Balliamo sul mondo

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. tombillina
     
    .

    User deleted


    Ecco qui, anche se a me personalmente non piace.


    CAPITOLO 6
    Mi svegliai con un mal di testa insopportabile. Guardai l’orologio. “Che pretendi, Sara, hai dormito solo un ora”, mi dissi mentalmente. Posai lo sguardo sui disegni della sera precedente e li presi fra le mani, come se fossero delle reliquie; questa era la dimostrazione che non avevo sognato, che non mi ero inventata tutto. Sospirai soddisfatta. Quante ragazze avrebbero voluto Tom come fidanzato! Io ero la fortunata. Ma le parole di David mi impaurivano e mi mettevano ansia. Tom era un donnaiolo, ok, ma si era fidanzato con me solo per divertirsi un po’? Rabbrividii al pensiero. Mi stava forse usando? No, per quanto fosse burbero, scontroso e tutto il resto non credo fosse così stronzo. Forse mi stavo facendo delle seghe mentali. Forse voleva solo vivere una storia d’amore seria con una ragazza normale come me. Sì, questa era l’ipotesi migliore. Rasserenata, portai di nuovo lo sguardo sull’orologio. Ancora le sei. Avrei fatto meglio a riposare per non sembrare una morta di sonno. Mi girai dall’altro lato valutando quale fosse la posizione migliore per addormentarmi presto e stare comoda; alla fine mi girai dall’altro lato, sul cuscino però notai un bigliettino piccolo di carta bianca semi-aperto che lasciava intravedere una scritta in nero. Lo aprii e notai con sorpresa che era di Tom. Lo lessi attentamente, quasi commuovendomi.
    Buonanotte!
    Cara la mia ragazza, stasera non sarai l’unica a rimanere sveglia, anche io non riuscirò a dormire. Non ti credere che io sono un duro, in fondo sono un gran bel tenerone, mi commuovo facilmente. Bè, ora ti lascio dato che gli occhi si chiudono da soli.
    P.S.: cerca di dormire dato che domani ti voglio splendida come sempre!
    "

    Anche se era un piccolo pensiero, mi commossi. Io sono fatta per le piccole cose, e forse è per questo che mi emoziono facilmente. Allora era vero: voleva solo vivere una storia d’amore con una normale ragazza come me.

    ***

    Sentivo un caldo respiro sul collo. Non ero sveglia, non proprio, ero in uno stato di dormiveglia, quando sembra che si dorme ma invece si vede e sente tutto. Ero come in coma, non riuscivo a svegliarmi. Forse il mio corpo me lo impediva, forse il mio cervello. Sta di fatto che mi sentivo bene, coccolata, come avrei sempre voluto. Infatti ero tra le braccia di qualcuno, non so chi, ma era la stessa sensazione che sentii non appena mi presero perchè mi accasciai a terra arrivata in quella casa. Aprii finalmente gli occhi e vidi che era Tom. Il mio stomaco fece un triplo salto mortale non appena ci guardammo negli occhi. Mi diede un tenero bacio sulla punta del naso. Buongiorno principessa, dormito bene? Io annuii dopodiché, imbarazzato, spostò lo sguardo in un punto non definito della camera. Io continuavo a osservarlo, era così bello. Maledettamente perfetto. Tom riportò lo sguardo su di me e mi strinse ancora di più. Mi sentivo protetta tra quelle braccia. Ad un certo punto però venne il solito guastafeste Georg che ci disse di scendere perché dovevamo uscire. Tom disse -un momento- e mi trattenne per un braccio visto che stavo già incominciando a scendere le scale. Mi prese per mano e mi portò in camera sua. Aprì il cassetto del comodino a fianco al suo letto e ne uscì un cellulare. Mi si avvicinò e me lo porse. Era bellissimo. Io lo presi in mano come se fosse un oggetto fragilissimo e lo custodii nella mia piccola borsa, che era stata un regalo di Bill il giorno della passeggiata al centro commerciale. Ringraziai ripetutamente ma Tom disse:
    -Anche se il modello è un po’ vecchio, infatti quello era il mio ex cellulare. Ho deciso di darlo a te dato che hai detto che ti avevano rubato la borsetta con tutte le tue cose.-
    -Ma che dici, Tom, è bellissimo e non è per niente un vecchio modello, anzi…- mi si avvicinò e mi baciò la tempia carezzandomi i capelli. Io mi zittii approfittando del momento per bearmi di tutte quelle attenzioni. Dopo cinque minuti di silenzio (non proprio perché ormai Georg, Gustav e Bill ci cercavano disperatamente), ci accorgemmo che dovevamo uscire e stavamo facendo spazientire il resto della band perché eravamo in ritardo. Incominciammo a correre per tutta casa alla ricerca delle nostre giacche ridendo come bambini, ridendo a crepapelle e ogni tanto inciampando nelle pieghe di qualche tappeto o in una scarpa. Non appena le trovammo, ci catapultammo giù, a capofitto, mentre Saki suonava il clacson insistentemente. Uscimmo di casa e corremmo verso la limousine senza fiato. Aprimmo lo sportello ma lo trovammo chiuso. Da dietro il vetro del finestrino potevamo scorgere il bassista, il batterista e il cantante che se la ridevano come matti. Che bastardi! Avevano chiuso con la sicura gli sportelli. Ad un certo punto notammo che Bill, quello che pareva si stesse divertendo di più di tutti, si era avvicinato a Saki che era al volante, e gli aveva detto qualcosa all’orecchio, notammo anche la reazione della guardia del corpo, pareva contrariato, ma poi Bill gli fece la faccia da cucciolo e acconsentì ridacchiando. La macchina accelerò e partì a razzo lasciando me e Tom sul marciapiede. Quest’ultimo buttò giù santi e madonne, sbattendo i piedi a terra, sedendosi con le gambe incrociate, pensando. All'improvviso, come folgorato da un’illuminazione, si alzò di scatto e recuperò dalla tasca le chiavi della sua Audi R8. Mi invitò a seguirlo e salimmo su quella lussuosa vettura. La mise in moto e mi consigliò di allacciare la cintura, in poco tempo raggiungemmo la limousine. La seguimmo e si fermò in centro. Bill, Gustav e Georg scesero accompagnati dal fedele Saki. I tre ridevano ancora e il vocalist della band batteva le mani compiaciuto. Tom fece un sorrisetto furbo e si appostò dietro dei cespugli dopo aver nascosto la macchina in una viuzza. Io rimasi interdetta ma lo seguii per paura di perdermi. Mi aggrappai alla sua manica, mentre gli stringevo con l’altra mano il braccio per il nervosismo. Chissà cosa doveva fare! Ecco Bill appena uscito da un bar, Quando passò di lì con la sua mega borsa, ecco Tom mettersi il cappuccio e alzarsi la maglia fino al naso, invitandomi a fare lo stesso. Io ubbidii. Ed ecco il gemello che porta la borsetta con il manico infilato per il magro braccio, casualmente quello dalla parte del cespuglio dove giacevamo io e Tom, ed ecco il chitarrista che allunga la mano e la strappa al padrone che incomincia a strillare come un pazzo, chiedendo aiuto dato che gli altri erano ancora nel bar. Mi tira per il braccio, alzandosi, e incominciamo a scappare, correndo, ridendo come due bambini mano nella mano. Saliamo velocemente in macchina, il proprietario che accelera lasciando dietro di sé una nuvola di fumo nero. Eccoci arrivati a casa, che ridiamo come matti, nascondiamo la borsa di Bill e ci sediamo sul divano, fingendo di essere stati in casa tutto il tempo. Ridiamo ancora quando entra e si siede su una poltrona, distrutto, raccontando l’avventura di quel pomeriggio, gesticolando perché nervoso, e io e Tom cerchiamo di trattenerci dallo sghignazzare. Non appena ha finito di raccontarci tutto, scappiamo via e usciamo da casa. Fuori, incominciamo a ridere senza ritegno, le risa riecheggiavano per le fredde vie tedesche, il fiato trasformato in una piccola nuvoletta di fumo. Ci appoggiamo alla porta di casa con la schiena, ci lasciamo scivolare perché con lo stomaco dolorante dal tanto ridere, e finiamo seduti sui gradini. Un attimo di silenzio. Ci giriamo nello stesso momento, ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere di nuovo. Ecco che la porta di casa si apre e ne esce un Bill piuttosto incazzato, aveva sicuramente sentito il nostro sghignazzare dall’interno dell’abitazione, ha l’espressione come se stesse aspettando qualcosa. Tom lo squadrò, era così buffo: faccia corrucciata, occhi furenti e braccia conserte. Il fratello, ridendo, disse:
    -Scusa, eri così divah!- pronunciando quell’ultima aspirò la A, dando l’impressione di una acca a fine parola. Bill gli si fiondò addosso, facendogli il solletico. Rotolarono per il prato della villa, uno che si voleva liberare dalla stretta e l’altro che si voleva vendicare del “furto”. All’improvviso intervenne Georg a salvare la situazione, anche se involontariamente, annunciando che la cena era pronta.

