Summer Love

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  1. .Ila.
     
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    CAPITOLO I



    Bill si abbassò di più sulla tela e ripassò un bordo del dipinto. Non l'avesse mai fatto; una fitta fortissima gli colpì lo stomaco, facendolo letteralmente piegare in due. Trattenne il fiato per una manciata di secondi e, quando fu sicuro che il peggiò fosse passatto, tornò dritto.
    Buttò l'occhio sul lavoro e decise di finirla lì per quel giorno; aveva avuto nausea praticamente tutta la mattinata, e il pomeriggio era stato caratterizzato da fitte allo stomaco, per non parlare poi di quanto era stanco...

    Pulì il più velocemente possibile i pennelli con lo straccio tutto macchiato di colore, per poi sdraiarsi stancamente sul divano ed iniziare a massaggiarsi lo stomaco non appena percepì l'arrivo dell'ennesima fitta.

    Una volta passata anche quella, chiuse gli occhi sperando di riuscire ad addormentarsi in fretta. Se fosse riuscito a prendere sonno, non avrebbe più sentito quel dolore allo stomaco, o almeno lo avrebbe sentito di meno.
    Si era già assopito quando il campanello suonò e, dopo aver imprecato poco finemente verso chiunque avesse deciso di fargli visita proprio in quel momento, andò ad aprire.

    -Andi...- disse in quello che più che un saluto sembrava un lamento.
    Il biondo inarco un sopracciglio.
    -Che hai?- gli domandò senza tanti giri di parole.
    -Sto poco bene...- mormorò passandosi una mano sullo stomaco.
    -Ok, comunque ciao-
    -Ciao- ricambiò il saluto abbracciandolo piano.

    Chiuse la porta dietro Andreas invitandolo silenziosamente a raggiungerlo in soggiorno, dove rioccupò il divano riprendendo a massaggiarsi lo stomaco con movimenti circolari.
    -Mal di stomaco?- domandò il biondo inarcando un sopracciglio alle smorfie dell'amico.
    -Non so, continuò a vomitare e sono stanco morto...- biascicò Bill chiudendo gli occhi e concentrandosi sull'ennesima fitta.

    Andreas annuì restando in silenzio. In verità erano diversi giorni che osservava il moro, e lo vedeva sempre stanco e pallido, ma non gli aveva ancora chiesto nulla; se fosse stata una cosa importante gliel'avrebbe detto lui stesso. Ma come amico, ora, non poteva vederlo star male senza almeno dargli un consiglio.

    -Bill...- esordì un tantino insicuro, -Non hai pensato che sia meglio farti visitare?-
    -No- rispose secco il moro. Andreas sapeva quanto lui odiasse ospedali e tutto ciò che di clinico c'era, anche se il motivo non lo aveva mai capito appieno. Insomma, nessuno amava sottoporsi ad esami e visite, ma la sua era proprio una fobia!
    -E' una cosa passeggiera, sarà un virus...- continuò il moro mentre si massaggiava ancora lo stomaco.

    Andreas annuì; sapeva che non c'era niente da fare per far cambiare idea a Bill, quindi era meglio starsene zitti.
    -Solo...- disse cercando il suo sguardo. Quando gli occhi nocciola si incastrarono con quelli azzurri del platinato, proseguì.
    -Se continui a stare male, andiamo da un dottore, ok?- domandò in tono che non ammetteva repliche.
    -Ok- concesse il moro. Fece una smorfia e posò la testa in grembo all'amico.
    -Mi fai un massaggino?- domandò poi, con gli occhioni da cucciolo.

    -x-X-x-

    Bill maledì alla grande il giorno in cui aveva promesso ad Andreas che sarebbe andati da un medico. Il biondo infatti, dopo due settimane di nauesee, vomito, mal di stomaco e chi più ne ha più ne metta, lo aveva portato di peso fuori l'appartamento, caricato in auto e portato nello studio del medico di Andreas.

