prima di andare a letto, quando si trovava solo con essi, impedendogli così di addormentarsi subito. Era per certi versi straziante. Il punto era che, come al solito, non poteva fare a meno di porsi domande su domande, e un’infinità di ipotesi che il suo pessimismo portava a distruggere sul nascere.
    «E se volesse conoscermi? No, perché dovrebbe farlo? Vive per il Parkour, cosa vuoi che gliene freghi di uno come me.. E se diventassimo amici? Impossibile: lui ha il suo gruppo, e poi siamo così diversi, a me non piace neanche il parkour. Non andremmo d’accordo. E per giunta potrei anche essergli antipatico per via di Brian. È per questo che si è offerto di accompagnarti a casa, nella sua felpa solo voi due insieme, vero? Magari voleva solo essere gentile, oppure gli ho semplicemente fatto pietà.»
    Bill aveva sentito dire che era una specie di disordine psichiatrico, quando nella mente si iniziano ad affollare troppe voci, come fossero più personalità, tutte solo in una mente, ma non aveva mai pensato seriamente di soffrirne. Probabilmente stava sfiorando l’orlo della pazzia, o forse era solo un po’ troppo lunatico – per non dire paranoico. Preferì pensare che fosse decisamente così.
    Era sicuro che Tom non stesse sprecando tutto quel tempo a chiedersi cosa fossero o cosa potessero diventare loro due. Infondo, perché avrebbero dovuto per forza avere un legame solo perché si erano parlati qualche volta? Era effettivamente ridicola come considerazione. Bill sperò che fosse solo la sua solitudine a parlare per lui, e che sarebbe finita, prima o poi.

    *


    «Tom, stiamo uscendo.» Proferì Andreas dalla soglia della porta, probabilmente abbastanza forte da farsi sentire in tutto il palazzo. Il moro lo sentì borbottare con gli altri due nonostante si trovasse due stanze più infondo, e si chiese da quando la voce di Andreas fosse diventata così profonda. Praticamente erano cresciuti insieme, lui, Andreas e Georg, ma non poteva fare a meno di vedere in quei due ancora i ragazzini di undici anni che stavano per rinunciare al loro sogno per un paio di ginocchia sbucciate.
    «Spid, ti lasciamo qui!» Sentì i passi frettolosi di Kim avvicinarsi alla sua porta, e alzò il capo appena in tempo per vedere la biondina fermarsi sulla soglia della porta e posarsi le mani sui fianchi con fare scocciato. «Si può sapere che diamine stai cercando sotto il letto? Hai perso la tutina da supereroe?»
    Il moro le lanciò uno sguardo che la fece sogghignare, essendo riuscita ad infastidirlo, ricordandogli quell’appellativo che odiava.
    «Un ombrello, sto cercando un fottuto ombrello nero. Dov’è?» si alzò dal pavimento, spolverandosi i pantaloni lunghi fino alle cosce, continuando poi a guardarsi in giro; per questo non notò lo sguardo stranito di Kim.
    «Non so se hai notato, ma fuori ci sono 40 gradi all’ombra. A che ti serve un ombrello nero?» La bionda si guardò intorno, reclinando poi la testa indietro e puntando lo sguardo sull’attaccapanni poco distante da lì, vicino il mobiletto all’entrata. Ignorò lo sbuffo di Tom e si apprestò a prendere l’oggetto solo per evitare che mettesse sottosopra tutta la casa. «È questo per caso?»
    Tom strabuzzò gli occhi, che al contempo si illuminarono – e a giudicare dal sorrisetto di Kim, anche lei doveva averlo notato – e fece per allungare il braccio e riprendersi la sua reliquia, ma l’amica fu più veloce di lui e lo allontanò dalla sua mano.
    «Mi dici a che ti serve se fuori c’è un sole che spacca le pietre?» domandò scettica. Pensava che Tom stesse iniziando seriamente a raggiungere qualcosa di molto simile alla pazzia.
    «Non è mio, devo restituirlo!» Stava per bloccare il braccio di Kim, quando quella indietreggiò di qualche passo, tenendo il braccio teso dietro alla schiena, dove Tom non poteva raggiungerla, nonostante la notevole differenza di altezza. «Nana, ridammelo. Ora.»