    *me incrocia le dita*
     
    Top
    .
  2. jade jackson
     
    .

    User deleted


    Oddio ke bello!!!!Molto divertente!!!Bravissima continua presto!!!
     
    Top
    .
  3. StellaF
     
    .

    User deleted


    Complimenti!! :) Sono stellina, di answer :)
     
    Top
    .
  4. tombillina
     
    .

    User deleted


    Grazie mille!!!!!!!!!!!!!!! Complimenti anche per il tuo forum :)
     
    Top
    .
  5. tombillina
     
    .

    User deleted


    Posterò con meno frequenza, per non abbandonarla del tutto, perchè sto scrivendo contemporaneamente un'altra sul twc. Veramente non ce la faccio quindi il prossimo chappy è previsto per la settimana prossima... mi dispiace :(
     
    Top
    .
  6. jade jackson
     
    .

    User deleted


    Uffi peccato!!!!Kixx alla settimana prossima!!!!Tvb!!!
     
    Top
    .
  7. tombillina
     
    .

    User deleted


    CAPITOLO 7
    A cena nessuno aveva fiatato, erano tutti muti come pesci, si percepiva la tensione dei gemelli anche a cinquecento chilometri di distanza. Io mi sentivo in più, forse ero di intralcio, quindi ho lavato il mio piatto e le mie posate e sono salita in camera mia, passando il tempo a riempire le pagine del mio diario di schizzi con la china nera. Disegno una rosa che giace su un tavolo, i petali stanno per appassire e su uno di questi petali c’è una goccia. Una lacrima, o una stilla di sangue proveniente direttamente dal vorticare di emozioni che ho nello stomaco. Solo l’osservatore attento può capire, solo chi non si ferma alle apparenze e guarda oltre può vedere comprendendo il significato di quello schizzo, sebbene breve e poco definito, che si è tracciato da solo. Io ho solo seguito le mie emozioni che hanno mosso il braccio e tracciato i dolci ma spigolosi contorni di quel fiore dall’aspetto così agnello per i petali, così leone per le spine.
    “Bisogna prendere il meglio dal mondo, io ho scelto questo fiore perché rappresenta sia la dolcezza che l’aggressività.” Scrivo sotto il disegno.
    E così, come solo l’osservatore attento può capire, come solo chi non si ferma alle apparenze e guarda oltre può vedere comprendendo il significato di quello schizzo, io ho compreso la dolcezza d’animo ma il forte carattere di Bill e Tom, così uguali nella loro diversità. Avevano litigato per un motivo futile, ma erano comunque arrabbiati fra di loro. E stavano male, si vedeva. Forse solo loro si sforzavano di non vedere quel grande muro di indifferenza, quella grande catena di ostilità che regnava in casa quella sera. Mi ricordo che il mio professore citava sempre una famosa frase: < Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire>. Questo era il loro caso. Era ora di intervenire.