    -Buongiorno- salutò allegro il dottore. Era un uomo sulla cinquantina, paffuto e con degli occhiali rotondi. Ricordava moltissimo Harry Potter con trent'anni in più.
    -Salve- ricambiò Bill scorbutico, guadagnandosi un'occhiataccia da Andreas. Il dottore fece segno ai due di accomodarsi sulle poltroncine di fronte la scrivania lucida di ebano.
    -Allora, cosa c'è che non va...come ti chiami?- chiese il medico.
    -Bill, Bill Trümper- si presentò il moro.
    -Oh, bene. Dunque, Bill, cosa ti porta qui?- domandò l'uomo mentre appoggiava i gomiti sulla scrivania.
    Il moro evitò di lanciare un'occhiata omicida ad Andreas e dire semplicemente -e in modo mooolto accusatorio- LUI. Quindi fece un respiro profondo e poi parlò.
    -È una specie d'influenza, nulla di che...- sminuì il moro gesticolando.
    -Se me lo permetti, questo lo dico io- ribattè il medico arricciando il naso, -e ora dimmi i sintomi e da quanto va avanti, per favore- concluse congiungendo le mani tra di loro.
    Bill arricciò il naso a sua volta, offeso dall'impertinenza di quel mediconzolo da quattro soldi.
    -Ho...dolori allo stomaco, delle fitte più precisamente, e poi ho nausee continue, sopratutto la mattina, e mi viene da rimettere anche quando non ho mangiato nulla.
    Va avanti da circa...tre settimane, più o meno- spiegò tutto d'un fiato e a capo chino. Non ne sapeva il motivo, ma si sentiva in grande imbarazzo a parlare di quei sintomi.
    Il dottore sembrò pensarci su qualche istante, poi si rivolse nuovamente a Bill.
    -Stenditi, per favore- chiese indicandogli il lettino a ridosso della parete. Il moro obbeddì, sdraiandosi e sottoponendosi ai vari "palpeggiamenti" del dottore sul suo stomaco piatto.

    Quando il dottore ebbe finito con le domande su dove sentiva male se premeva, gli porse una boccetta di plastica trasparente, con un coperchio rosso.
    -Un ultima cosa, devo fare alcuni esami alle tue urine- disse mettendogli l'oggetto tra le mani. Il moro fece un'espressione schifata ma si diresse comunque verso il bagno e fece quello che gli era stato chiesto. Dopo avergli riconsegnato la boccetta il medico aveva chiesto a lui ed Andreas di aspettare fuori l'esito delle analisi, così si erano seduti sulle poltroncine ed erano rimasti dieci minuti in un silenzio religioso.

    -Secondo te...è tanto grave?- chiese Bill rompendo il silenzio del corridoio. Andreas si sorprese; Bill sembrava davvero molto, molto preoccupato.
    -Ma no dai...mi sembrava fosse tranquillo- cercò di minimizzare il biondo, anche se pure lui era preoccupatissimo per l'amico.
    -Dici?- domandò con la voce un po’ incrinata.
    -Tranquillo- lo rassicurò posandogli la mano sul ginocchio e stringendolo piano.
    Il moro gli sorrise grato, e proprio in quel momento il dottore uscì dallo studio, un'espressione seria in volto. Bill trasalì a quella visione.
    -Potete entrare nel mio studio?- chiese l'uomo, e i due si alzarono e lo seguirono, l'ansia a mille.