    I due erano sul punto di azzuffarsi, quando Georg si sporse nel corridoio, irritato nel vederli rincorrersi, incuranti del loro appuntamento.
    «Su, bambini, potrete giocare dopo ad acchiapperello,» nella sua mente si stava facendo strada l’idea di un allenamento talmente sfiancante che avrebbe fatto passare loro la voglia di rincorrersi – gli sembrava una giusta punizione per la loro perdita di tempo.
    «Kimberly Melcher!» tuonò Tom, bloccandosi all’improvviso, mentre la bionda si arrendeva alla tortura che Tom le stava infliggendo – leggasi solletico. «Dai, piantala. Devo restituirlo a Bill, e dobbiamo andare da Gus.»
    «Aha! Lo sapevo!» scattò lei, dando al moro un colpetto sul capo con l’ombrello, prima di restituirglielo.
    Il traceur lo afferrò delicatamente, quasi fosse fatto di cristallo, per poi rigirarselo tra le mani, ignorando la biondina che gli saltellava intorno, curiosa di sapere come fosse andata a finire con il suo amato. Si bloccò sulla soglia della porta, vedendola sghignazzare poco più avanti, per poi iniziare a rincorrerla mentre saettava lungo le scale del palazzo.

    Era sicuro che Georg e Andreas si stessero effettivamente chiedendo perché avesse dipinto sul volto un sorrisetto idiota, mentre dondolava il suo amato ombrellino avanti e indietro, senza mai lasciarlo, chiedendosi se un giorno avrebbe stretto con lo stesso affetto la mano del proprio ipotetico figlio. Svoltarono l’angolo in fretta, li guardava discutere animatamente su qualcosa di buffo, a giudicare dalla risata di Georg che contagiò anche lui e Kim, pur non avendo compreso appieno l’oggetto della discussione. Si guardò intorno con fare pensoso, trovando poi ciò che stava cercando: casa Trümper. Si trovava dall’altro lato della strada, ma si imbarazzò al pensiero che gli altri avrebbero sicuramente riso del suo imbarazzo con Bill.
    «Devo fare una cosa, voi andate avanti, vi raggiungo.» Proferì tranquillamente, alzando un po’ la voce per interrompere le loro chiacchiere. Kim lo guardò tra il divertito e il confuso, ricordandosi poi dell’impegno irremovibile di Tom.
    «Ah no! Questa non me la voglio perdere!» trillò, per l’appunto. Tom la incenerì con lo sguardo, ma il suo sorrisetto tradiva le intenzioni originarie.
    «Cosa?» domandò curioso Andreas, ma prima che Tom potesse rispondere – nonostante non ne avesse voglia, perché stava già per attraversare la strada, senza realizzare subito che gli altri lo stavano seguendo. Kim parlò al posto suo, ma preferì ignorarla.
    Si bloccò davanti ai cinque gradini ai piedi della porta, voltandosi poi verso i tre, trapassandoli da parte a parte con lo sguardo.
    «Non una parola.» Si premurò di scandire bene ogni lettera della frase, per poi precipitarsi a suonare il campanello. Si sentì sollevato nel sentire Georg riprendere il discorso con Andreas e Kim che vi si intrometteva improvvisamente, almeno quello bastò a distrarla. Si lasciò catturare da qualcosa che riguardava una possibile uscita per quella sera, quando rimase pietrificato dal ‘click’ della porta e dalla figura che si ritrovò davanti.
    Bill. O almeno sperava fosse Bill, non aveva neanche lontanamente ipotizzato che ad aprire sarebbe potuto essere uno dei suoi genitori o sua sorella, fratello, amico… Temette davvero che quello davanti a lui non fosse davvero il ragazzo che a stento conosceva, ma gli bastò trovare i suoi occhi per riconoscerlo. Se ne stava immobile sulla soglia della porta, la mano ancora ferma sulla maniglia mentre nell’altra reggeva un pacchetto di quelli che sembravano orsetti gommosi, che immaginò si stesse sforzando di ingoiare. Lo vide richiudere la bocca velocemente, mentre si era soffermato sui suoi capelli leggermente scompigliati, le labbra carnose e gli occhi piccoli, probabilmente dal sonno che voleva recuperare per far sparire quella traccia di occhiaie che sfiguravano su quel volto perfetto. Realizzò solo in quel momento, nell’arco di cinque secondi, quanto Bill potesse essere carino anche con indosso una tuta blu elettrico e una magliettina abbastanza striminzita da scoprirgli la pancia appena sopra l’orlo della tuta.