    ***

    Per prima cosa avrei dovuto parlare con Tom.
    Mi infilai le morbide, calde e comode pantofole e mi diressi verso la sua stanza. Esitai non appena me la trovai davanti. Poi mi feci coraggio. Battei tre colpi con le nocche sul duro legno scuro. Udii un <avanti> piuttosto scocciato, aprii la porta timida, mi affacciai all’interno della stanza. C’era Tom sul pavimento vicino al letto con la chitarra in mano. Non appena notò che ero io, e, vedendo la mia timidezza, mi venne incontro esclamando:
    -Oh, Sara, non pensavo fossi tu.-
    Posò la chitarra a terra e si sedette sul suo letto, invitandomi a fare lo stesso. Non appena mi sedetti affianco a lui, mi accorsi solo allora di avere ancora il diario in mano. Lo tolsi via imbarazzata posandolo sul comodino. Alzò un sopracciglio con aria interrogativa, ma notando il mio rossore preferì non complicare le cose distogliendo lo sguardo dall’oggetto sul quale scrivevo tutte le mie emozioni e al quale mi ero tanto affezionata. Mi mordo le labbra, mi mangio le unghie, mi arrotolo una ciocca di capelli e accavallo le gambe prima di incominciare a parlare. Sono molto insicura e Tom lo nota. Sa dove voglio arrivare e cosa voglio dire, ma non mi precede, aspetta che formuli una frase, o almeno accenni a farlo.
    -Ehm…- farfuglio.
    Lui sorride, un sorriso che sembra magnetico, un sorriso che non vuole esprimere un sorriso ma qualcos’altro, qualcosa di più intenso, un frullato di emozioni. Qualcosa di più forte di un sorriso ma che non può essere espressa in alcun modo, se non dietro a trentadue denti bianchi dentro una bocca dagli angoli incurvati verso l’alto.
    -Senti… io ho pensato che… magari...-
    Sorride ancora.
    -…potresti far pace con Bill, chiedergli scusa, farti avanti… in fondo sei stato tu a fargli prendere uno spavento colossale per averlo scippato.-
    Lui sorride, adesso col suo vero sorriso, con la sua vera faccia. Non sembra più quel ragazzo con lo sguardo magnetico di prima, ora sembra abbia cambiato viso, sembra che si sia tolto la maschera che aveva pochi secondi fa. Mi sorprendo del fatto di come abbia fatto a farlo così velocemente, mi faceva quasi paura. Per pochi attimi quello sguardo mi è sembrato come quello del vampiro di Twilight, Edward! Mi sono spaventata a morte per paura che da un momento all’altro mi prendesse a morsi.
    Bando alle ciance, riprendo a parlare seriamente scrollandomi e cercando di dimenticare quei pensieri che mi fanno solo ridere e deconcentrare, allontanandomi dal fulcro del discorso, dal nocciolo della questione.
    -Si vede da un miglio che vi siete arrabbiati!-
    Gli faccio gli occhi da cucciolo, come potrà resistere? La sua espressione tesa infatti si scioglie in un tenero e largo sorriso.
    -Mi dispiace, Sara, ma anche tu hai visto come ci ha lasciati soli in mezzo alla strada, chiedendo a Saki di scappare via a tutta velocità!- replica.
    Annuisco. Ha ragione, come posso dargli torto? In fondo è stato lui a iniziare.
    Penso ad una valida motivazione per andare da lui a chiedere perdono senza aspettare Bill che, conoscendo, non è nella sua indole andare di proposito da una persona con l’obbiettivo di scusarsi. Passa il tempo, io zitta come una scema a fissare un punto fisso. Lui mi osserva, so che lo fa perché percepisco il peso dello suo sguardo. Lo distoglie un attimo da me e lo va a far posare sul mio diario che è ancora sul comodino. Lo prende, lo apre. Io non lo fermo, voglio che lo legga. Che capisca.
    Si mette a ridere rileggendo le pagine che avevo scritto quando era arrivato David e quando mi aveva spacciata per la sua fidanzata. E poi, quando mi aveva chiesto esplicitamente di stare con lui. Mi mette in difficoltà, legge ad alta voce quegli ultimi righi facendomi arrossire ancora di più. Lo fa apposta, mi sciolgo come burro al sole quando mi tira a sé, facendomi stendere a fianco a lui e, con in una mano il diario, e l’altro braccio sotto la mia schiena, mi bacia la punta del naso. Nei nostri occhi si può scorgere dolcezza infinita. Poi gira pagina e vede la rosa fatta con la china, gli occhi gli si inumidiscono vedendo quel disegno, scorgendo quella goccia che solo l’osservatore attento che non si ferma alle apparenze può notare… chiude il diario, gli occhi ancora lucidi, si allontana per rimetterlo al suo posto e torna a cingermi le spalle con il suo braccio. Ad illuminare la stanza è solo la luce dell’abat-jour che rende la situazione più intima. Mi sento in imbarazzo, ma non devo, perché sono con il mio ragazzo. Si sistema meglio e dice:
    -Sara, a pensarci bene non mi hai ancora raccontato la tua storia-…

    Ecco qui ^^ non è uun poema epico, ma spero che vi piaccia. Ho fatto il possibile per postarlo stasera. E' quasi mezzanotte, ho sonno.
    Commentate vi prego :)
     
    Top
    .
  8. tombillina
     
    .

    User deleted


    CAPITOLO 8
    Avevo deciso di raccontare la mia storia a Tom, non solo perché ora eravamo fidanzati ma anche perché mi ispirava fiducia. Ascoltava rapito, mentre rigirava tra le mani un lembo della manica del mio pigiama.
    -Io sono cresciuta con i miei genitori adottivi, mia madre mi ha abbandonata in una campagna dopo aver divorziato con mio padre. I genitori che mi hanno adottata non erano molto presenti nella mia vita, ogni giorno mi lasciavano da sola in casa già dall’età di quattro anni.- deglutii a fatica. I ricordi erano sfocati, stavano per svanire, non mi ricordavo quasi più niente del mio passato. Mi si inumidirono gli occhi, Tom lo notò:
    -Mi dispiace, non sei obbligata a raccontarmi tutto.-
    Scossi la testa.
    -Una sera ero uscita di casa per comprare le medicine, non mi sentivo affatto bene. In strada barcollavo, vedevo tutto offuscato. Entrai in farmacia e comprai ciò che mi serviva, ma quando arrivai a casa c’era mio padre (adottivo) fuori alla porta. Mi stropicciavo gli occhi per capire che stesse facendo, la risposta arrivò subito dopo.- le lacrime cadevano calde sulle guance, Tom mi guardava compassionevole.
    -Quella sera mi picchiò.- continuai. –Non mi aveva mai considerata, non mi aveva mai prestato attenzione, non seppi mai con quali intenzioni e perché lo fece.-
    Tirai su col naso.
    -Così una mattina decisi di scappare, ho visto una limousine nera e l’ho seguita, con la speranza di trovare una casa e un padrone di casa disposto da ospitarmi.-
    Sorrisi tra le lacrime.
    -Così vi ho conosciuti.-
    Tom mi accarezzò i capelli, anche lui sorrideva. All’improvviso la sua espressione mutò, strinse i pugni e si sedette sul letto, teso.
    -Non mi dire che quel bastardo di tuo padre ti ha provocato quel taglio così profondo sul ginocchio.-
    Aveva gli occhi furenti. Avevo paura, ma non gli potevo mentire, mi leggeva la tensione negli occhi.
    -Sì, ma è peggiorata perché sono caduta prima di arrivare in stazione, per paura di perdere il treno.-
    Lui annuì.
    Anche io annuii, tirando su col naso.
    -Mi dispiace, piccola.-
    Mi strinse a sé, mi baciò la testa, mentre le mie lacrime andavano ad infrangersi sul suo petto nudo. Spense la luce dell’abat-jour e mi coprì con il morbido e caldo piumone. Il suo braccio mi cingeva le spalle, per la terza volta dopo tanti anni mi sentivo protetta, mi sentivo bene.
    Sospirai.