    -Allora...- iniziò il medico, sistemandosi gli occhiali sul naso.
    -La prego, me lo dica ora, quanto mi resta?- chiese il moro sull'orlo del pianto.
    Il medico strabuzzò gli occhi.
    -Cos...No Bill, hai frainteso, non stai per morire!- mise subito in chiaro.
    -Ma allora che diavolo ho?-
    -Vedi Bill...tu sai cosa sono gli ermafroditi?- chiese cauto il dottore.
    -S-si- rispose il moro, più confuso di prima.
    -Ecco, tu sei uno di loro- disse in un soffio l'uomo.
    -Cosa?!- chiesero quasi all'unisono Bill e Andreas, scioccati.
    -M-ma io s-sono un maschio! Insomma n-non ho....! Non posso avere bambini, non dentro di me almeno!- riprese il moro, rosso come un pomodoro maturo in viso.
    -Lo so, ma una cosa per volta. Dunque, tu hai detto di sapere cos'è un'ermafrodita, giusto? Bene, una persona che ha sia gli organi riproduttivi maschile che quelli femminili. Ora, probabilmente ti immagini che siano visibili in quanto ci sono entrambi, ma ci sono alcuni casi, e sono molto rari, gli organi sono interni, come lo sono il fegato, polmoni, cuore e via dicendo, mi segui? Questo è il tuo caso. Quindi si, puoi avere bambini dentro di te, come una donna- spiegò il dottore, tranquillissimo -e quasi felice, al vederlo- all'idea di avere di fronte a se un uomo incinto.

    Bill aprì e chiuse la bocca un paio di volte, sconcertato. Posò inconsciamente una mano sullo stomaco accarezzandolo diverse volte. C'era davvero qualcuno dentro di lui? Sembrava una cosa davvero impossibile, ma infondo la trovava anche bella e dolce. Lì dentro stava crescendo una nuova vita, suo figlio. Quando spostò la mano sembrò riconnettersi alla realtà. Guardò prima Andreas, che era in attesa di una qualsiasi reazione, e poi il medico, che lo guardava tra il curioso e il divertito.
    -Ok- disse in un soffio il moro, accennando un sorriso.
    -Ok?- ripetè incredulo Andreas; ma Bill si rendeva conto di ciò che aveva detto il dottore?
    -Quindi decidi di tenerlo?- domandò il medico, piacevolmente sorpreso.
    -Si...credo. Ma penso di dover parlare con il padre prima...- ragionò il moro.
    Il medico annuì e, dopo aver parlato un po’ a Bill sul da farsi, congedò i due ragazzi, ricordando al moro di non agitarsi e non affaticarsi troppo.

    -x-X-x-

    Quando Bill rientrò in casa, dopo aver ascoltato la predica infinita di Andreas, che poi gli chiedeva i particolari del fatto, era stanco morto.
    Si buttò letteralmente sul divano pensando che almeno quella sera non aveva nausea e company. Sorrise e iniziò ad accarezzarsi il ventre piatto, mentre i suoi pensieri andavano dritti verso Tom. Il moro fece una smorfia; si, aveva intenzione di dirgli che era incinto, ma non sapeva come avrebbe reagito. Di sicuro non si aspettava mazzi di fiori e feste per il lieto evento, ma sperava vivamente che non lo lasciasse solo, perché era sicuro che non sarebbe riuscito a gestire un bambino da solo.

    Si mise a pancia in giù sbuffando ed iniziando a pensare a quante persone lo avrebbe dovuto dire. Dopo Tom, c'era Nonna Lea, suo padre e...sua madre. Ma a lei lo avrebbe davvero dovuto dire? Quella donna si limitava a scrivergli una e-mail per chiedergli se andava tutto bene e gli mandava dei soldi ogni mese. Questi ultimi a Bill facevano veramente comodo; non che con i soldi che prendeva dipingendo non riuscisse a mangiare, ma di sicuro non facevano dispiacere! Così ad ogni mail di sua madre le rispondeva freddamente rimanendo sempre sul vago, in modo che i sensi di colpa la costringessero a mandargli quel mantenimento.
    Quel pensiero gli faceva ogni volta schifo, e si ripeteva che lui non era così, ma che riservava quel comportamento solo per sua madre, il che era vero. Solo che ora, che gli piacesse o meno, aveva bisogno di quei soldi, perché mantenere una bambino è una bella spesa.

    Ritornò a pensare a Tom e al modo migliore per dirglielo: avrebbe potuto chiamarlo, ma l'idea di dirglielo per telefono non gli piaceva. Preso da un pò di entusiasmo si alzò e prese in mano il cordless e in men che non si dica aveva già composto il numero.

    -Hey, Nonna...-
     
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