    «Hey, Bill.»
    Hey Bill. Come diavolo se n’era uscito? Sperava che il borbottio di sottofondo fosse bastato per alleviare la tensione di quel momento, ma sentiva ancora la sua stessa voce rimbombargli nelle orecchie.
    «T-Tom. Hey.» La sua voce suonava incerta e spezzata, e Tom pensò che era giustificabile, insieme al rossore che stava tingendo le sue guance normalmente pallide. Lo trovò in ogni modo adorabile.
    «Io, ecco…» gli porse l’ombrello, riuscendo a pensare che sarebbe stato decisamente stupido ammettere che in realtà era lì per restituirgli quell’affare. «Mi trovavo a passare di qui.»
    Lo vide abbassare lo sguardo più che confuso e allungare la mano per prendere l’oggetto. «Oh. Grazie..» mormorò incerto. In effetti, non c’era un gran motivo per ringraziarlo. Il silenzio che calò tra loro due fu relativamente imbarazzante, il brusio di Georg e Andreas a pochi metri di distanza era del tutto irrilevante, per cui Tom decise di rimediare alla bell’e meglio.
    «Allora, co..»
    «Ciao!» trillò una voce alla sua destra. Si voltò lentamente solo per scoprire il sorriso a trentadue denti di Kim che in altri termini avrebbe definito smagliante, ma che in quel momento era l’ultima cosa che desiderava vedere.
    «Uh, ciao.» Aggiunse Bill, spiazzato dall’energia che emanava quella ragazza. Ricordò vagamente come Brian l’avesse presentata, nonostante ricordasse solo che fosse la migliore amica di Tom.
    «Io sono Kim, piacere, Bill» suonò naturale, come se fosse la cosa più ovvia del mondo presentarsi ad uno sconosciuto in tuta davanti alla sua porta di casa.
    «..Siccome Tom è troppo imbranato per chiedertelo: Bill, sta sera non hai da fare, vero? Usciamo a mangiare qualcosa all’Oblivion tutti insieme, ti facciamo conoscere un po’ di gente! Tom mi ha parlato così tanto di te.»
    Bill impiegò più del previsto per recepire appieno quel messaggio. Guardò stranito Tom, che aveva sgranato di poco gli occhi in un chiaro atto di sorpresa, per poi riportarli sulla bionda che sprizzava euforia da tutti i pori, in ogni parola, in ogni gesto. Desiderò solamente avere il 5% della sua energia.
    Vide le labbra di Tom arricciarsi e i suoi occhi brillare, e per un attimo sperò che non si stesse sbagliando.
    «Se… se non sono di troppo, perché no.»
    «Assolutamente no, tranquillo.» Tom sorrise pacato, trovando il suo tono calmo e osò dire rassicurante, fermando sicuramente chissà quale esclamazione bizzarra di Kim.
    «Ok, a sta sera allora. Ciao!» la biondina schizzò via, e Bill la seguì con lo sguardo, vedendola abbracciare da dietro il moro che ricordava si chiamasse Andreas.
    «È sempre così, purtroppo. Ci si fa l’abitudine.» Tom cercò di mascherare il suo sorriso abbassando lo sguardo, riportandolo poi su Bill che sembrava essersi adattato alla sua presenza. Come non detto: lo vide sorridere imbarazzato, mentre cercava di guardare ovunque, tranne che nei suoi occhi.
    «Allora, che ne dici per le otto? Passo io di qui.»
    Aspettò esitante la sua risposta, il cuore in gola. Lo vide trattenere il respiro, per poi espirare pesantemente e sorridere.
    «Alle otto.»