    ***

    Mi svegliai con un sorriso stampato sulle labbra. Portai automaticamente una mano a fianco a me, tastando sul morbido materasso per vedere se c’era. All’improvviso il mio dito toccò una parte del suo corpo, era calda. Posai l’intera mano. Aprii gli occhi e notai che avevo poggiato l’arto sui suoi addominali. La cosa non mi dispiacque, anzi. Mi diedi della maniaca da sola, schiaffeggiandomi con l’altra mano che era libera. All’improvviso sentii un leggero sussulto che fece rimbalzare lievemente il materasso. Portai lo sguardo sul suo corpo, perfetto; sorrisi e guardai il suo volto. Mi spaventai quando notai che Tom era sveglio, e chissà da quanto tempo. Sorrise, mi diede il buon giorno con la bocca ancora impastata dal sonno, mi avvicinò facendomi adagiare con la testa sul suo petto dall’abbronzatura naturale che mi faceva impazzire. Mi baciò sui capelli. In quella posizione potevo sentire i battiti del suo cuore, accelerati a vista d’occhio quando mi ha baciata sulla testa. Mi stupì questo fatto, non eravamo mai andati oltre quel piccolo bacio sui capelli, chissà se mai un giorno fossimo andati oltre, che avrebbe fatto!
    “Pensa prima a te, Sara, che solo quando ti guarda ti sciogli” mi dissi mentalmente. Era vero. Quando mi guardava e mi baciava sulla testa, mi faceva impazzire. Volevo spiccare il volo, per quant’ero felice. Sospirai rumorosamente, senza accorgermene. Lui però se ne accorse, mi disse:
    -Amore, che hai?-
    Strabuzzai gli occhi.
    -Amore?- ripetei incredula.
    -Sì, che problema c’è se chiamo la mia ragazza amore?-
    -Nessuno.- risposi. –E’ solo che non mi sembra vero, mai nessuno mi ha rivolto così tante attenzioni, mai nessuno mi ha trattata così.- continuai. –E mai nessuno mi ha chiamata amore, e sono davvero felice.-
    Mi accarezzò i capelli, scompigliandomeli. Si allontanò per guardarmi meglio e scoppiò a ridere. Io feci la finta offesa, mettendo il broncio con il labbro inferiore in fuori.
    -Guardati, sei troppo buffa!- mi disse tra le lacrime.
    Mi misi in piedi sul letto per vedermi allo specchio che era sistemato molto in alto. Non appena mi vidi, incominciai a ridere anch’io, lasciandomi cadere sul letto reggendomi lo stomaco. Dopo cinque minuti di risate, ci zittimmo. A rompere il silenzio fu il mio singhiozzo. Mi guardò di nuovo, scoppiò a ridere per la seconda volta dopo poco tempo. Io mi imbronciai fintamente di nuovo, cautamente feci scivolare la mano fino al cuscino senza farmene accorgere dal mio ragazzo. Lo afferrai per l’angolo destro e lo presi a cuscinate. Rideva con le lacrime, anche lui ne afferrò uno e rispose con le mie stesse armi. Ridevamo come due bambini, come due piccoli fidanzatini. Eravamo un po’ impacciati. Dopo alcune cuscinate, sfinita, mi lasciai cadere sopra di lui. Il solo rumore era quello del nostro affanno. Intanto Tom mi carezzava lievemente la schiena, facendomi dei grattini che mi provocavano leggeri brividi. Mi beavo della situazione, fino a quando non irruppe Bill nella stanza che spalancò la bocca incredulo.
    (Tom dopo la finta rivelazione a David aveva rinnegato tutto alla band, dicendo che era solo per non dargli lunghe spiegazioni, e quando eravamo veramente fidanzati, non aveva detto niente.)
    Richiuse la porta scusandosi, ma io e Tom cercammo di trattenerlo dicendo:
    -Aspetta, non è come sembra!-
    La classica frase fatta. Scendemmo dal letto, catapultandoci fuori dalla camera. Bill era in cucina, dovevamo spiegargli tutto. Non appena entrammo era ancora rosso in viso, mentre Georg e Gustav ci guardarono torvi. Ecco, la principessina che si impressionava per un grattino aveva spifferato tutto. Che pettegola!


    Ecco qui ^^ commentate!!!!!!!!!!!!
     
    Top
    .
  9. tombillina
     
    .

    User deleted


    I prossimi capitoli vi assicuro che saranno molto più interessanti, curati e corretti dato che li ho scritti con mooolte calma
     
    Top
    .
  10. tombillina
     
    .

    User deleted


    Ecco qui, mi sono accorta da quanto cavolo di tempo non postavo e ho deciso di raccogliere tutti insieme i capitoli che ho scritto cercando di fare una cosa buona

    CAPITOLO 9
    A colazione nessuno fiatò. Bill aveva una faccia da funerale e Tom non perdeva tempo per farglielo notare, tra un biscotto e l’altro sbirciavo i gemelli, che si lanciavano occhiate furenti. Non appena Tom salì al piano di sopra, mi alzai. Tutti mi guardavano sbalorditi, Georg lasciò cadere il biscotto che aveva in mano nella sua tazza di latte, la mano di Gustav rimase sospesa tra il pacco e la sua bocca, e Bill che si stava levando qualcosa dai denti, rimase con la bocca aperta e la testa all’indietro.
    -Che c’è?- mi chiese, freddamente.
    -Che c’è?- ripetei incredula io.
    -C’è che tu fai un problema nazionale per ogni cosa, ecco che c’è!- dissi a voce alta.
    –E c’è che non ti va bene mai niente di quello che facciamo io e Tom!- urlai, gesticolando. –C’è che non appena scopri qualcosa, corri a dirlo a Georg e Gustav- li indicai. –e c’è che ti impressioni per un semplice grattino!- ero furiosa. Tutto quello che avevo dentro sarebbe scoppiato. –Se non ti abbiamo detto niente di noi, c’è un motivo! Questo motivo è- esitai. – E’che non ti fai mai i fatti di casa tua, e fai un sacco di domande!- Georg e Gustav passavano in rassegna le facce mie e di Bill.
    Mi guardò, rosso in viso.
    -Ma questa è casa mia.- sbottò.
    -Ecco! Questa è casa tua! Abbiamo scoperto il problema!- Gridai incredula. –Il problema sono io!- ansimai. -Quindi, se io me ne vado, risolviamo tutto, e tu e tuo fratello non litigherete più! Ecco la causa di tutti i problemi, quindi se vengono gli alieni date la colpa a me! E’ così, vero? E’ così?- guardai Georg e Gustav, spaesati.
    -Quindi preferisco non causare più problemi, e me ne vado, dato che la fonte di tutti i mali sono io!- Uscii dalla stanza. Tom era sulla porta e mi guardava, evidentemente era stato attirato da quelle urla. Salii furiosamente le scale, sbattendo i piedi nervosamente. Entrai nella camera dove avevo dormito con Tom, e infilai i miei vestiti in un borsone, trovato per caso sull’armadio. Tom mi trattenne.
    -Sara, non l’avrai mica detto davvero- lo guardai. –Cioè, non pensavi veramente di andartene.
    Mi salirono le lacrime agli occhi.
    -Senti, Tom, sarà solo per qualche tempo, finchè Bill non si accorgerà di aver sbagliato.-
    Mi guardò, le pupille si dilatarono.
    -Io non ti lascerò andare.-
    -Ma Tom, da quando sono qui non fate altro che litigare. Tornerò quando la situazione si sarà ristabilita. Non voglio questo.-
    Mi prese per mano e scendemmo le scale, prese le chiavi della Cadillac e, sull’uscio della porta, Bill ci fermò:
    -Lo sai che David non vuole che usciamo senza Saki. Andrà su tutte le furie quando lo scoprirà.-
    -Dì a David di fottersi.- fu la secca e brusca risposta di Tom, dopodiché aprì la porta e entrammo a contatto con il freddo e con la neve.
    Bill era rimasto ammutolito. Si strinse nella vestaglia e richiuse la porta.