    *


    Dopo essersi chiuso la porta alle spalle e aver lanciato uno sguardo distratto all’orologio, aveva constatato che avesse effettivamente solo quattro ore e mezza per prepararsi. Aveva quindi raggiunto il bagno il più in fretta possibile e aveva passato tre buoni quarti d’ora sotto la doccia tiepida; un’ora dopo, dopo aver addirittura sistemato ogni singolo capello fuori posto, da una buona mezz’ora fissava un paio di possibili abbinamenti per ciò che avrebbe dovuto indossare. Una cosa del tutto sconclusionata, ma solo Bill Trümper poteva sapere che tipo di ragionamenti si stavano svolgendo nella sua mente. Decise infine di andare drasticamente sul classico: jeans scuri e maglietta rossa, abbinati ad una cintura con un paio di borchie ed una buona dose di gioielleria non troppo vistosa. Il momento cruciale, quello del trucco, fu migliore del previsto: con una buona mano ferma ci aveva messo poco per ricoprire di un nero abbastanza pesante le palpebre e contornare gli occhi luminosi con uno strato generoso di eyeliner. In quindici minuti poteva dire di essere realmente pronto, nonostante fossero solo le sette e mezza.
    Avrebbe lanciato un urlo in grado di spaccare ogni vetro della sala se solo non avesse avuto un minimo di contegno, quando sentì il campanello suonare. Non aveva più badato all’ora, guardandola in continuazione si sarebbe solo agitato di più. Rischiò di rimetterci l’osso del collo inciampando sul tappeto, ma incredibilmente raggiunse la porta, aprendola con calma, e poi desiderò veramente sprofondare alla sola idea di che razza di espressione si fosse dipinta sul suo volto. Tom figurava davanti a lui in una semplice t-shirt nera, lunga fino alla vita e abbastanza aderente per i suoi standard, dei jeans altrettanto stretti sui quali preferì non soffermarsi, e a decorare il tutto, una fascetta nera di velluto gli copriva la fronte. Lo vide sorridere e in un gesto automatico gli sorrise di rimando.
    «Allora, uhm... sei pronto?» Bill adorò letteralmente il modo in cui gli angoli della sua bocca si incurvavano verso l’alto e come usava toccarsi la guancia dal nervosismo.
    «Solo un minuto.»
    Dopo aver recuperato la borsa e le chiavi di casa, aveva notato che Tom fosse da solo. Non sapeva se era l’assenza di Kim o chi altro a renderlo nervoso, o il fatto di non sapere come diavolo comportarsi a quello pseudo- appuntamento. Non riusciva a sopportare di sentirsi irrequieto.
    «Gli altri ci aspettano già lì.» Aggiunse velocemente Tom, giusto per rompere il ghiaccio. Pensò che in quel caso le sue doti teatrali fossero estremamente utili, poteva benissimo mascherare il proprio nervosismo, ma si chiedeva se la cosa avesse potuto tranquillizzare Bill in qualche modo. Lo vide annuire in un sorriso tirato, e in un attimo, la sua idea di serata perfetta e tranquilla, iniziò lentamente a sfumare.

    *


    Erano tutti lì, seduti al solito tavolo, quello vicino alla finestra dove aveva visto Tom per la prima volta e dove li aveva trovati quando era stato all’Oblivion con Brian, Ashley e Chris. Il campanello del locale tintinnò, e Tom si fece da parte per farlo passare, quel suo sorriso gentile sempre disegnato in volto. Avrebbe potuto nascondere il suo imbarazzo, solo che non ci riusciva. Non rientrava nella lista di ‘cose da Bill’ sentirsi a suo agio in mezzo alla gente, specie se sconosciute; aveva un vago ricordo delle settimane che ci aveva impiegato per ambientarsi nelle sue vecchie scuole, fino al momento in cui aveva conosciuto Ashley, alla fine del primo anno di scuole medie. Dubitava che in un paio di giorni sarebbe riuscito a sentirsi a casa in un gruppo già unito.
    «Eccovi finalmente, vi stavamo aspettando.» Kim non mancò ad accoglierli il più calorosamente possibile, cosa che fece sorridere Bill, alleviando un po’ la sua tensione. Si immobilizzò dietro Tom nel momento in cui scorse da vicino gli altri volti poco conosciuti; nonostante tutto, continuava a chiedersi il perché fosse realmente lì. Tom sembrò notare il suo improvviso irrigidimento, per cui si premurò di posargli leggermente una mano tra le scapole, invitandolo a sedersi per primo. Bill alzò di scatto la testa verso di lui, e il sorriso che interpretò come incoraggiante lo portò a rispondere con uno che sfiorava il significato di gratitudine. Prese posto trovandosi tra Tom, alla sua sinistra, e il ragazzo piastrato di nome Georg, che si affrettò a stringergli la mano, presentandosi.