    ***

    Tom mi aveva portata a fare un giro in centro. Si era messo un passamontagna alzato fino al naso. Sembrava un ladro! Soffocai una risata ma era incontenibile. Non appena svoltammo in un vicoletto sghignazzai a squarciagola e mi guardò, non capendo.
    -Sembri un ladro!- dissi, tra le risate.
    Lui non disse niente, camminò un altro po’ e, sempre nel vicoletto, si girò verso di me, mi spinse dolcemente verso il muro e anche lui rise di gusto. Prese a farmi il solletico sulle costole, sotto le ascelle, sul collo… dove capitava. Io mi dimenavo ridendo e, alla fine, mi asciugai le lacrime cadute per il troppo ridere. Presi fiato e ci furono cinque minuti di silenzio, piuttosto imbarazzanti.
    Mi guardavo la punta delle scarpe, rigirandomi una ciocca di capelli. Mi stava guardando, sentivo il peso del suo sguardo. Finalmente parlò.
    -Mi ami?-
    Lo guardai, dissi a bassa voce:
    -Sì.-
    -Come? Non ho sentito, ripetilo.-
    -Sì.- dissi, scandendo meglio quell’ultima sillaba.
    -Non sentoo!- disse, portandosi una mano all’orecchio e sorridendo appena.
    -Siiiiiiiii.- gridai, alzando gli occhi al cielo.
    -Allora sono sordo!- disse, divertito.
    Presi fiato:
    -Ceertoo cheee tii amooooooo!!!- urlai, e la frase riecheggiò per molte volte prima di sparire completamente.
    Sorrise soddisfatto.
    -E tu invece?- chiesi, scoccandogli un’occhiata divertita e allo stesso tempo moolto maliziosa.
    -Ti amo da impazzire.- sussurrò, prendendomi la testa fra le mani. -Se avessi scelto linguistico te l’avrei detto in tutte le lingue.- rise.
    Dopodiché venni travolta da un vortice d’emozioni tale che non capii più niente.









    CAPITOLO 10
    Bill camminava frenetico facendo su e giù per tutta la casa, con il cellulare in mano.
    Le morbide e calde ciabatte strisciavano sul parquet dello studio di registrazione, e la vestaglia frusciava ogni volta che il moro cambiava direzione. Georg e Gustav erano comodamente seduti sulle poltrone e bevevano Red Bull.
    -Se lo becca…- imprecava –Se lo becca David gli fa un culo così!- Apriva e chiudeva il cellulare, provando a chiamare il gemello, che aveva il telefono spento. –O Dio Dio, oh mio Dio! Se lo becca David fa un culo così a lui che è uscito, e anche a quel coglione che l’ha fatto uscire!- gesticolava.
    -Ma…- stava per correggere Georg, ma il batterista gli diede una gomitata così forte nelle costole da non farlo più respirare. Quando riprese fiato, disse a bassa voce, in modo che il vocalist non potesse sentire:
    -Ma è stato lui a farlo uscire!- quasi in tono offeso. Gustav decise di lasciar stare.
    -Bill, siediti e stai calmo, non credo sarà così scemo da farsi vedere in giro!- rassicurò infine, prima di alzarsi dalla poltrona e dirigersi in cucina. Georg intanto batteva una mano sulla spalla del moro che piangeva preoccupato.

    ***

    Dopo circa cinque minuti, Gustav uscì dalla cucina con una teiera fumante e tre bicchieri. Versò prima il tè caldo nel bicchiere del moro, poi in quello di Georg e poi in quello suo.
    -Oh, ho dimenticato il miele!- disse, e si allontanò di nuovo.
    Tornò con un vassoio pieno di leccornie. C’era di tutto dentro: oltre al miele, zucchero, salame al cioccolato, grissini con la nutella, limone, crostate, torta, e persino la panna da mettere sul tè. Gli altri due si fiondarono a capofitto nei dolci, e il biondo rise di gusto, prendendo un grissino e infilandoselo in bocca. Il cellulare di Bill vibrò, e si fiondò a rispondere pensando fosse il fratello. Ma con suo grande orrore scoprì che non era lui, bensì David.
    -P-pronto?- disse, con una voce un po’ incerta.
    -Hey, Bill, sono David, sto arrivando, fai il caffè?-
    Le pupille del vocalist si dilatarono, e si ritrovò a bocca spalancata, tanto che Georg e Gustav potessero scorgere l’accenno dell’ugola.
    -Bill? Bill, ci sei? Non è un problema se vengo, no?- disse il manager, un po’ sospettoso.
    -Cosa?- si riprese il moro –Certo che no, cioè, certo che sì!- si corresse: -Sai, è venuta la mamma, e…-
    -Simone? Arrivo subito, è da tanto che non la vedo!- stava già per riattaccare, quando Bill disse:
    -No, no David, sai, è un momento delicato, ha portato suo marito, e siamo nel bel mezzo di un litigio. Ora vado. Ciao!- si congedò, riattaccando prima di ricevere una risposta. Si lasciò cadere sul divano in pelle, sprofondando, con la mente che pullulava di pensieri.


    CAPITOLO 11
    Mi si avvicinò lentamente, piegò la testa da un lato e le nostre labbra finalmente si toccarono per la prima volta.
    Non me l’aspettavo.
    Tutti i miei momenti con lui passarono davanti la mia mente, il mondo sembrò girare, ed io mi catapultai in un mare di ricordi.
    Il suo profumo alla pesca mi inebriò dolcemente penetrando nelle mie narici e lasciando una gradevole sensazione di desiderio. Il bacio diventò più passionale, dischiuse le labbra e la sua lingua si insinuò nella mia bocca, così come la mia entrò nella sua, e insieme incominciarono a danzare lentamente al ritmo dei nostri respiri, al ritmo dei battiti dei nostri cuori, che parevano battere all’unisono. La neve incominciò a cadere tutt’intorno e anche su di noi. Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare da quel dolce ritmo, dal piacevole profumo alla pesca che ormai faceva parte di me, dal fresco sulla faccia dei fiocchi di neve gelata, dalle mie gote che somigliavano tanto a delle chiazze di colore scarlatte dimenticate lì da un pittore scodarello. Tutto ciò era stupendo, e l’avvicinarsi del Natale rendeva l’atmosfera molto più magica. Infatti metà dicembre era già passato, e le strade tedesche erano addobbate da colorate ghirlande e luci che brillavano alte come stelle nel cielo scuro. I negozi erano decorati con piccoli alberelli finti con palline, stecche bianche e rosse di zucchero, angioletti e mini-pacchi regalo coordinati. Nelle vie alcuni barboni suonavano con la fisarmonica brani a tema, e appesi agli angoli delle casse stereo trasmettevano canzoni natalizie. Ci staccammo dopo un minuto, forse anche più per riprendere fiato. Mi guardò e sorrise, scostandomi una ciocca di capelli finita sul naso. Ricambiai il sorriso e frugai nell’ampia tasca del cappotto, in cerca dei caldi guanti. Finalmente li trovai, e li indossai. Dopo un po’ mi prese per mano e ci dirigemmo verso il centro.

    ***

    Ogni tanto ci fermavamo per osservare le vetrine illuminate e addobbate con colorati festoni. Tom batteva a tempo Stille Nacht sulla coscia. Ormai c’era un caos totale tra persone affaccendate a comprare regali, bambini che facevano dei pupazzi di neve, coppie che si baciavano sotto il vischio e ragazze che ridevano sfacciate. Passammo davanti a un barbone seduto a gambe incrociate a terra, lasciai cadere nel piattino un euro. Lui mi ringraziò abbassandosi il cappello e augurandomi di trascorrere una buona serata. Tom mi guardò con aria interrogativa, ma io risposi con un’alzata di spalle. Ci fermammo in una piazzetta dove un giocoliere stava facendo un piccolo spettacolo. Incuriositi, ci facemmo largo tra la gente arrivando alle prime file. Stava facendo volare in aria alcuni birilli, ad un certo punto si fermò e li prese al volo senza farli cadere. Li ripose nella borsa e si sedette a terra.
    Dopo una manciata di secondi, si rialzò e prese un cerchio infuocato, dalla tasca del cappotto logoro fece uscire uno scoiattolo che non appena venne a contatto con l’aria fredda incominciò a starnutire, suscitando le risate di tutti i bambini presenti a quel divertente spettacolo. Alzò il cerchio il più alto possibile, ordinò in una lingua sconosciuta un comando all’animaletto che saltò attraverso il cerchio ricoperto di fuoco. Alla fine, dopo varie esibizioni, applaudimmo e ci incamminammo di nuovo. Ci fermammo in un bar, molto elegante. Per un momento mi sentii a disagio, vestita com’ero in quel locale di lusso.
    -Non è un bar, è una gioielleria!- esclamai, guardandomi intorno estasiata. Buttai anche un’occhiata al listino prezzi. Un semplice caffè costava 3 euro! Tom mi guardò e rise di gusto vedendo la mia faccia.
    Ci sedemmo su un tavolino e poco dopo arrivò un cameriere, vestito di tutto punto. Ordinammo due cioccolate calde, anche se ero cosciente che Tom avrebbe speso un occhio della fronte. Ce le portò su un vassoio d’argento cosparso di petali di rosa. Le tazze erano di porcellana cinese e la calda bevanda era accompagnata da un piccolo biscotto spugnoso al rum. Ci portò anche alcuni dolcetti alle pere, cannucce di bambù e bucce di arancia guarnite con scaglie di cioccolato fondente e miele di calabrone, e anche molte altre cose che non ricordo.
    Uscimmo dal locale dopo aver consumato quasi tutti i deliziosi dolci offerti (ma poi secondo me glieli hanno fatti pagare) dalla casa.
    -Tom grazie, non dovevi proprio.-
    -Macchè.-
    -Avrai speso una fortuna.-
    -Può darsi.-
    Stavo per fare un’altra affermazione, ma mi precedette.
    -Non lamentarti, una fan nella tua situazione oggi sarebbe morta.- ridacchiò.
    Io rimasi ammutolita per un attimo pensando.
    Era vero, io ero proprio fortunata, lui mi preferiva a non so quanti miliardi di ragazze. Mi ripresi, ritornando alle mie battute da piccola stronza.
    -Riesci sempre a sorprendermi, Kaulitz.-
    -Bè, se ti ho sorpresa parlando, figuriamoci se ti porto a letto.-
    Diventai rossa, presi a schiaffeggiarlo e a menare fendenti a destra e a manca, sotto le sue proteste che rideva come un pazzo. Me ne andai, lasciandomelo dietro. Eravamo distanti, da un pezzo io camminavo avanti senza voltarmi, ad un certo punto sentii la sua presenza vicino a me.
    -Sai che ho capito?- mi chiese.
    -Cosa?- domandai con noncuranza, sfilandomi i guanti.
    -Che hai un bel caratterino.-
    Mi chinai per raccogliere il guanto caduto a terra.
    -E anche un bel culo.- affermò, guardandomi il fondoschiena.
    Mi girai cercando di capire cosa avesse detto. Non appena ebbi compreso, alzai la mano per tirargli uno schiaffo ma lui indietreggiò repentinamente
    -Eddai, ti ho appena detto che una fan nella tua situazione sarebbe morta!-
    Arrancavo verso di lui, incazzata nera è dir poco.
    -E poi tutti sanno che le femmine amano questo genere di complimenti.- questa era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Mi sfilai il guanto che ancora indossavo e lo usai come arma. Lo scagliai addosso a Tom, dove capitava, e lui rideva. Questa situazione lo divertiva?
    Ad un certo punto gli caddi addosso, sfinita, ansimante e con il guanto ancora in mano. Lui mi fece girare e mi fece poggiare con la schiena sul muro. Mi si avvicinò, le mani ai lati delle mie spalle. Ci guardavamo negli occhi.
    -Siamo così uguali noi due!- affermò.
    Per la seconda volta nella serata sentii il suo fiato sul mio collo e il suo dolce profumo alla pesca.
    Poi il vicolo buio si illuminò a giorno.


