    «Loro sono Gustav e Andreas,» continuò Tom, indicando i ragazzi di fronte a lui. «Evan e Rachel,» Bill strinse la mano ad entrambi, confortato dal fatto che le loro espressioni non apparissero né scocciate né tanto meno infastidite dal fatto che un berlinese si trovasse tra loro. «E quella nanetta la conosci.» Concluse, alludendo a Kim, che in tutta risposta gli mostrò la lingua, facendo scintillare il suo piercing. Bill rimase stupito dalla scoperta, nonostante ne portasse uno anche lui, ma in tutte le volte che Kim aveva parlato con lui o meno senza sosta, non l’aveva mai notato.
    «Piacere mio, io sono Bill.» Si presentò al gruppo in linea generale, prendendosi qualche minuto per studiare i loro volti. Non gli piaceva provare a giudicare le persone dal loro aspetto esteriore, ma doveva ammettere che di brutte impressioni non c’era la minima traccia. Rachel era indubbiamente una bellissima ragazza: capelli ambrati lunghi fino alle scapole, occhi dorati e delineati da uno spesso strato di matita nera, mandibola marcata e naso perfetto. Non riuscì ad immaginarla con nessun altro a parte Georg, sembrava essere stata ideata su misura per lui. Andreas appariva come un ragazzo tranquillo, ma non poté fare a meno di non notare i muscoli delle sue braccia, scoperti dalla maglietta nera priva di maniche che indossava, e per un attimo ebbe seriamente paura di potersi ipoteticamente trovare stretto tra di esse. Ognuno di loro emanava una bellezza propria, di quelle come ne aveva viste poche, e scrutando i loro sguardi e ascoltando involontariamente i discorsi che fluivano in quel momento, comprese e invidiò il rapporto che li legava. Era qualcosa di molto simile a quello che avevano lui e i suoi amici, e per un attimo sentì la nostalgia invaderlo, rendendogli gli occhi lucidi e facendolo sentire più perso di quanto già lo fosse. Si affrettò a spostare lo sguardo, rabbrividendo nel trovare gli occhi di Tom fissi su di lui.
    «Tutto bene?» sussurrò lui, avvicinandosi di poco. Non voleva essere invadente, ma un moto di tenerezza si era fatto spazio da qualche parte dentro di lui nel vedere lo sguardo perso di Bill. Comprendeva il suo sentirsi estraneo a tutto quello, ma per qualche strano motivo si promise che per nessuna ragione si sarebbe dovuto sentire fuori posto.
    «Sì,» balbettò in fretta, senza riuscire a reggere quello sguardo che sembrava attraversarlo da parte a parte. «È carino qui. Mi piace questo posto, anche il nome è originale.»
    Tom sorrise lievemente. «È stato Georg a deciderlo, quello» il traceur lo vide sgranare debolmente gli occhi, decidendo poi di concedersi un po’ di arie. «Il proprietario era un amico di mio padre, per questo ha accettato ben volentieri il nostro aiuto. E, beh, direi che è stato un buon risultato.»
    L’idea di distogliere lo sguardo dal volto di Tom non sfiorò Bill neanche per un minuto. Non credeva avrebbe potuto farne a meno, né di quegli occhi magnetici, né della voce che usciva fluida, auspicabile, da quelle labbra che si muovevano morbide ad ogni parola. Era quasi maniacale come pensiero, ma se avesse saputo in che modo, non ci avrebbe pensato un minuto di più a spegnersi il cervello.
    «Allora Bill, che prendi?»
    La voce squillante di Kim, di fronte a lui, bastò a destarlo da quello stato catatonico nel quale si era ritrovato ancora a causa di Tom – cosa che lo aveva portato a non notare neanche la cameriera che aveva raggiunto il tavolo e che, a quanto sembrava, aspettava solo le ordinazioni dei due per iniziare il suo lavoro.
    «Per me un California*. Per te Bill?» chiese, voltandosi di poco, giusto per trovare l’espressione corrucciata del moro davanti ad una lista della quale sembrava non capire nulla. Se possibile, Bill si imbarazzò ancora di più, davanti alla sua impreparazione.