    CAPITOLO 12
    Sentii la voce massiccia di un uomo.
    -Ragazzi? Che state facendo?-
    Ci girammo di scatto, Tom si staccò subito da me. Pian piano vidi stagliarsi di fronte a noi un agente della polizia. Pensando ai miei genitori che avevano avvertito tutti i poliziotti della zona della mia fuga, scoppiai a piangere inginocchiandomi, immaginandomi in manette davanti ai miei che ridevano beffardi con la solita espressione d’astio negli occhi.
    L’agente spostò lo sguardo su di me, in ginocchio, poi guardò Tom con il passamontagna nero.
    -Che le hai fatto?- domandò schifato.
    -Niente.- rispose lui non capendo.
    Il poliziotto si chinò su di me, singhiozzante, a terra. Si alzò dopo avermi dato una piccola pacca sulla schiena.
    -Togliti la maschera, ti abbiamo scoperto.- dichiarò.
    Estrasse la radiolina dalla cintura:
    -A tutte le unità, ripeto a tutte le unità. Ho trovato lo stupratore al quale davamo la caccia. Riunisci le volanti e dì di venire a Wielstraße (scusate ma ho inventato la via perché non mi veniva in mente nessun altro nome xD nda)
    Tom sgranò gli occhi.
    -Cosa? Avete sbagliato persona, io non centro niente in questa faccenda.-
    -Risparmia il fiato per il processo, brutto mostro.-
    Stava già per portarlo via e mettergli le manette, quando io mi alzai e trovai il coraggio di parlare, tremante.
    -Lasciatelo stare, lui non ha colpa, non ha fatto niente.-
    Mi guardarono, tutti e due, uno sospettoso, l’altro speranzoso.
    -Ti ha anche detto di difenderlo se l’avesse beccato la polizia, no? Non è così?- chiese, prendendolo dal cappuccio e scuotendolo ripetutamente sotto le sue proteste.
    -Lo lasci stare, non è come sembra!- urlai.
    Per lo stupore lo lasciò all’istante, facendolo cadere di sedere a terra.
    -Minchia la delicatezza!- protestò Tom, alzando le braccia.
    L’agente si limitò a fulminarlo con un’occhiataccia.
    -Lui è il mio ragazzo!- dissi io –non uno stupratore!-
    Ci squadrò sospettoso.
    -Documento?- chiese. –Ragazzo, già che ci sei, levati il passamontagna, grazie.- fece un sorrisetto falso.
    Tom se lo levò e scavò nella grande tasca in cerca del portafogli. Una volta trovato, ne uscì con la carta d’identità. La porse all’agente, che gliela strappò dalle mani. Lesse attentamente, poi confrontò la foto con la sua faccia e, effettivamente vide che corrispondevano.
    -Tom Kaulitz?- chiese.
    -Sì.- riacquistò la calma Tom, dopo aver rimesso la carta d’identità restituitagli dal poliziotto nel portafogli.
    -Non sei quello dei Tokio Hotel?-
    -Sì- disse tranquillamente Tom –ma questo che centra?-
    -Sai, mia figlia è una vostra grande fan, e mio figlio Gustav suona con voi, no?-
    -Cosa?- ripetè incredulo il chitarrista.
    -Mio figlio Gustav Schäfer non suona più con voi?- chiese l’agente con voce amabile.
    -Si, si- disse Tom una volta che si riprese dallo stupore –ma quindi… lei cioè lei è il padre di Gustav?-
    -Certo- sorrise.
    Tom sbiancò.
    La radiolina del poliziotto incominciò a borbottare parole imprecisate. Sussultò, poi disse:
    -Vado, il dovere mi chiama.- e se ne andò.
    Io e Tom rimanemmo un po’ a guardarci negli occhi nel silenzio attonito del vicolo, finalmente ora di nuovo buio.
    Mi cinse le spalle con il braccio.
    -Grazie.- mi disse.
    -Per cosa?-
    -Per non avermi fatto andare in prigione.- ridacchiò.




    CAPITOLO 13
    Dopo quella disavventura decidemmo di tornare a casa. I negozi stavano chiudendo e l’unica luce era quella dei lampioni, delle decorazioni sui balconi o quella dei pub/ristoranti.
    Io mi stringevo a Tom che mi abbracciava; quello di sentire freddo era un buon pretesto.
    Dopo dieci minuti di cammino, finalmente arrivammo alla macchina, la fedele Audi che mi piaceva tanto e aveva lo stesso dolce odore alla pesca come quello di Tom.
    Entrammo e mise in moto, la prima cosa che fece fu quella di accendere il riscaldamento. Mentre la macchina procedeva veloce ed elegante sulle strade gelate, io guardavo fuori dal finestrino beandomi del tepore che c’era nella vettura. Guardai l’orologio, erano le undici quasi e io avevo un po’ di sonno. Sbadigliai. Mi guardai le mani cercando di essere interessata a ciò che stavo facendo. La mia rabbia verso Tom era passata, pensavo, ed era tornato tutto come prima. Però un pensiero si faceva strada nella mia mente; un pensiero imponente, tanto grande da farmi venire mal di testa: i miei genitori. Certo, in quest’ultimo mese in casa Kaulitz non mi era passato neanche per l’anticamera del cervello il fatto di soffermarmi anche per un minuto su di loro, ma questo cattivo pensiero si era fatto strada strisciando fino a me ed era rimasto impresso ormai da alcuni minuti, e non mi ero neanche accorta che Tom intanto aveva posato una mano sulla mia gamba.
    Lo guardai, lui mi guardò e sorrise. Ricambiai il sorriso e mi girai premendo la faccia sul finestrino chiuso per non fargli vedere il mio rossore. Svoltammo e ci ritrovammo nella via di casa. Parcheggiò proprio affianco alla macchina di Bill, e scese. Anche io lo imitai, chiudendo lo sportello. Ci dirigemmo verso la casa illuminata e Tom fu il primo ad entrare. Non appena il gemello sentì che eravamo arrivati, ci si fiondò addosso e ci abbracciò così forte da non farci respirare. Si staccò da noi dopo un minuto buono per riprendere anche lui fiato. Aveva tutto il mascara colato sulle bianche guance per le lacrime e ci guardò in faccia. Tirò su col naso. Sorrise, anche io feci un sorriso strano e mi tolsi il cappotto. Lo appesi all’appendi abiti e sentii Tom chiudere la porta e sorridere, parlare col fratello come se nulla fosse, e ridere allegramente. Io mi buttai sfinita sul comodo sofà e sospirai, intanto Georg e Gustav mi guardavano straniti.
    -Che c’è?- chiesi, buttando la testa indietro.
    -Niente- mi sorrisero i due. –dove sei andata con Tom?- chiesero maliziosamente.
    Arrossii. Cercai di stare al gioco nonostante questo mi risultasse molto difficile.
    -Eeeee rimane un segreto!-
    Arrivarono anche Bill e Tom, e si sedettero. Tom dopo neanche cinque secondi si alzò, mi prese per mano e entrò in cucina, chiudendo la porta.
    -Hanno iniziato di nuovo?- sentii Georg scherzare dall’altra stanza.
    Bill e Gustav risero, non lo presero sul serio per fortuna.
    Tom sussurrò:
    -Lo diciamo?-
    Io sospirai. Lo guardai.
    -Non lo so- dissi semplicemente. E se poi Bill si incazza di nuovo?-
    -Bè quelli son fatti suoi- rise piano. Anche io sorrisi abbassando lo sguardo. Mi prese per il mento e lo sollevò, guardandomi in faccia.
    -Che c’è?- chiese.
    -Niente.-
    -Dai, lo so che quando fai quella faccia hai qualcosa.-
    -Roba da donne.- tentai.
    Mi guardò alzando un sopracciglio.
    -E va bene, tanto non ti posso nascondere niente, penso ai miei genitori, contento?-
    -Uhm l’avevo detto che eri strana...- mi afferrò una mano, mi guardò negli occhi, serio. –Allora lo diciamo?-
    Non potevo dirgli di no.
    Sospirai sonoramente.
    -Okk-
    Lui mi baciò sulla guancia.
    -Lo sapevo che non mi avresti detto di no!- disse trionfante.
    Non ebbi neanche il tempo per ribattere o protestare, che aprì la porta.
    Sentii gli occhi di tutti puntati addosso.
    -Che avete fatto, porcellini?- scherzò Georg.
    Mi limitai a fulminarlo con un’occhiata.
    -Io e Sara dobbiamo dirvi una cosa- annunciò Tom trionfante.



