    «Uhm... io, ecco..»
    «Ti consiglio quello che ha preso Tom. O le patatine. Ah, Emma, per me solo le patatine, senza ketchup mi raccomando, e poco sale. E una coca cola. Ehi, avete già ordinato da bere?» Bill alzò lo sguardo verso Kim, che non aveva più smesso di parlare, facendosi poi voce del gruppo e dando le definitive ordinazioni.
    «Anche per me, allora.» Decise senza troppo entusiasmo.
    «Bill, ti piace la birra?» continuò la biondina. Il moro dissentì arricciando il labbro in una smorfia risibile, optando poi per una coca cola. Vide con la coda dell’occhio Tom sorridere, fissando il tavolo, decidendo poi che adorava il modo in cui i suoi occhi si assottigliavano, brillanti.

    Non avrebbe osato dire di aver passato una brutta serata o che sarebbe potuta andare meglio, perché Bill era stato effettivamente bene con quel gruppo in cui era inizialmente convinto che sarebbe stato emarginato per tutto il tempo, se non per Tom che immaginava stesse cercando di essere gentile nel modo più forzato possibile. I cinque ragazzi si erano rivelati molto più cortesi di quanto Brian avesse detto: per questo motivo, dal momento in cui avevano iniziato la loro cena, che aveva rappresentato il momento in cui il ghiaccio si era definitivamente sciolto, Bill non si era sentito fuori posto neanche un secondo di più. Rachel si era rivelata più disponibile di quanto sembrasse, non troppo invadente, ma quanto meno socievole, così come Gustav ed Evan, che Bill aveva classificato come i più introversi del gruppo. Non si era neanche reso conto delle due ore che avevano trascorso nel locale, dal momento in cui si erano limitati a gustare il loro pasto e a chiacchierare incessantemente tra una risata e l’altra. Aveva percepito quella tensione iniziale solo nel momento in cui Andreas gli aveva chiesto di parlargli un po’ di Brian, discorso che sembrava aver catturato l’attenzione di tutti. Bill si era dovuto però limitare al fatto che non ne sapesse poi molto su questo gruppo di traceur e del Parkour in generale, giusto qualche nozione fornitagli dall’amico che invece sembrava più che appassionato alla cosa, ma trovandosi in soggezione, Tom si era premurato di aiutarlo e di cambiare velocemente discorso.
    Si stavano lasciando alle spalle l’Oblivion, quando Bill iniziò a perdersi nei suoi pensieri, non sapendo più cosa dire. Non aveva parlato poi molto, il timore di dire qualcosa di sbagliato e di rovinare quel poco che stava costruendo lo aveva accompagnato comunque, ma non poté fare a meno di ripensare a serate come quella passate con i suoi amici. Non sapeva neanche cosa fossero ora quei ragazzi che si stava apprestando a seguire, diretti chissà dove, ma sperava solamente che dopo quella sera non sarebbe stato costretto a passare altri innumerevoli giorni chiuso in casa.
    Si passò distrattamente i palmi delle mani sui bicipiti, continuando a tenere lo sguardo fisso davanti a sé – anche se in realtà la sua visuale era piuttosto limitata, trovandosi come ultimo della coda dopo i cinque ragazzi, solo Tom camminava al suo fianco fungendo da compagno. Il cielo scuro rendeva l’idea di una serata calma, anche se in realtà tirava un venticello fresco, ma considerò sopportabile la cosa.
    «Hai freddo?»
    Bill voltò la testa di scatto alla sua sinistra, trovando Tom con la sua solita espressione serafica che lo osservava con attenzione. Trovò suggestiva la sua voce roca, ma si impose di non lasciarsi distrarre ulteriormente.
    «N-no, sto bene. Grazie.» Gli rivolse un sorriso, più sincero che di cortesia, per poi fissare imbarazzato l’asfalto su cui stavano camminando. La stradina gli sembrava familiare, ma proprio mentre iniziava a scorgere la sua BalzacStraße, il gruppo davanti a lui svoltò nell’angolo opposto, confondendo le sue idee.
    «Uhm.. dov’è che stiamo andando di preciso?» chiese con fare vago. Sperò che in quelle poche parole non trasparisse il suo nervosismo, ma non poté fare a meno di avvolgersi il busto con fare protettivo.
    «Non ne ho idea,» Tom poté notare il tremore di Bill, ma preferì ignorarlo. «Georg, dove siamo diretti?»
    Il moretto davanti a loro si girò in contemporanea con Rachel, trattenendo un discorso che Bill preferì non ascoltare, troppo preso dal modo in cui vide la mano di lui stringere l’esile spalla della ragazza. Un ricordo di lui e Ashley nella stessa posizione gli passò davanti agli occhi, facendolo incupire.
    «Bill, sicuro che sia tutto a posto?» Sentendosi chiamare dalla voce profonda di Georg, il moro alzò ancora una volta di scatto la testa, affrettandosi a tirare un sorriso imbarazzato, annuendo poi velocemente. Si voltò appena in tempo per notare lo sguardo fermo di Tom su di lui. Ebbe un brivido e cercò qualcosa da dire, ma capì che le parole gli sfuggivano senza un reale motivo.
    «Siamo al PK’s Park,» suggerì il traceur con un cenno, lasciando che il resto del gruppo andasse più avanti di loro. Bill lo riconobbe come il parco in cui era stato più di una volta, ma si limitò ad ascoltare con interesse il racconto del moro. «In realtà lo abbiamo rinominato noi così, perché PK sta per Parkour. È stato qui che Georg mi ha insegnato praticamente tutto, il luogo in cui siamo cresciuti. Una delle poche cose belle di Lipsia.» Sfiatò l’ultima frase con un tentativo di risata, ma Bill era riuscito a scorgere la nota di malinconia nel rivivere quel ricordo, e non poté fare a meno di capirlo. Ascoltando Tom, non si era reso conto di ciò che intanto era successo. Si guardò fugacemente intorno, trovando i cinque ragazzi lontani una ventina di metri da loro, che intanto continuavano a camminare lentamente senza mai sfiorarsi. Si sporse un po’ oltre la spalla di Tom, catturato dalla risata di Kim, che trovò letteralmente avvolta a una di quelle sbarre che ricordava fossero utilizzate per la ginnastica artistica, mentre gli altri intorno chiacchieravano distrattamente, seduti su un muretto lì vicino. Si fermò ad osservare Tom, rivolto in direzione della biondina, e poté giurare di aver sentito una fitta dolorosa al cuore nel momento in cui lo sentì ridere.
    «Sempre la solita.» Aggiunse il traceur, voltandosi poi verso Bill senza smettere di sorridere. Il moro fece dietrofront, percorrendo un altro paio di metri, trovando poi uno spazio non troppo isolato, ma apparentemente comodo per sedersi.
    «Non sei di molte parole, vero? Mi fai sentire logorroico.» Fece un cenno a Bill, invitando a raggiungerlo. L’altro esitò il minimo per trovare il punto in cui si sarebbe seduto, su quel muretto, accanto a Tom.
    «In realtà, incolpano anche me di esserlo,» sbuffò in una risatina, aggiustandosi un ciuffo che il vento stava facendo ribellare. «Ma... non mi trovo molto a mio agio in mezzo alla gente. Intendo dire..», si affrettò a cercare le parole giuste per rimediare quello strafalcione, un’espressione corrucciata dipinta sul volto. «Noi due ci conoscevamo già, mentre era la prima volta che parlavo con qualcun altro di questa città che non fossi tu o...» Si bloccò improvvisamente, come terrorizzato da quello che Tom potesse pensare di lui. Desiderò solo avere una voragine in cui sprofondare.
    «Ho capito, ho capito. Preferisci un po’ più di intimità.»
    Una gran figura Bill, davvero una gran bella figura, si sgridò mentalmente.
    «Beh.. tecnicamente è così. Difettaccio.» Tentò di giustificarsi scrollando le spalle, e nel vedere Tom sorridere alla sua affermazione sentì un moto di sicurezza attraversarlo. Finalmente, dopo circa due ore e mezza, quel ghiaccio prepotente iniziava a dimezzarsi, sciogliendosi, rivelando la sua vera identità.