    CAPITOLO 14
    Bill cadde dal divano.
    -Cosa?- chiese, con un pizzico di panico nella voce. –O mio Dio, lo sapevo! L’ho anche sognato! Nooo, o cielo, non può essere!?- ci guardò. –Non ti vedo poi tanto ingrassata però- obbiettò squadrandomi. –ma a che mese stai?-
    -CHE???- chiedemmo all’unisono io e Tom sgranando gli occhi.
    -Sara è incinta?- chiesero Georg e Gustav.
    -Incinta?- chiese Tom guardandomi strano.
    Gli restituii l’occhiataccia.
    In casa si diffuse un mormorio fastidioso e mi tirai Tom per un braccio nell’angolo della stanza.
    -Ma si può sapere che cavolo gli è preso a tuo fratello?-
    -Boo- sospirò. -Ma veramente sei ehm... in... hai capito, quella cosa lì- sbuffò.
    -Incinta?-
    -Ecco.-
    -Ma ti pare?- gridai, mi stavo fottutamente incazzando, ma questi sono solo particolari.
    -Meno male.- sbuffò.
    Decisi di lasciar perdere, mi diressi verso i tre cercando di ristabilire la situazione.
    -Non sono incinta!- urlai io, tutti mi guardarono.
    Georg e Gustav tirarono un sospiro di sollievo, Bill si sentì svenire e andò in bagno a bagnarsi la faccia e a bere un bicchiere d’acqua.
    Quando tornò, si sedette e respirò profondamente.
    -Allora?- chiese.
    -Bè, ecco... – incominciò Tom.
    Bill lo guardò forse sorpreso dalla sua insicurezza.
    -Prima di raccontare- intervenni io –dovete promettere che dopo questa cosa che vi diremo non cambierà niente.- Tom mi guardò facendomi l’occhiolino mentre gli altri bisbigliavano tra di loro.
    -Bè?- chiesi io.
    -Lo promettiamo- dissero in coro Bill, Georg e Gustav. –ora possiamo arrivare al punto?-
    -Aspè- risposi io, frugando nella tasca del cappotto cercando il cellulare che Tom mi aveva regalato. –prima vi devo fare una foto, siete troppo buffi con questa faccia.- ridacchiai io.
    I tre protestarono.
    -No scherzavo- dissi, abbandonando la ricerca –comunque dovete promettere che nessuno si arrabbierà dopo...-
    -Dopo che vi avremmo raccontato la cosa che vi dobbiamo dire.- finì Bill per me. –Ora sputate il rospo.- concluse incrociando le braccia.
    -Dovete promettere- lo canzonai io.
    -Prometto- dissero in coro.
    -Ecco...- iniziò Tom –io e...- mi guardò –Sara...- sospirò, lo guardai. –stiamo insieme.-
    Ci fu una serie di applausi e Georg disse:
    -E da quanto tempo piccioncini?-
    -Da quando David ha conosciuto Sara.-
    -Ma non gliel’avevi presentata come la tua fidanzata?- chiese Gustav.
    -Si, ma era per non dargli lunghe spiegazioni come vi ho già detto tempo fa.-
    -Aaaaa ora ho capito, adesso si spiega Sara nella camera di Tom- disse Bill –e lui che le faceva dei grattini sulla schiena- ci canzonò allungando le vocali.
    Arrossimmo abbassando la testa.
    -Giochiamo al gioco della bottiglia?- chiese poi il moro allegro, balzando in piedi.
    Non facemmo neanche in tempo a rispondere che piombò in cucina per cercare di procurarsi una bottiglia.
    Tom poi mi guardò e mi scompigliò i capelli ridacchiando.



    Bill ne uscì con una bottiglia mezza piena di Coca Cola. La sventolò in aria e disse:
    -Uno di noi la deve bere- sorrise guardando Gustav.
    Poi guardò Georg, poi Tom e infine arrivò a me.
    -Che ne dici?- mi fece un sorriso maligno.
    Io non avevo la minima intenzione di berla, quindi scossi la testa.
    -Sedetevi- ordinò. Ubbidimmo e andò a spegnere la luce. Accese la piccola abat-jour vicino la tv ultrapiatta e si sedette a terra, tra me e Tom. Un leggero brivido mi percorse la schiena. Mi lisciai i capelli e incrociai le gambe.
    -Gira?- chiese il bassista strappando dalle mani del vocalist la bottiglia. La posò a terra e le fece fare un giro. Sfortunatamente si fermò proprio di fronte a lui, che deglutì. Ci guardò e noi annuimmo compiaciuti. Girò il tappo e quando lo tolse completamente si bagnò tutto di Cola, facendoci scompisciare dalle risate. Si alzò di scatto e si diresse verso le scale per cambiarsi, quando tornò Bill lo aspettava in piedi con la bottiglia in mano.
    -Sei stato fortunato che ti è schizzata addosso, ma ne è rimasto un goccetto e lo devi bere.-
    -A sì?- chiese, spegnendo la luce e dirigendosi verso il moro, per poi prendere la bottiglia e aprirla, e versare il contenuto addosso a Bill, che incominciò a saltare istericamente per tutta la stanza.
    Tom rideva, io ero rimasta a bocca aperta e Gustav cercava di calmarlo. Io guardai il rosso che si giustificò.
    -Lui ha iniziato!-
    Risposi con un’alzata di spalle.
    Anche Bill si andò a cambiare, e quando tornò finalmente si sedette, ma scoccò un’occhiata di rimprovero al bassista che abbassò la testa.
    -Inizi tu?- chiese a Gustav porgendogli la bottiglia. Il biondo annuì e la prese.
    -Mah, secondo me è meglio obbligo o verità- dissi mentre girava.
    La fermò volutamente, e chiese.
    -Chi vuole giocare a obbligo o verità?-
    Tom, io e Georg alzammo la mano. Bill incrociò le braccia.
    -Bene, la maggioranza vince.- mise da parte la bottiglia.


    avverto che il prossimo capitolo sarà l'epilogo! Baci e buuona lettura!
     
    Top
    .
  11. jade jackson
     
    .

    User deleted


    Uuuuuh continua presto!!!!Mi piace sempre di più!!!
     
    Top
    .
40 replies since 24/5/2010, 15:02   488 views
  Share  
.