    «Ok, vorrà dire che la prossima volta ti inviterò ad uscire solo con me.» Tom rise della sua stessa affermazione, alzando il capo con fare vanesio, così da non notare la reazione di Bill. Impiegò un po’ di secondi per assimilare la notizia, un’altra manciata per deglutire il groppo che gli si era formato in gola, concludendo il tutto con un sorriso di cui si vergognò, ma che non cercò di nascondere, se non abbassando la testa, fissandosi con interesse le scarpe. Tom comunque non poté fare a meno di non notarlo, la tenerezza che provò in quel momento gli fece desiderare solamente di prenderlo tra le sue braccia e perdersi in quel dolce profumo – e non solo, probabilmente.
    «Sarebbe un piacere, in quel caso.»
    La mano di Tom, a metà strada tra la tasca e un punto a caso in cui avrebbe facilmente estratto una sigaretta dal pacchetto, si bloccò improvvisamente, in tempo per notare Bill mordersi il labbro. Gli sorrise di rimando, amando il modo in cui lo stava guardando: la testa inclinata, le sopracciglia leggermente inarcate e la scintilla che scorse nei suoi occhi, non propriamente a causa della luce soffusa dei lampioni.
    Il traceur sorrise, fissandosi il pacchetto di Marlboro tra le mani, beandosi di quella risata cristallina che lo fece sciogliere.
    «Fumi?»
    «No, grazie. Non mi va» rispose sbrigativamente il moro, in totale contemplazione dell’altro. Non avrebbe voluto che l’odore pungente della nicotina gli portasse via il profumo di Tom, anche se ogni tanto gli piaceva concedersi qualche sfizio.
    «Ti spiace..?» mormorò Tom, alludendo alla sigaretta.
    «No. No, figurati.» Aggiunse distrattamente Bill, accavallando le gambe. Osservò con interesse i movimenti automatici di Tom, totalmente preso dalla cosa. Incredibile come sapesse catturarlo con un minimo gesto, solo con uno sguardo, che bastava a fargli capire tutto quello che avrebbe espresso con milioni di parole. In quel momento, Bill desiderò solo che qualcosa in tutto quello fosse realmente cambiato.




    Note: sì, sono viva, ma credo ancora per poco XD e in ogni caso avevo detto che oggi avrei postato, quindi eccomi qui, anche se con mia sorella me mi minaccia insieme al libro di latino ç.ç in ogni modo, eccovi il capitolo (: mi chiedevo cosa ne direste se decidessi in modo ufficiale di postare la domenica ogni due settimane, perchè di solito non sto tranquilla se prima di postare non ho scritto almeno un capitolo :/
    Riguardo a quello appena postato, uhm... da qui direi che si inizia a evolvere il rapporto di Bill e Tom e soprattutto dovrebbe evidenziarsi il ruolo di Kim, ovvero quello di 'aiutante' dei due piccioncini :3
    E il resto è da vedere, insomma u.u scusate, sono di fretta, si vede? >.<
    A Domenica prossima, se avete domande io sono qui u.u
     
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  14. lime !
     
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    Che dire? Finalmente le acque iniziano a muoversi. Bill mi da l'aria del pulcino bagnato, un po' troppo perso nel suo mondo, nella sua testa. Ha decisamente bisogno di un Tom per uscire dal guscio e iniziare per così dire a camminare. D'altra parte la canzone che fa da nome al titolo credo esprima al meglio tutti i sentimenti di Bill in questo capitolo.
    Kim mi piace! E' una vera bomba ad orologeria, mantiene vivo l'ambiente e sono sicura che svolegerà un ruolo importante tra i due.
    Il tuo modo di scrivere mi piace sempre più Chemma!
    Non mi annoia nemmeno un po', con certe storie mi capita di saltare intere frasi, con Drops, invece, non mi succede affatto!
    Per quanto riguarda i capitoli, fai come ti senti più sicura, anch'io quando scrivevo preferivo avere un capitolo sempre pronto (cosa che non succedeva mai, LOL)!
    L'autrice sei tu e quindi a te la scelta, tanto io non scappo, puoi star tranquilla!
     
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  15. »Chemma«
     
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    Bill è esattamente come l'hai descritto, sono davvero contenta che tu l'abbia capito e che non ti capiti di saltare frasi XD grazie mille Limona onnipresente (:
     
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125 replies since 14/9/2010, 23:05   4277 views
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